Non sussiste l'obbligo generale di contraddittorio preventivo

Analizziamo le motivazioni di diritto che hanno portato la Cassazione ad affermare che il contraddittorio endoprocedimentale non sia un obbligo generalizzato nell’ordinamento italiano nonostante le previsioni dello Statuto del Contribuente

 

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Con l’ordinanza n. 5362 del 17 marzo 2016, la Corte di Cassazione nel confermare, richiamando il pronunciamento a Sezioni Unite (sentenza n. 24823/2015), che

“le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni”,

 

ha ribadito che

“differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’ atto.

Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’ Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

 

 

Brevi note

Vediamo, in estrema sintesi, le altre risposte date dalla Corte di Cassazione a SS.UU. e fatte proprie dalla pronuncia che si annota.

 

La previsione dell’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000

“non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione fiscale”;

e, dunque, non sussiste nessun obbligo da parte dell’Amministrazione,

“ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto”.

 

“… E’ escluso che una clausola generale di contraddittorio endoprecedimentale in campo tributario possa essere riferita a norme ordinarie dell’ordinamento nazionale diverse da quella di cui all’art. 12, comma 7, l. 212/2000”.

 

Si rinvengono, viceversa,

“una pluralità di disposizioni, che tale contraddittorio prescrivono, peraltro a condizioni e con modalità ed effetti differenti, in rapporto a singole ben specifiche ipotesi”.

 

 

“… Nell’ordinamento nazionale non esiste, allo stato, un principio generale, per il quale, anche in assenza di specifica disposizione, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente”,

e ciò si ricava anche, indirettamente, da ulteriori significativi dati sistematici (il nuovo sintetico, di cui all’art. 22, c. 1, del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n .122/2010, ha introdotto l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale con effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto, risultando così asseverato a contrario, il convincimento che, allo stato attuale della legislazione, non sussiste, nell’ordinamento tributario nazionale, una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale).

 

Per la Corte, ancor più incisivo, nel senso indicato, è che la L. n. 23/2014, di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la “previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione degli atti di accertamento dei tributi” (cfr. l’art. 1, c. 1 lett. b), nonché il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (v. l’art. 9, c. 1, lett. b).

 

“… L’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario non può essere direttamente ancorato agli artt. 24 e 97 Cost.”.

In particolare, l’art. 97 Cost. non reca alcun indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale.

 

Per la Corte

“tutti i parametri normativi di riferimento portano, dunque, recisamente ad escludere che, sulla base della normativa nazionale, possa, in via interpretativa, postularsi l’esistenza di un principio generale, per il quale l’Amministrazione finanziaria, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell’atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente”.

 

L’avviso di accertamento è un atto amministrativo recettizio di imposizione tributaria e l’art. 13 della L. n. 241/19901 contiene una espressa deroga per i procedimenti tributari.

Il secondo comma di tale articolo, infatti, contiene una esplicita esclusione, per la materia tributaria, delle norme concernenti la comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7 e 8), l’intervento nel procedimento (art. 9), i diritti dei partecipanti al procedimento (art. 10) e, più in generale, le disposizioni contenute nel capo terzo, rubricato “Partecipazione al procedimento amministrativo”.

Sotto questo punto di vista, “l’attività di controllo ‘a tavolino’ degli Uffici impositori non sembra essere sottoposta a particolari obblighi ostensivi”.

 

“… Il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione”.

 

Tuttavia, con specifico riferimento al procedimento tributario, l’obbligo del contraddittorio non investe l’attività d’indagine e di acquisizione di elementi probatori anche testimoniali svolta dall’Amministrazione fiscale, essendosi specificamente affermato che

“l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista” (
Corte giust. 22.10.13, in causa C-276/12, Jiri Sabou: punto 41).

 

Osservano le Sezioni Unite che non vi è coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale.

“La prima, infatti, prevede il contraddittorio endoprocedimentale, in materia tributaria, quale principio di generale applicazione, pur valutandone gli effetti in termini restrittivamente sostanzialistici; la seconda, lo delinea, invece, quale obbligo gravante sull’Amministrazione a pena di nullità dell’atto – non, generalizzatamente, ogni qual volta essa si accinga ad adottare provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente – ma, soltanto, in relazione ai singoli (ancorché molteplici) atti per i quali detto obbligo è esplicitamente contemplato”.

 

L’indicata divaricazione si proietta inevitabilmente sulla regolamentazione dei tributi cd. non armonizzati (in particolare: quelli diretti), estranei alla sfera di competenza del diritto dell’Unione europea, e di quelli cd. armonizzati (in particolare: l’iva), in detta sfera rientranti.

Per i tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge.

 

Resta fermo che

“la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione fiscale determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”,

inteso nel senso che

“l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali”.

 

Più in particolare, in relazione ai tributi armonizzati,

“affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato (cfr. Cass. 11453/14, 25054/13, ss.uu. 20935/09), e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto
(Cass., ss.uu., 9935/15, 23726/07; Cass. 1271/14, 22502/13)”.

 

Inoltre, il superamento della duplicità del regime giuridico dei tributi armonizzati e di quelli non armonizzati in tema di contraddittorio endoprocedimentale non può essere realizzato in via interpretativa.

 

Infatti, fermo restando l’innegabile influenza che del diritto dell’Unione sul diritto nazionale,

“altro è la diretta applicazione dei principi del diritto comunitario altro è l’interpretazione del diritto nazionale secondo criteri comunitariamente orientati”.

 

E da ciò ne deriva che

“l’assimilazione in via ermeneutica del trattamento di rapporti sottratti all’operatività del diritto comunitario (tributi ‘non armonizzati’) al trattamento di rapporti analoghi ad esso assoggettati (tributi ‘armonizzati’) è preclusa in presenza di un quadro normativo nazionale univocamente interpretabile nel senso opposto: nella specie, nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale”.

 

11 aprile 2016

Gianfranco Antico

 

Dello stesso autore, leggi anche l’articolo di aggiornamento sul contraddittorio endoprocedimentale di ottobre 2019.

 

1 L’art. 13 L. 241/1990, rubricato “Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione”, al secondo comma, prescrive che: “Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano…”.