Cessione d'azienda: approfondimento

la cessione d’azienda è un istituto di notevole utilizzo con cui capita spesso di avere a che fare nella vita professionale: proprio per la diffusione di questo istituto occorre essere particolarmente attenti alle molteplici problematiche civilistiche e fiscali che occorre gestire, dalla trattativa iniziale alla chiusura del contratto; cercheremo di individuare le maggiori e più diffuse criticità proponendo soluzioni operative e concrete

Cessione d’azienda: come tassare la plusvalenza, avviamento negativo, responsabilità tributaria, gestione debiti “contabili”, risoluzione del contratto, accertamenti fiscali.

La cessione d’azienda è un istituto di notevole utilizzo con cui capita spesso di avere a che fare nella prassi professionale.

E dunque proprio per la diffusione di questo istituto occorre essere particolarmente attenti alle molteplici problematiche civilistiche e fiscali che occorre gestire dalla trattativa alla chiusura del contratto.

In questa sede cercheremo di individuare le maggiori e più diffuse criticità proponendo soluzioni operative e concrete…

La cessione d’azienda

L’azienda viene definita dall’art. 2555 c.c. come “il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; partendo da tale definizione si può considerare cessione d’azienda il trasferimento a titolo oneroso della proprietà di beni aziendali idonei all’effettuazione di un’attività economica organizzata. 

La cessione può riguardare anche solo una parte dei beni aziendali (si parlerà in tal caso di ramo d’azienda) rilevando a tal fine solo l’idoneità degli stessi a consentire l’avvio o la continuazione di un’attività economica organizzata.

Essendo la cessione d’azienda un atto traslativo complesso avente natura patrimoniale, in mancanza di una disciplina ad hoc applicabile alla fattispecie, a essa va applicata la generale disciplina giuridica dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene, (in questo caso, di un complesso di beni) ed è altresì necessario riferirsi ad un particolare regime formale, disciplinato dagli articoli 2555 e seguenti del codice civile.

Infine, all’articolo 2112 dello stesso codice, trovano collocazione le norme applicabili al trasferimento di azienda in materia di rapporti di lavoro subordinato pendenti al momento della cessione.

Nel contratto di cessione di azienda occorre effettuare la suddivisione del prezzo di vendita fra avviamento, beni strumentali e rimanenze (il notaio pretende che venga effettuata questa distinzione).

Come tassare la plusvalenza

La cessione d’azienda determina, ai sensi dell’art. 86 del D.P.R. 917/1986, il sorgere in capo al soggetto cedente di una plusvalenza o minusvalenza calcolata come differenza tra prezzo di cessione e valore netto contabile degli elementi patrimoniali trasferiti.

La plusvalenza emergente dalla cessione d’azienda concorre a formare il reddito d’impresa dell’esercizio nel corso del quale viene realizzata oppure, se l’azienda è posseduta da almeno 3 anni, essa potrà essere invece ripartita in quote costanti per un massimo di 5 esercizi.

L’eventuale minusvalenza da cessione concorre alla formazione del reddito imponibile nell’esercizio di realizzo.

Nel caso in cui il cedente sia un imprenditore individuale viene prevista dall’art. 17, co.1, lett. g) del D.P.R. 917/1986 una disciplina particolare che consente di assoggettare la plusvalenza realizzata a tassazione separata se l’azienda è posseduta da più di 5 anni e ne viene fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui il provento deve essere imputato.

Tale agevolazione ha l’evidente scopo di evitare che la plusvalenza maturata in diversi anni di attività rientri nella tassazione ad aliquote progressive in un unico periodo d’imposta, determinando un’evidente incongruenza; inoltre la tassazione separata può essere scelta anche nel caso in cui, a seguito della cessione, il cedente perda la qualifica di imprenditore.

E’ importante sottolineare che sui redditi assoggettati a tassazione separata non si applicano le addizionali comunali e regionali Irpef e non è dovuta contribuzione previdenziale.

