Rivalutazione dei beni d'impresa e aumento della patrimonializzazione

La rivalutazione degli assets ha rappresentato un’opportunità per ottenere un vantaggio fiscale e/o per aumentare la patrimonializzazione.
Attraverso uno studio empirico – e mediante l’analisi delle determinanti della rivalutazione – sono emersi interessanti scenari interni ed esterni alle imprese che hanno giustificato questa operazione.
Le scelte strategiche e la consulenza aziendale di alto livello hanno determinato, ancora una volta, la possibilità di realizzare un vantaggio fiscale e/o un miglioramento del livello di patrimonializzazione.

rivalutazione beni impresaNel sistema dei valori di bilancio, la dottrina economico-aziendale e il legislatore hanno da sempre sposato il principio della prudenza.

Partendo da questa assunzione, il criterio di valutazione che tradizionalmente ne ha rappresentato l’applicazione più coerente per valutare le singole poste di bilancio è quello del costo (c.d. “criterio del costo storico”).

Infatti, detto criterio prevede che gli elementi patrimoniali di bilancio siano valutati e commisurati ai costi che l’impresa ha sostenuto per procurarseli, ovvero il costo di acquisizione/produzione.

Il criterio del costo storico, pur avendo diversi vantaggi applicativi – lascia minore spazio alla discrezionalità del redattore del bilancio; è di semplice applicazione e controllo – ha il limite di non incorporare le variazioni di potere di acquisto della moneta (in particolare quelle negative che si traducono nel fenomeno dell’inflazione) e l’effetto positivo che straordinariamente potrebbe scaturire sul valore dei beni aziendali da eventi esterni all’impresa.

In determinate circostanze (ad esempio in periodi di forte svalutazione monetaria) e rispetto a determinati elementi (beni durevoli con utilizzazione prolungata nel tempo) sono emersi dubbi sulla significatività dei valori storici e sulla loro valenza informativa: è così iniziata una riflessione critica circa il criterio base (del costo storico), aprendo l’ipotesi se esso potesse essere derogato.

Sul tema, la letteratura economico-aziendale ha recepito un vivace dibattito che, ad oggi, non risulta ancora risolto in maniera univoca; dal canto suo il legislatore si è astenuto dall’intervenire in modo organico sull’articolato del codice civile, preferendo la strada di ricorrere, da anni, all’emanazione di leggi speciali di rivalutazione che, in modo erratico, ma non del tutto episodico nel tempo, hanno consentito e consentono alle imprese di riesprimere i valori in bilancio di elementi patrimoniali attivi, ritenuti per diversi motivi non più significativi.

Tali leggi speciali di rivalutazione perseguono obiettivi di utilità generale, favorendo la continuità operativa delle imprese mediante il rafforzamento del loro profilo strutturale.

Sul piano contabile, la rivalutazione delle attività d’impresa consiste nell’accrescimento del loro valore, in contropartita ad un diretto aumento di patrimonio netto (che confluisce nella voce “Riserva di rivalutazione”); si ottiene, quindi, un miglioramento immediato degli indici di patrimonializzazione dell’impresa.

L’aumentata reputazione patrimoniale è foriera del miglioramento del rating finanziario/bancario; infatti, un aumento del patrimonio netto potrà beneficiare l’impresa in termini di merito creditizio e più in generale nelle relazioni con il sistema bancario, questo sia in termini di condizioni di finanziamento più convenienti che alla possibilità di (ulteriore) accesso al credito.

L’aumento della patrimonializzazione può rappresentare, altresì, un elemento di attrattività anche per investitori esterni all’impresa e così per tutti gli stakeholders.

Nella maggior parte dei casi, come noto, queste leggi hanno avuto anche una rilevanza fiscale oltre a quella civilistica, regolata attraverso un’imposta sostitutiva sui plusvalori; detta imposta è sempre stata inferiore alle aliquote (marginali) gravanti sul reddito, venendo così, nel tempo, a configurarsi come un’opportunità interessante per le imprese.

