Si anticipa l'accertamento solo in caso di urgenza

se l’accertamento viene notificato al contribuente prima dei 60 giorni dalla notifica del PVC per un disguido del Fisco, allora può essere annullato

Con la sentenza n. 2588 del 5 febbraio 2014 (ud. 5 dicembre 2013) la Suprema Corte di Cassazione conferma la linea assunta: l’accertamento anticipato è legittimo solo se è motivato dall’urgenza. Nel caso in questione, l’accertamento è stato notificato al 59° giorno (forse per un disguido, pur se sono presenti le ragioni che giustificano l’urgenza).

 

La sentenza

La Corte, in apertura, prende atto che la questione relativa all’interpretazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, è stata risolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18184 del 2013 che ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio“. Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite a fronte di “un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine. Spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e particolare – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento“.

La sentenza impugnata, dopo aver ricordato che in giudizio l’amministrazione aveva dedotto che le ragioni per le quali era stata anticipata la notificazione dell’atto impositivo impugnato consistevano nelle “reiterate condotte penali tributarie” riscontrate in capo alla società contribuente, nega che possano costituire valide ragioni giustificative dell’urgenza “asserzioni di pericolosità” e afferma che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe “fornito elementi a sostegno del suo comportamento“, non comprendendosi, peraltro, “quale danno poteva derivare all’Amministrazione Finanziaria dal notificare l’accertamento trascorsi i previsti sessanta giorni o al cinquantanovesimo giorno, così come è avvenuto“.

In realtà, osserva la Corte, “contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice a quo, il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, una indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, tanto più nel quadro della situazione, emersa dal verbale di verifica, della supposta partecipazione della società contribuente ad una organizzata frode ai danni dell’Erario che è accuratamente descritta nella narrativa della stessa sentenza impugnata: il giudice d’appello avrebbe dovuto, piuttosto, verificare se tale ragione d’urgenza potesse, come si esprimono le Sezioni Unite, essere, come probabilmente era alla luce della ricordata narrativa, ‘specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione’. Ma di tanto non v’è traccia nel ragionamento che ha portato alla decisione oggetto di impugnazione in questa sede di legittimità”.

La Corte, quindi, accoglie il ricorso e la sentenza impugnata viene cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Breve nota

La Corte, anche in questo caso, richiama il principio espresso a SS.UU., con la sentenza n.18184/2013, secondo cui “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio“. Tuttavia, la Corte, “ non essendo state neppure allegate specifiche ragioni d’urgenza, esonerative dall’osservanza del termine”, afferma che “ la ritenuta legittimità dell’atto impositivo non è conforme a diritto, non essendo rilevante che era in scadenza il termine di decadenza di cui all’art. 57 del dPR n. 633 del 1972, per la rettifica relativa all’Iva per lo stesso d’imposta, come affermato in seno al controricorso, senza dire che tale circostanza non chiarisce, comunque, le ragioni per le quali l’Ufficio non si è tempestivamente attivato, onde rispettare il termine dilatorio in esame e così consentire il doveroso dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, e che, opinando con l’Amministrazione, si verrebbero a convalidare, in via generalizzata, tutti gli atti in scadenza, in contrasto col principio, sopra enunciato, secondo cui il requisito dell’urgenza deve esser riferito alla concreta fattispecie e, cioè, al singolo rapporto tributario controverso”.

Ricordiamo che con la sentenza n. 22320 del 3 novembre 2010 (ud. del 28 settembre 2010) la Corte di Cassazione, richiamando quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 244 del 2009, ha ritenuto che per effetto del combinato disposto di cui all’art. 12, c. 7, L. n. 212 del 2000, e degli artt. 3 e 21-septies, L. n.241/90, “l’avviso di accertamento emanato prima della scadenza del termine di 60 gg.…, non è per ciò stesso nullo ma, atteso il generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi – ivi compresi quelli dell’A.F. -, tale è da considerarsi solamente laddove non rechi motivazione sull’urgenza che ne ha determinato una siffatta adozione”. Per la Suprema Corte, “l’inosservanza dell’obbligo di motivazione in relazione alla particolare urgenza dell’avviso di accertamento risulta infattiespressamente sanzionata in termini di invalidità dell’atto, in via generale, alla citata L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, (ove tale sanzione è prevista per il provvedimento amministrativo privo di un elemento essenziale, quale è la motivazione), nonchè, con specifico riferimento all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, rispettivamente al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, ove si prevede che l’avviso di accertamento deve essere motivato, a pena di nullità, in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato (v. Corte Cost. n. 244 del 2009)”. Per la Corte, “nel ravvisare – condividendo quanto sul punto ritenuto dai giudici di prime cure – la nullità dell’avviso di accertamento impugnato in base alla mera circostanza della relativa emanazione prima della conclusione dell’attività ispettiva, senza nulla indicare in motivazione in ordine al requisito dell’urgenza, anche sotto il profilo della verifica della eventuale mancata deduzione e allegazione ad opera dell’odierna ricorrente (e allora appellante) Agenzia delle entrate, il giudice del gravame di merito ha nell’impugnata sentenza disatteso invero il suindicato principio”.

L’ultimo intervento della Corte di Cassazione, nel ribadire che l’atto anticipato non è di per sé nullo, richiama prepotentemente l’attenzione degli uffici sulla necessità che la “particolare urgenza” venga evidenziata e descritta nella motivazione dell’avviso di accertamento emesso prima del temine di legge. Nel caso in questione, in realtà, l’ufficio aveva evidenziato le reiterate condotte penali tributarie” che possano costituire valide ragioni giustificative dell’urgenza.

Infatti, la pericolosità fiscale in genere, di volta in volta specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione, legittima la deroga introdotta dal legislatore che riguarda esclusivamente i “casi di particolare e motivata urgenza” (annualità in scadenza, pericoli di perdita del credito erariale…).

7 aprile 2014

Francesco Buetto