TRATTAMENTO FISCALE DELLA PLUSVALENZA DA CESSIONE

SOGGETTO CEDENTE PERIODO DI POSSESSO
Inferiore a 3 anni Non inferiore a 3 anni Superiore a 5 anni
Società    non    estinta    a seguito della cessione Integrale concorso alla formazione del reddito nell’esercizio di realizzo Rateazione in massimo 5 esercizi
Imprenditore individuale                   che

mantiene la qualifica di imprenditore a seguito della cessione

Integrale concorso alla formazione del reddito nell’esercizio di realizzo Rateazione in massimo 5 esercizi Tassazione separata
Imprenditore individuale che perde la qualifica di imprenditore a seguito della cessione Integrale concorso alla formazione del reddito nell’esercizio di realizzo Tassazione separata

Nel caso di tassazione separata l’imposta è determinata, ai sensi dell’art. 21, co. 1 del TUIR, applicando all’ammontare conseguito l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del cedente nel biennio anteriore all’anno in cui viene realizzata la plusvalenza.

Quindi per determinare l’ammontare dell’imposta in caso di tassazione separata è necessario procedere con le seguenti fasi:

  1. Sommare i redditi netti dei due periodi d’imposta precedenti e dividere il risultato per due ricavando la media annuale del reddito nel biennio precedente;
  2. Calcolare su tale reddito medio l’Irpef applicando le aliquote vigenti nel periodo;
  3. Calcolare l’incidenza media in percentuale di tale imposta sul reddito medio;
  4. Applicare l’aliquota così ricavata all’ammontare della plusvalenza.
Casi particolari

Nel caso in cui l’imprenditore individuale affitti l’unica azienda e solo successivamente al termine dell’affitto decida di cedere l’azienda senza rientrarne in possesso genererà redditi diversi e nel caso di vendita con pagamento rateale tassare questi redditi in misura proporzionale alla quota di corrispettivo percepito cui corrisponderà pari quota di costo non ammortizzato.

Esempio

Corrispettivo 200

Costo non ammortizzato 100 Plusvalenza 100

Corrispettivo incassato in 2 rate (100 nel 2015 e 100 nel 2016)

Anno 2015: 100 (50%)

Anno 2016: 100 (50%)

Costo 2015: 50 (50% di 100) PROPORZIONALITA’

Costo 2016: 50 (50% di 100)

Plusvalenza 2015: 100 – 50 = 50

Plusvalenza 2016: 100 – 50 = 50

Nel caso di cessione di azienda familiare sulla scorta di quanto chiarito dalla R.M. n. 176/2008 la plusvalenza si ritiene vada dichiarata unicamente dal titolare e non dai collaboratori.

Leggi anche: Cessione di azienda: la questione delle imposte

Registro e avviamento negativo

La cessione d’azienda o di ramo d’azienda è esclusa dall’ambito di applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 2, co. 3, lett. b) D.P.R. 633/1972.

In base al principio di alternatività IVA/ registro si determina l’applicazione all’atto dell’imposta di registro in misura proporzionale (3% sul valore dell’azienda).

La base imponibile ai fini dell’imposta di registro risulta essere non il valore dichiarato nell’atto di trasferimento ma, ai sensi dell’art. 51 D.P.R. 131/1986, il “valore venale in comune commercio”; ciò significa che l’amministrazione finanziaria può disconoscere il valore dichiarato e procedere ad una sua rideterminazione, dovendo comunque tener conto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie.

Le passività vengono imputate ai diversi beni in proporzione al rispettivo valore senza considerare eventuali correlazioni specifiche tra singoli beni e specifiche passività.

Attenzione

Il termine di decadenza biennale per l’eventuale rettifica ai fini dell’imposta di registro del valore venale di un’azienda ceduta decorre dal momento in cui viene pagata l’imposta proporzionale sull’atto di cessione, anche se il prezzo concordato tra le parti è soggetto a successiva rideterminazione, in virtù di una clausola contrattuale (CTR Lombardia n. 54/32/2013).

E’ del resto vero che, soprattutto ai giorni d’oggi, può verificarsi il caso in cui non sia presente avviamento positivo ma piuttosto che emerga un avviamento negativo (bad-will). Infatti il perpetrarsi di perdite, la diminuzione di fatturati, la perdite di importanti contratti sono tutti elementi con i quali molte aziende negli ultimi anni si sono dovute pesantemente confrontare.

Si pensi allo stesso meccanismo di calcolo voluto dal famigerato D.P.R. 460/96 tanto impreciso quanto ancora molto utilizzato dagli uffici verificatori che nel caso di perdite non da origine a valori di avviamento minimo da dichiarare (il rapporto fra perdite e ricavi altro non può dare che un risultato negativo).