Il profilo strategico dell’operazione, quindi, può incentrarsi anche sull’obiettivo di abbattimento del carico fiscale.

In particolare, consapevoli delle circostanze secondo le quali le regole fiscali influenzano i risultati complessivi della gestione, è del tutto ragionevole supporre che la minimizzazione degli oneri fiscali (c.d. tax avoidance), operata mediante una scrupolosa attività di pianificazione (c.d. tax planning), sia uno dei principali obiettivi alla base della rivalutazione.

Infatti, sarebbe fuorviante pensare che quella fiscale costituisca una variabile del tutto esogena, alla quale l’impresa deve limitarsi a sottostare; difatti, molte decisioni di gestione caratteristica, patrimoniale e finanziaria sono fortemente condizionate dall’impatto fiscale, in quanto esso non è neutrale rispetto alle diverse alternative di azione.

 

Riflessioni a partire da uno studio empirico sulla rivalutazione dei beni d’impresa

Le considerazioni che precedono hanno motivato e sono state verificate da uno studio condotto su un campione di 117.606 imprese italiane e ci ha consentito di rispondere ad alcuni quesiti di ricerca volti ad indagare quando, come e perché le imprese hanno rivalutato (o meno) i propri assets.

Le leggi speciali di rivalutazione oggetto dello studio sono state le seguenti: L. 147/2013, L. 208/2015, L. 232/2016, L. 145/2018, L. 160/2019 e il D.L. 104/2020.

 

Tabella 1: Sintesi del campione di imprese
Anno
Legge di rivalutazione
Numerosità del campione
%
di cui imprese rivalutatrici
%
di cui imprese non rivalutatrici
%

2013

L. 147/2013

18.841

16,02%

508

2,70%

18.333

97,30%

2015

L. 208/2015

18.891

16,06%

353

1,87%

18.538

98,13%

2016

L. 232/2016

19.181

16,31%

391

2,04%

18.790

97,96%

2018

L. 145/2018

20.063

17,06%

270

1,35%

19.793

98,65%

2019

L. 160/2019

20.054

17,05%

314

1,57%

19.740

98,43%

2020

D.L. 104/2020

20.576

17,50%

4.992

24,26%

15.584

75,74%

Totali

117.606

100,00%

6.828

5,81%

110.778

94,19%

 

Nel campione, osserviamo una percentuale di adesione media, nelle ultime sei leggi speciali di rivalutazione (dal 2013 al 2020), del 5,81%, la cui distribuzione non è uniforme; infatti, soltanto la legge del 2020 ha registrato un’alta percentuale di “successo”, pari al 24,26%, rispetto alla percentuale media delle ultime cinque leggi precedenti (dal 2013 al 2019) pari all’1,89%.

L’analisi ha interessato lo studio dell’eventuale associazione esistente tra la scelta di rivalutare o meno determinati assets d’impresa e alcune variabili esplicative di natura reddituale, patrimoniale, finanziaria e qualitativa.

Inoltre, al fine di indagare in che modo una serie di variabili siano in grado di influenzare la probabilità che le imprese decidano di rivalutare ai soli fini civilistici o con rilevanza anche fiscale, è stata condotta un’analisi addizionale.

Rispetto all’analisi principale abbiamo osservato che le imprese “rivalutatrici” hanno mediamente un maggiore rapporto di indebitamento (e quindi una minore patrimonializzazione), una maggiore esposizione bancaria, una minore liquidità e una maggiore redditività.

Inoltre, la rivalutazione è statisticamente più probabile quando l’aliquota dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è minore.

Allo stesso modo, quando la rilevanza fiscale è meno remota, quando il versamento dell’imposta sostitutiva è maggiormente dilazionato, quando il rientro del versamento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è inferiore e in assenza di perdite fiscali osserviamo che la rivalutazione viene maggiormente sfruttata.

