Rivalutazione dei beni d’impresa: come funziona?

La rivalutazione dei beni di impresa è un procedimento finalizzato a conferire maggiori valori contabili e fiscali ai cespiti patrimoniali dell’impresa, che comporta un importante effetto per quanto riguarda l’ambito fiscale: una riduzione di imposte che nasce da maggiori ammortamenti e da minori plusvalenze all’atto della cessione.

La rivalutazione dei beni di impresa  – Aspetti generali

la rivalutazione dei beni d'impresaLa rivalutazione dei beni di impresa è, come è ben noto, un procedimento finalizzato a conferire maggiori valori contabili e/o fiscali ai cespiti patrimoniali dell’impresa, con effetti associati – per quanto riguarda l’ambito fiscale – a una riduzione di imposte nella forma di maggiori ammortamenti e minori plusvalenze all’atto della cessione.

Le nuove disposizioni sulla rivalutazione contenute nella legge di stabilità per il 2014 – L. 27.12.2013, n. 147, art. 1, commi 140 e ss. -, in linea con le norme precedentemente contenute in numerose precedenti leggi di rivalutazione, consentono alle società di persone e di capitali residenti e agli enti di tipo commerciale di rivalutare i beni di impresa e le partecipazioni, a esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l`attività dell’impresa, presenti nel bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2012.

La rivalutazione può essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell`esercizio successivo a quello in corso a tale data e deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea (immobili, partecipazioni, etc.).

La procedura richiede per perfezionarsi l’assolvimento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e di eventuali addizionali, da applicarsi sul maggior valore rivalutato con aliquote del 16% (beni ammortizzabili) e del 12% (beni non ammortizzabili).

Il maggior valore attribuito ai beni otterrà riconoscimento fiscale, ai fini degli ammortamenti, a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita.

Se avviene la cessione del bene a titolo oneroso, ovvero la sua assegnazione ai soci, la destinazione a finalità extra-impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore in data anteriore a quella di inizio del quarto esercizio successivo a quello di rivalutazione (1.1.2017), le plus o minusvalenze fiscali dovranno essere determinate considerando il costo del bene ante rivalutazione.

Il saldo attivo della rivalutazione potrà essere oggetto di affrancamento anche parziale versando un’ulteriore imposta del 10%.

Le imposte sostitutive possono essere versate o compensate in tre rate annuali di pari importo, senza interessi, di cui la prima entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, e le altre con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo dei successivi periodi di imposta.

Secondo quanto esplicitamente affermato al comma 146 dell’art. 1, alla nuova legge di rivalutazione risultano applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 11, 13, 14 e 15 della L. 21.11.2000, n. 342, quelle del D.M. 13.4.2001, n. 162, nonché le disposizioni del regolamento di cui al D.M. 19.4.2002, n. 86, e dei commi 475, 477 e 478 dell’art. 1 della L. 30.12.2004, n. 311. Di conseguenza, molte problematiche applicative emergenti dovrebbero poter essere affrontate sulla base delle indicazioni di prassi già rese dall’amministrazione finanziaria.

La determinazione dei valori

La norma di rivalutazione in esame non richiede obbligatoriamente l’effettuazione di una perizia sui beni da rivalutare: questa si rende tuttavia consigliabile in considerazione delle notevoli responsabilità gravanti su responsabili e amministratori.

La perizia potrebbe risultare necessaria soprattutto quando si trattasse di procedere alla rivalutazione di beni già rivalutati in passato, possibile in particolare nelle seguenti situazioni:

  1. nella precedente rivalutazione è stata effettuata una rivalutazione soltanto parziale del bene;
  2. il valore rivalutato è stato ridotto, civilisticamente e fiscalmente, dagli ammortamenti effettuati in seguito;
  3. pur essendosi la prima rivalutazione attestata sui valori massimi, il bene ha subìto un ulteriore incremento di valore, che lascia aperta la possibilità di un nuovo adeguamento.

Gli amministratori devono prestare in ogni caso la massima attenzione alla congruità e correttezza dei valori esposti in bilancio in esito alla rivalutazione, anche in considerazione delle possibili contestazioni in sede di controllo fiscale.

Le modalità di rivalutazione

Il rinvio a precedenti norme di rivalutazione e ai relativi decreti di attuazione, contenuto nelle disposizioni della legge di stabilità, consente di verificare anche la possibilità di applicare le circolari e le risoluzioni riferite a tali norme precedenti.