E questa eventualità, peraltro derivante da un calcolo matematico, non può non essere considerata dagli uffici i quali non possono pertanto in maniera illogica e asistematica applicare la presunzione solo a proprio favore (Cassazione n. 2702/2002).

Inoltre occorre ricordare, se non bastasse il ragionamento soprariportato, che il principio di capacità contributiva va nella direzione di fotografare anche avviamenti negativi e non solo avviamenti positivi. Del resto gli avviamenti negativi altro non sono che l’altra faccia della medaglia delle famigerate e tanto ricercate (dal fisco) plusvalenze “latenti”.

E’ pur vero tuttavia che il potenziale abbattimento di valore aziendale da assoggettare a registro non è affatto ben vista dagli organi verificatori.

Occorrerà dunque in tale situazione portare tutte le prove possibili a sostegno del bad-will quali andamenti di fatturato, perdite sistmatiche, analisi di mercato, perizie estimative…etc.

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Responsabilità tributaria

Nel caso di cessione di azienda l’articolo 14 D.lgs n. 472/97 prevede la responsabilità tributaria del cessionario in via solidale con il cedente per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferite a violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento dell’azienda e nei due precedenti, anche se non contestate o irrogate alla data della cessione (nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore)

La richiesta di certificazione preventiva all’ufficio dell’agenzia delle Entrate da parte del cessionario rappresenta dunque un’ arma vincente per impedire al Fisco di porre in essere future contestazioni sulla responsabilità solidale dei debiti tributari e delle sanzioni connesse precedenti alla cessione di azienda.

E’ vero che la responsabilità del cessionario viene limitata al valore dell’azienda acquistata ma vista la notevole difficoltà a reperire liquidità è diventato molto più diffuso che in passato che l’Agenzia delle entrate non trovando soddisfazione in capo al cedente si presenti al cospetto del cessionario per richiedere imposte e sanzioni contestate.

Pertanto la certificazione di posizione tributaria rimane l’unico strumento veramente valido da utilizzare in questi casi poiché il beneficio della preventiva escussione in capo al cedente non sempre è sufficiente a proteggere l’ “ignaro” cessionario (che spesso non si pone neppure il problema).

A tal fine, con provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 25 giugno 2001 sono stati approvati due modelli di certificato relativi all’accertamento dei carichi pendenti e    alla    verifica    dell’esistenza    di    contestazioni    in    corso. I certificati possono essere richiesti all’ufficio dell’agenzia delle Entrate territorialmente competente sia dal cedente che dal cessionario, in quanto soggetti interessati.

Da un lato, infatti, il cedente potrebbe avere interesse a dimostrare all’acquirente di non avere “pendenze” o contestazioni in atto con il Fisco e, dall’altro, come visto finora, il cessionario ha tutto l’interesse a conoscere preventivamente le responsabilità in cui potrebbe incorrere per eventuali debiti tributari, anche magari per trattare sul prezzo di acquisto e/o sulle modalità di pagamento. Inoltre, i certificati, sia se rilasciati con esito negativo e sia se non rilasciati entro 40 giorni dalla richiesta, hanno pieno effetto liberatorio.

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Nota bene

In proposito, si segnala una pronuncia della Corte Suprema con cui è stato stabilito che il limite temporale in base al quale il cessionario non può essere chiamato a rispondere, oltre il debito tributario risultante alla data del trasferimento dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza, opera solo a condizione che siano stati comunque richiesti i certificati.

Secondo i giudici della Cassazione, infatti, con la previsione di apposite limitazioni alla responsabilità solidale e sussidiaria del cessionario, il legislatore tende a premiare la diligenza dell’acquirente nell’acquisire dagli uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, le informazioni sulla posizione debitoria del soggetto cedente nei confronti del Fisco (Cassazione, sentenza n. 5979/2014).

Leggi anche: 

Cessione d’azienda: quali rischi in capo all’acquirente

Condizioni e limiti della responsabilità fiscale del cessionario d’azienda

Responsabilità del cessionario di azienda

Gestione dei debiti contabili

In merito a debiti e crediti derivanti dall’esercizio dell’azienda ceduta, il contratto di cessione può contenere clausole riguardanti l’esclusione della loro cessione, in toto o solo di alcuni di essi; senonchè va ricordatto che tali clausole hanno effetto meramente fra le parti. 

