Il procedimento di accertamento deve essere privo di vizi: il caso Lista Falciani

Partendo dal caso della Lista Falciani e dalle particolari modalità di acquisizione dei dati bancari di contribuenti con conti in paradisi fiscali, vediamo quali lezioni si possono trarre rispetto alle generali regole sull’accertamento.

L’accertamento è l’esito di un processo/procedimento che deve assicurare la corretta formazione della pretesa tributaria mediante l’adozione di una sequenza ordinata e progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, che hanno diverse e specifiche funzioni.

In sintesi gli atti che concorrono alla formazione della pretesa tributaria possono essere distinti in:

  1. Atti di verifica e controllo finalizzati all’acquisizione dei presupposti di fatto e dei relativi elementi probatori sulla base del quale potrà essere radicata la pretesa tributaria;

  2. Atti di accertamento mediante i quali sono portati a conoscenza del contribuente gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti di ufficio;

  3. La notificazione che perfeziona la conoscenza dell’accertamento da parte del contribuente.

 

Soffermandoci sugli atti amministrativi di verifica e controllo, di cui al precedente punto 1), non vi è dubbio che questi non solo potranno essere più di uno, ma potranno anche assumere articolati atteggiamenti consequenziali.

La questione sulla quale occorre quindi esercitare una rilevante attività di valutazione dovrà ora vertere, non tanto sulla zona per la quale l’accertamento possa essere ritenuto valido quando fondato su elementi probatori acquisiti “illecitamente”, fattispecie pacificata dalla giurisprudenza ancorché con alcuni distinguo, ma sull’ipotesi per la quale la stessa attività ispettiva sia innescata e stimolata da elementi probatori di origine illecita.

 

 

Il principio dell’illegittimità derivata

verifiche fiscale illegittime Nel dritto Italiano vige una norma di principio generale contenuta nell’art. 191 del cpp la quale stabilisce che, le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate e l’inutilizzabilità è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Di analoga portata l’articolo 240 c. 2 del c.p.p. il quale prevede che il PM, dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti. [..] di essi è vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato.

Il principio dell’illegittimità derivata è previsto oltre che nel diritto processuale penale anche nel diritto processuale civile e in quello processuale amministrativo.

Appare opportuno precisare che, quanto meno nel diritto processuale amministrativo, l’illegittimità derivata opera quando l’atto consequenziale sia legato all’atto illegittimo da un nesso di presupposizione.

 

Ne deriva quindi ed intanto una prima condizione generale: il nesso di presupposizione.

Tale nesso di presupposizione può essere valutato su tre livelli di latitudine:

  1. Una parte della giurisprudenza asserisce la necessità che il secondo atto sia meramente confermativo od esecutivo del primo, e cioè privo di qualsivoglia ulteriore margine di discrezionalità in capo all’amministrazione, che, ove debba emanare il provvedimento finale basandosi su quello presupposto, possa solo porre in essere un provvedimento siffatto.
  2. Una teoria leggermente meno restrittiva richiede uno stretto legame di presupposizione logico-giuridica, rappresentando il provvedimento a monte la premessa giustificativa in fatto ed in diritto di quello a valle.
  3. Un’altra corrente parla di collegamento genetico, che si configura quando entrambi i provvedimenti trovano origine nella medesima sequenza procedimentale, e gli atti sono connessi logicamente oltre che cronologicamente.

Nella giurisprudenza amministrativa è stato ulteriormente affermato che, l’effetto caducante potrà operare non in presenza di un semplice nesso di presupposizione ma necessita che il primo atto (illegittimo) sia l’unico presupposto, l’unica giustificazione logico-giuridica, del secondo (in logica si parla di condizione necessaria e sufficiente).

Nel diritto tributario e, in particolare, nel D.lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, che disciplina e regola il processo tributario, il principio di illegittimità derivata è completamente ignorato anche nella sua accezione che considera nullo l’atto finale, emanato sulla base di prove acquisite contra legem.

E’ la giurisprudenza tributaria che è intervenuta con una serie di decisioni altalenanti che ha tentato di colmare il vuoto legislativo.

 

In giurisprudenza si è affermato il principio secondo il quale non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, ed esclusi, ovviamente, in casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio etc . . ); non è invece invocabile nella fase amministrativa di accertamento la tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost..