Con lo stesso segno, nell’analisi addizionale, abbiamo osservato che le imprese che si sono limitate a rivalutare solo civilisticamente – rispetto a coloro che hanno rivalutato con rilevanza anche fiscale – hanno mediamente un maggiore rapporto di indebitamento (e quindi una minore patrimonializzazione), una maggiore esposizione bancaria, una minore liquidità e una minore redditività.

Inoltre, la rivalutazione con rilevanza anche fiscale è statisticamente più probabile quando il rientro del versamento dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è inferiore.

Allo stesso modo, osserviamo che mediamente le imprese sono maggiormente propense a rivalutare con rilevanza anche fiscale quando l’aliquota dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione è inferiore, quando la rilevanza fiscale è meno remota e quando il versamento dell’imposta sostituiva sulla rivalutazione è maggiormente dilazionato.

Nel grafico 1 vengono rappresentate le intensità delle variabili, in cui la tonalità più scura è associata ad un’intensità maggiore della variabile esplicativa.

 

Grafico 1: Andamento delle variabili rispetto alle ipotesi

rivalutazione beni impresa

 

Le nostre conclusioni

Lo studio ci ha consentito di concludere che, mediamente, le imprese rivalutano in presenza di una situazione patrimoniale poco favorevole e, precisamente, quando hanno necessità di migliorare il proprio livello di patrimonializzazione.

Invero, le imprese rivalutando riescono a migliorare la propria composizione patrimoniale e così a mostrare ad eventuali finanziatori, e comunque a tutti i propri stakeholders, una situazione più solida.

Detto miglioramento patrimoniale interessa anche il relativo rating finanziario/bancario, su cui si genera un duplice beneficio:

  1. l’aumento della capacità di indebitamento e quindi la possibilità di (ulteriore) accesso al credito e
     
  2. il miglioramento nelle condizioni di finanziamento.

Allo stesso modo, le imprese in crisi di liquidità risultano essere maggiormente disposte a rivalutare i propri assets al fine di migliorare la propria struttura patrimoniale, potendo così mostrare una situazione più solida per l’accesso al finanziamento di terzi.

Non di meno, numerose leggi speciali di rivalutazione concedevano la facoltà alle imprese di rateizzare il versamento dell’imposta sostitutiva, e quindi un ulteriore aspetto positivo a conferma delle precedenti deduzioni, ovvero che il beneficio generato dal miglioramento della struttura patrimoniale risulta essere superiore all’onere (non sempre immediato, poiché rateizzabile) derivante dall’imposta sostitutiva sulla rivalutazione.

Sul lato della redditività, le imprese che optano per la rivalutazione presentano una reddittività mediamente maggiore rispetto a coloro che non hanno usufruito di detta facoltà.

Questa evidenza era prevedibile, poiché solamente in presenza di una redditività favorevole l’impresa riuscirebbe a scontare le maggiori quote di ammortamento e a godere del beneficio fiscale della rivalutazione – rappresentato dallo spread tra l’aliquota d’imposta marginale sul reddito e l’aliquota dell’imposta sostitutiva – altrimenti in presenza di perdite fiscali, il vantaggio tributario si sarebbe annullato o comunque ritardato (si pensi alle perdite fiscali riportate a nuovo per essere utilizzate in compensazione a futuri risultati positivi).

Infine, com’era nelle nostre aspettative, rispetto alle leggi speciali di rivalutazione degli ultimi 10 anni, è emerso che la legge che ha avuto il maggior numero di adesioni è stata quella prevista dal D.L. 104/2020, infatti rispetto alle precedenti differiva su tre aspetti importanti:

  1. consentiva di rivalutare singoli beni e non più doveva essere ancorata alle c.d. “categorie omogenee” di beni;
     
  2. l’aliquota dell’imposta sostitutiva era notevolmente inferiore alle precedenti (3% vs. oltre il 16%); e c) la rilevanza fiscale ai fini della deducibilità degli ammortamenti (per i beni ammortizzabili) era immediata.

 

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A cura di Andrea Fazi, Marco Maria Mattei e Ivanoe Tozzi

Mercoledì 24 Agosto 2022