L'assenza di scritture di magazzino permette l'accertamento induttivo

se il contribuente non esibisce o non tiene nei modi prescritti dalla Legge le scritture di magazzino il Fisco può legittimamente utilizzare l’accertamento induttivo

Archivio_Pietro_Pensa_01Con l’ordinanza n.12375 del 15 giugno 2016, la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, ha evidenziato “che già il solo fatto della mancata tenuta di un inventario analitico giustifica – nell’indirizzo interpretativo del Supremo Collegio – la legittimità del ricorso al metodo induttivo di accertamento “. In particolare, viene fatta propria la sentenza n.1511 dell’11 febbraio 2000, secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in assenza delle scritture ausiliarie sui reali movimenti di beni per la rivendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del secondo comma dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza dell’art. 2729 cod. civ. e a fatti noti all’ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell’anno, restando escluso che possa ritenersi sufficiente, al fine di ritenere osservato il dovere di tenuta di scritture analitiche ausiliarie, la registrazione di sintesi del libro degli inventari” (in termini analoghi Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13672 del 19/12/1991 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2613 del 08/03/2000)”.

Brevi Note

L’ufficio, ai sensi dell’art. 39, c. 2, del D.P.R. n. 600/73, può determinare il reddito d’impresa e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, in deroga alle disposizioni previste dal comma 1, del citato articolo 39, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in suo possesso, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili, e con facoltà di avvalersi di presunzioni semplici anche se non gravi, precise e concordanti, nelle seguenti ipotesi:

  • se il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
  • se dal verbale d’ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o a ha sottratto all’ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
  • se le irregolarità formali, le omissioni, falsità e inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d’ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture stesse nel loro complesso.

 

L’ufficio, inoltre, può ricorrere all’accertamento induttivo anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 u.c. del D.P.R. n. 600/1973, aggiunto dall’art. 25 L 18.2.1999 n. 28).

L’attività di controllo, unita ad una analisi sulle caratteristiche dell’attività svolta e sulle risultanze complessive delle scritture contabili, può permettere di evidenziare che la parte, in contabilità ordinaria, abbia indicato il valore delle rimanenze finali in maniera sintetica, quando invece nel libro inventari deve essere indicata la consistenza dei beni in categorie omogenee, per natura e valore, ed il valore attribuito a ciascun gruppo, ex art. 15, c. 2, del D.P.R. n. 600/19731 (né sono state messe a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario). Ovvero non ha tenuto il libro inventari.

In assenza di libro inventari o in presenza di un libro inventari non correttamente tenuto viene riconosciuto all’ufficio il potere di procedere induttivamente, nella considerazione che le rimanenze per l’azienda in esame costituiscono un numero incerto, il cui aumento o diminuzione, diminuisce o aumenta il reddito, facendo venire meno proprio una della caratteristiche proprie della contabilità, sia ordinaria che semplificata.

Sul punto vale la pena ricordare ulteriori e precedenti pronunciamenti.

  • Con la sentenza n. 6623 del 23 marzo 2011 (ud. del 24 febbraio 2011), la Corte di Cassazione aveva autorizzato l’Amministrazione finanziaria a determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza quando risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili. Infatti, “la mancata tenuta del libro degli inventari – prescritta dal succitato art. 14 – legittima l’amministrazione erariale alla ricostruzione dell’imponibile in via induttiva anche sulla base di presunzioni semplici e con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ai sensi dell’art. 3”.
  • Con la sentenza n. 5870 del 13 aprile 2012 (ud. 15 marzo 2012) la Corte di Cassazione ha rilevato che “in materia di determinazione del reddito d’impresa, atteso il principio di continuità dei valori contabili, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d’esercizio (C. 11748/08), è legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, qualora il contribuente non ottemperi all’onere della specificazione delle rimanenze distinte per categorie omogenee di beni (C. 9946/03)”. Prosegue la sentenza affermando che “la presenza d’irregolarità contabili tali da rendere inattendibili le scritture aziendali legittima di per sè sola l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita, potendo l’amministrazione utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture e anche dati da queste emergenti (nella misura in cui risultino singolarmente affidabili), così come può servirsi, nel corso del medesimo accertamento, del metodo analitico, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (C. 27068/06)”.
  • Con la sentenza n. 21785 del 5 dicembre 2012 (ud. 9 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che l’assenza delle distinte di magazzino, da utilizzare per la compilazione dell’inventario, legittima l’accertamento induttivo. Per la Corte, non avendo il contribuente messo a disposizione l’inventario e le distinte inventariali, l’ufficio “era perciò autorizzata a ritenere inattendibile la contabilità e quindi a legittimamente procedere all’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (Cass. 6937/11; Cass. 4911/07; Cass. 8273/03; Cass. 15863/01)”. Il principio di diritto enunciato è il seguente: “La mancata consegna o messa a disposizione di scritture contabili, – nella specie di scritture inventariali, giustifica il ricorso al procedimento di accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)”. Inoltre, l’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, “non stabilisce speciali limitazioni presuntive in ipotesi di accertamento induttivo eseguito nei confronti impresa cooperativa. E, del resto, il carattere mutualistico dell’impresa nemmeno di fatto autorizza a ritenere che i ricarichi sul venduto siano minori rispetto quelli normali di mercato”. Di conseguenza, il principio enunciato è il seguente: “L’accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), nei confronti di impresa cooperativa non soffre di speciali limitazioni legislative o di fatto nella applicazione presuntiva delle percentuali di ricarico“.
  • Con la sentenza n. 16477 del 18 luglio 2014, la Corte di Cassazione ha confermato che il mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 15, c. 2 del D.P.R. n. 600/1973, in ordine all’inventario delle merci, legittima l’accertamento induttivo, ex art. 39, c. 2, consentendo l’utilizzo di presunzioni prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. Per la Corte, “l’inventario e il bilancio costituiscono scritture contabili distinte, aventi contenuto e finalità diverse, ai sensi dell’art 15 del DPR n. 600 del 1973 e dell’art. 2217 del codice civile, ed alla cui redazione sono obbligati i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 13 del citato DPR. Ne deriva che la violazione consistente nell’omessa o irregolare redazione dell’inventario non può ritenersi sanata, né resa meramente formale, dall’avvenuta redazione del bilancio” (cfr Cassazione 8273/2003). E in ogni caso non può supplire la nota integrativa, la quale, nel caso specifico, mancava del dettaglio delle rimanenze (la nota integrativa si limitava a prevedere “categorie di giacenze”, “senza alcuna specificazione circa le categorie medesime e la loro concreta articolazione).

26 agosto 2016

Gianfranco Antico

1 Per i soggetti in contabilità semplificata l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse discende dall’art. 18 del D.P.R. n. 600/73 e dall’art. 9, del D.L. n. 69/89, conv. in Legge 27.04.89, n. 154.