Infatti, l’articolo 2560 C.C. prevede che il cambio del debitore non è consentito senza il consenso del creditore per cui, in mancanza di benestare, l’alienante non è liberato dai debiti inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta.

In ogni caso, nel trasferimento di unazienda commerciale risponde dei debiti anche l’acquirente dell’azienda se i medesimi risultano dai libri contabili obbligatori.

Attenzione

Ciò sta a significare che nel caso in cui la contabilità del cedente sia semplificata la corresponsabilità del cessionario, per orientamento oramai consolidato della Cassazione, sia da escludersi, essendo impossibile per l’acquirente avere uno strumento ufficiale di controllo.

I registri Iva non svolgono alcuna efficacia probatoria, ma hanno solo la funzione di documentare il debito fiscale ai fini Iva e di consentire l’esatto adempimento degli obblighi Iva (Cassazione n. 2108/1994)

Tuttavia nei casi di contabilità ordinaria è sempre consigliabile effettuare una accurata “pulizia” dei debiti nel senso di allegare all’atto notarile situazioni patrimoniali aggiornate minuziosamente da cui risulti con precisione tutta l’attività di eliminazione e copertura dei debiti magari con la complicità del cedente che attraverso la corresponsione di acconti di maggiore entità (pagati in sede di preliminare) può ottenere il risultato di liberarsi da corresponsabilità di poste debitorie che il cedente provvederà a saldare prima del rogito.

Qualora la cessione d’azienda avvenga contestualmente alla cessione del contratto di locazione non si configura un’obbligazione solidale fra cedente e cessionario nei confronti del locatore, ma piuttosto un’obbligazione del cedente con responsabilità subordinata all’inadempimento del cessionario.

L’ultima parte dell’ultimo comma dell’art. 36 L. n. 392/78 dispone:

nel caso di cessione, il locatore, se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni aggiunte.

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Il cedente del contratto di locazione (locatario e cedente l’azienda), rimane solidalmente obbligato con il cessionario per le obbligazioni inerenti al contratto di locazione non adempiute da quest’ultimo nei confronti del locatore, a meno che non sia intervenuto accordo liberatorio tra locatore e conduttore che ha ceduto il contratto (Cassazione 1.6.2004, n. 10485).

Ricorda

A questo proposito ed in situazioni di maggiore pericolosità è certamente consigliabile perfezionare un nuovo contratto di locazione commerciale.

Risoluzione del contratto di cessione d’azienda

La Corte di Cassazione interviene con una recentissima sentenza la n. 4134, depositata il 2 marzo 2015 analizzando il caso della risoluzione di un contratto di cessione di azienda per “mutuo dissenso”.

Secondo il pensiero della Suprema Corte tale atto sconta l’imposta proporzionale di registro al 3% da applicarsi al valore delle prestazioni dovute a seguito della risoluzione.

La motivazione addotta nella sentenza di collega all’art. 28 del D.P.R. n. 131/1986 il quale afferma che:

La risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui e’ stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa.

In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse.

A tal proposito la Cassazione afferma che:

«viene retrocessa la proprietà e la disponibilità del ramo di azienda già oggetto di trasferimento, sicché non resta che inquadrare detto negozio nel novero di quelli che il costante indirizzo interpretativo del Supremo Collegio ha qualificato come un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario (…) e con efficacia ex nunc».

 

È ben vero che la Cassazione non sempre è stata di questo avviso e che anzi nelle sentenze

  1. 20445/2011 e n. 18844/2012 ha inteso la risoluzione per mutuo dissenso come un negozio risolutorio con il quale le parti contraenti annullano in tutto per tutto il contratto che esse stesse hanno stipulato (cfr anche R.M. risoluzione n. 20/2014).

Secondo tale più avveduto interpretazioni il mutuo dissenso costituisce:

un atto di risoluzione convenzionale espressione dell’autonomia negoziale dei privati….dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali… risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell’onere della forma scritta ad substantiam”

 In buona sostanza secondo la recentissima e discutibile sentenza della Cassazione (4134/2015) l’atto di mutuo dissenso darebbe origine ad una nuova e contraria cessione del ramo di azienda.