In particolare, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 22/E del 6.5.2009, ha fornito chiarimenti in merito ai commi da 16 a 23 dell’art. 15 del D.L. 29.11.2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28.1.2009, n. 2.

Tale rivalutazione poteva essere operata sul piano civilistico e assumere eventualmente rilevanza (verso l’assolvimento dell’imposta sostitutiva) anche ai fini fiscali.

Quanto alle modalità con le quali effettuare la rivalutazione, la circolare fa rinvio ai metodi indicati nell’art. 5 del D.M. n. 162 del 2001, ai sensi del quale, per i beni ammortizzabili, la rivalutazione – fermo restando il rispetto dei principi contabili – può essere eseguita, alternativamente:

  1. rivalutando sia i costi storici sia i fondi di ammortamento in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti;
  2. rivalutando soltanto i valori dell’attivo lordo;
  3. riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento.

Queste indicazioni conservano il proprio valore anche all’interno della nuova procedura di rivalutazione.

La rivalutazione non può portare il costo storico del bene rivalutato a un valore superiore a quello di sostituzione. Per valore di sostituzione si intende il costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia, oppure il valore attuale del bene incrementato dei costi di ripristino della sua originaria funzionalità.

La rivalutazione proporzionale del valore lordo dei beni e del fondo ammortamento (ipotesi 1) consente di ammortizzare il bene secondo il piano di ammortamento originario.

La rivalutazione del solo valore lordo (ipotesi 2) può invece determinare sia il mantenimento che un prolungamento (se viene mantenuto inalterato il precedente coefficiente) della durata del periodo di ammortamento.

La metodologia che prevede la sola riduzione del fondo di ammortamento (ipotesi 3) determina invece sempre un allungamento del periodo di ammortamento.

Qualunque sia il metodo adottato, il limite massimo della rivalutazione – come stabilito all’art. 11 della L. n. 342 del 2000 (applicabile anche alla rivalutazione della legge di stabilità 2014) – è rappresentato dal valore economico del bene1.

È stato osservato che:

  1. l’applicazione del primo metodo (rivalutazione parallela costo storico + fondo), pur comportando l’allungamento della vita utile del bene, produce effetti di equilibrio;
  2. l’applicazione del secondo metodo (rivalutazione del solo costo storico) produce l’incremento delle quote di ammortamento, che peraltro restano fiscalmente indeducibili fino al 2016 (in questa situazione, le imprese con utili limitati potrebbero generare perdite di esercizio per effetto degli ammortamenti, incorrendo anche negli svantaggi derivanti dall’applicazione della normativa speciale in materia di società non operative e in perdita sistemica);
  3. il terzo metodo (riduzione del fondo) potrebbe risultare il più vantaggioso in un periodo di congiuntura economica negativa, giacché, pur incrementando il valore del bene, non richiede lo stanziamento di maggiori ammortamenti annuali, perché questi sono calcolati su un costo storico che resta inalterato2.

L’impossibilità di rivalutare solo civilisticamente

Per quanto è stato affermato dagli esperti dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito della manifestazione «Telefisco» del 31.1.2014, la norma di rivalutazione attuale – art. 1, comma 143 della L. n. 147/2013 – prevede, con formulazione analoga a quella di disposizioni precedenti (art. 1, comma 470, L. n. 266/2005), che il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto a fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

Con riguardo alla più vecchia disposizione citata, l’Agenzia ha fatto presente che la rivalutazione effettuata in sede contabile doveva necessariamente assumere valenza fiscale con il versamento dell’imposta sostitutiva3.

Non è quindi consentito procedere a una rivalutazione con rilevanza solo civilistica, senza il versamento dell’imposta sostitutiva.

Al contrario, nella legge di rivalutazione immediatamente precedente – art. 15, D.L. n. 185/2008 – era stata prevista la possibilità di effettuare una rivalutazione con rilevanza solo civilistica a fronte del diverso tenore letterale della norma.

Le categorie omogenee: il problema delle aree edificate

La lettura del D.M. 13.4.2001, n. 162 – art. 4, quinto comma – consente di rilevare le seguenti categorie omogenee, nelle quali devono essere obbligatoriamente inseriti i beni rivalutabili:

  1. aree fabbricabili aventi la stessa destinazione urbanistica;
  2. aree non fabbricabili;
  3. fabbricati non strumentali;
  4. fabbricati strumentali per destinazione ai sensi dell’art. 40 (ora art. 43), secondo comma, primo periodo del TUIR;
  5. fabbricati strumentali per natura ai sensi dell’art. 40 (ora art. 43), secondo comma, secondo periodo TUIR.

Secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate 10.3.2009, n. 11/E, che faceva richiamo anche alle precedenti circolari n. 1/E del 19.1.2007 e n. 11/E del 16.2.2007, lo scorporo del valore dell’area pertinenziale / afferente all’immobile deve essere operato anche ai fini della rivalutazione,

«con la conseguenza che il valore delle aree occupate dalla costruzione e quelle che ne costituiscono pertinenza va compreso nella categoria degli immobili non ammortizzabili».

Quanto all’inclusione dei beni ammortizzabili all’interno delle categorie omogenee, la già citata e di poco successiva circolare n. 22/E del 2009 fa riferimento per gli immobili alle due categorie degli immobili ammortizzabili e degli immobili non ammortizzabili (art. 15, comma 17, D.L. n. 185/2008).

Secondo la pronuncia dell’Agenzia,

«possono essere rivalutate anche le aree occupate dalla costruzione e quelle che ne costituiscono pertinenza. La circolare n. 11/E del 2009 ha chiarito che ai fini della rivalutazione tali aree vanno comprese nella categoria omogenea degli immobili non ammortizzabili, mentre il fabbricato, se strumentale, deve essere compreso nella diversa categoria degli immobili ammortizzabili».

«È evidente come la suddetta qualificazione sia obbligatoria e non facoltativa: l’articolo 36, comma 7, del decreto legge n. 223 del 2006, ai fini dell’individuazione della quota ammortizzabile relativa ai fabbricati, qualifica le aree sottostanti o quelle di pertinenza di un fabbricato strumentale come aree non ammortizzabili, indipendentemente dalla circostanza che l’area stessa sia iscritta in bilancio unitamente al valore del fabbricato ovvero separatamente.

Poiché, tuttavia, l’area dà luogo a una categoria omogenea diversa da quella del fabbricato, il contribuente potrà decidere di rivalutare la sola area ovvero il solo fabbricato».

Per le cave tuttavia, il cui costo è deducibile anche fiscalmente nel limite della quota imputabile a ciascun periodo di imposta, l’Agenzia ha ritenuto che le stesse rientrino nella categoria omogenea degli immobili ammortizzabili, giacché il maggior valore attribuito a questi beni in sede di rivalutazione incrementa l’ammontare dell’importo fiscalmente deducibile.

Una criticità può ravvisarsi, con riguardo alla nuova legge di rivalutazione, considerando che il predetto decreto ministeriale non fa riferimento a una categoria omogenea dedicata ad accogliere i soli immobili non ammortizzabili.

Il comma 143 dell’articolo unico della legge di stabilità prevede però le due distinte aliquote (del 16% e del 12%) per i beni ammortizzabili e non.

Gli immobili ammortizzabili sono evidentemente ricompresi entro i cespiti con aliquota maggiore (16%), e quelli non ammortizzabili nell’altra categoria rivalutabile (12%).

Il problema è quindi di far rientrare le aree sottostanti e pertinenziali in una delle due aree (beni ammortizzabili e non).

A parere di chi scrive, l’area può ritenersi edificabile se e in quanto sia suscettibile – anche prospetticamente – di utilizzazione edificatoria: pertanto un’area pertinenziale o sottostante il fabbricato è non edificabile (sempre che il fabbricato sovrastante non venga demolito).

Diversamente argomentando, l’area potrebbe essere ritenuta non edificabile solo se a destinazione agricola, cioè inidonea all’edificazione secondo la pianificazione regionale, comunale, etc. Se così fosse (ma sul punto potrebbero intervenire delle precisazioni ufficiali), non risulterebbe chiaro come procedere alla rivalutazione di queste entità contabili (dotate di valori e riflessi fiscali).

5 marzo 2014

Fabio Carrirolo

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NOTE

1 Cfr. circolare dell’Agenzia delle Entrate 13.6.2006, n. 18/E, par. 1.4.

2 Cfr. P. Meneghetti, «Rivalutazione dei beni con tre opzioni in bilancio», Il Sole 24 ore, 10.02.2014, pag. 16.

3 Sono state richiamate al riguardo le circolari n. 18/E del 2006 e n. 11/E del 2009.