Al contrario (si veda anche recente interpretazione dell’agenzia che con R.M. n. 20/2014 tratta ad imposte fisse la risoluzione per mutuo dissenso di una donazione) si ritiene molto più corretta l’interpretazione opposta e dunque quella che da la mutuo dissenso un mero effetto estintivo con applicazione di imposte fisse.

XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Accertamento: dal registro alle dirette

Come noto, la rideterminazione del valore venale dell’azienda ai fini dell’imposta di registro viene utilizzata di regola dall’amministrazione finanziaria anche per ricalcolare la plusvalenza da cessione tassabile ai fini delle imposte sul reddito.

Va innanzitutto sottolineato come la dottrina sia unanimemente contraria infatti, come precisato dalla norma di comportamento n. 171/2008 dell’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti), la determinazione della base imponibile si basa su due principi distinti:

  • nell’imposta di registro si fa riferimento al valore di mercato del bene;
  • con riferimento alle imposte dirette, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra prezzo di cessione concordato tra le parti ed il costo non ammortizzato.

Risulta del tutto evidente come il prezzo di cessione possa differire dal valore di mercato per una ampissima serie di motivazioni economiche e soggettive, come riconosciuto in passato dalla stessa amministrazione finanziaria con la nota n. 9/1437 del 1 luglio 1980 in cui si afferma che la discordanza tra prezzo di cessione e valore di mercato “non sembra, in via di principio, … possa legittimare, di per sé, una ripresa fiscale ai fini delle imposte sul reddito”.

Nell’ambito della giurisprudenza di merito sono emerse nel corso del tempo due posizioni contrapposte.

Secondo una prima tesi, maggioritaria in giurisprudenza, l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza da cessione d’azienda con riferimento al valore accertato per l’applicazione dell’imposta di registro ed è onere del contribuente superare la presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato e valore di mercato accertato.

In questo senso le sentenze della Cassazione n. 19548/2005, 21055/2005, 12899/2007, 4057/2007, 21020/2009 e 27019/2009, ordinanza n. 22869/2011.

 

Secondo l’altra tesi, sostenuta dalle sentenze n. 16700/2005 e 7023/2010 della Suprema Corte, invece:

“la prova che il valore di un bene oggetto di trasferimento è superiore al prezzo dichiarato nel contratto è, di per sé, sufficiente a giustificare un avviso di accertamento ai fini dell’imposta di registro; mentre non è sufficiente a giustificare un avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi”.

Tali posizioni sembrano essere rimaste immutate anche alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali; se da un lato la giurisprudenza di merito, da ultimo con la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Torino n. 122 del 3 ottobre 2013, sembra propendere per la tesi che la rettifica ai fini dell’imposta di registro costituisce solo un indizio di eventuale occultamento del prezzo reale di vendita, con la conseguenza di non essere da solo sufficiente a giustificare un accertamento induttivo ai fini delle imposte sui redditi, dall’altro la più recente giurisprudenza di legittimità rimane fedele al precedente orientamento prevalente.

Con l’ordinanza n. 20013/2013 del 30 agosto 2013 infatti la Suprema Corte ha ribadito, richiamando anche alcune sentenze precedenti, che:

“l’indicazione, nel bilancio di una società, di un’entrata derivante dalla vendita di un bene, inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell’imposta di registro, legittima di per sé l’amministrazione a procedere ad accertamento induttivo mediante integrazione o correzione della relativa imposizione, mentre spetta al contribuente che deduca l’inesattezza di una tale correzione di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato, dimostrando (anche con il ricorso ad elementi indiziari) di avere in concreto venduto proprio al prezzo (inferiore) indicato in bilancio.”

Nota bene

Ne deriva che, vista l’altalenante giurisprudenza, è certamente una scelta particolarmente consigliata quella di gestire il primo contenzioso inerente l’imposta di registro in maniera unitaria alla presenza di cedente e cessionario.

Questo in modo tale da evitare che una frettolosa chiusura dell’accertamento ai fini dell’imposta di registro ad opera del cessionario (senza motivazioni e specificazioni) possa creare il presupposto (presunzione grave precisa e concordante) per l’accertamento ai fini delle dirette in capo al venditore.

leggi anche: Cessione e conferimento d’azienda: aspetti fiscali e giurisprudenziali

19 marzo 2015

Fabio Balestra

Scarica il documento