Con sentenza della Cassazione 11 novembre 2011, n. 23595, è stato inoltre affermato che,

« gli effetti dell’eventuale vizio dell'”atto istruttorio prodromico”, peraltro, giusta il generale principio di conservazione degli atti giuridici (anche amministrativi: per la sufficienza, ai fini della conservazione del provvedimento amministrativo sorretto da piu’ ragioni giustificatrici, tra loro autonome e non contraddittorie, del fondamento anche di una sola di esse, cfr. Cons. Stato, 1, 26 maggio 2010 n. 2745, ex plurimis), in base al quale utile per inutile non vitiatur, vanno limitati alle parti dell’atto definitivo (impositivo) che sono legati a quello “istruttorio prodromico” da un nesso di insostituibile, necessaria consequenzialita’, con esclusione, quindi, di quelle parti (come di distinte e diverse pretese tributarie) che ne siano del tutto indipendenti “.

In sostanza l’attuale scenario interpretativo giuridico appare sintetizzabile come segue:

  • Non tutti i vizi che interessano l’acquisizione degli elementi probatori sono sufficienti ad assumere la causa caducante derivata dell’atto successivo, tale sufficienza è ottenuta solo quando il vizio perfeziona la violazione di norme in materia di tutela dei diritti soggettivi tutelati dalla costituzione;

  • Nei casi di cui sopra l’acquisizione di elementi probatori mediante attività “illecita” non ne consente l’utilizzo ai fini probatori della pretesa tributaria espressa nell’atto impositivo;

  • Se l’atto impositivo trova causa probatoria su documenti di origine illecita e su documenti di origine lecita, per il principio della conservazione degli atti giuridici, la pretesa tributaria è validata per la parte imputabile ai documenti lecitamente acquisiti.

 

Da tale quadro interpretativo si identificano le condizioni di operatività dell’illegittimità derivata nel processo tributario:

  1. la violazione procedimentale in sede istruttoria deve essere direttamente connessa da un nesso di presupposizione almeno di tipo logico giuridico con la pretesa tributaria;
  2. la violazione procedimentale deve essere lesiva di un diritto fondamentale tutelato dalla costituzione (il diritto della riservatezza, il diritto alla libertà personale, il diritto inviolabile del domicilio, ecc..).

 

 

LISTA FALCIANI, LA VICENDA E LE ATTIVITA’ DI CONTROLLO DI VERIFICA IN ITALIA

Non è intenzione dello scrivente romanzare sulla vicenda “FALCIANI”, e volendo assumere un taglio pratico appare appagante in questo contesto narrare che la famosa lista Falciani è stata elaborata sulla base di dati ed informazioni acquisite dall’autorità francese a seguito di un’attività investigativa effettuata nei confronti del sig. Hervè Falciani, il quale introducendosi abusivamente e contro la volontà di chi aveva il diritto ad escluderlo (e quindi illecitamente) in un sistema informatico riservato (dati della banca svizzera HSBC Private Bank di Ginevra) aveva, al tempo, la disponibilità di files contenenti dati ed informazioni di 127.000 conti correnti e rapporti finanziari intrattenuti dalla detta banca Svizzera.

In ottemperanza alla direttiva sullo scambio di informazioni N. 77/799/CEE l’ autorità francese (la Procura di Nizza), nel giugno 2010, ha trasmesso i dati, come sopra acquisiti illecitamente, per rogatoria (volontariamente e lecitamente) alla procura di Torino che a sua volta ha provveduto ad inoltrarli alle amministrazioni fiscali e alle altre Procure italiane interessate.1

E’ sulla base di tali informazioni di natura finanziaria che le amministrazioni fiscali italiane hanno avviato le attività di controllo e verifica ed hanno emesso gli atti di accertamento nei confronti dei soggetti coinvolti nella vicenda.

 

Utilizzo valido della Lista Falciani negli atti di accertamento, l’orientamento giuridico

Sono i giudici di merito che, in attesa della convalida di legittimità della Suprema Corte di Cassazione, hanno individuato il criterio interpretativo in ordine alla utilizzabilità delle informazioni contenute nella lista Falciani stabilendo che quest’ultima non può essere utilizzata in alcun modo ai sensi dell’art. 240 co. 2 del cpp.

In particolare la CTR della Lombardia, con la sentenza del 28 gennaio 2013 N. 11/20/13 ha precisato che “non vi è dubbio che i documenti in questione (dati estratti dalla lista Falciani) siano stati formati attraverso la raccolta illegale di informazioni, trattandosi di files contenuti in un sistema informativo riservato nel quale il Falciani si è abusivamente introdotto conto la volontà di chi aveva diritto ad escluderlo integrando così secondo il più recente e condivisibile orientamento giurisprudenziale (cass – sez V sent. 18.01.11 N. 24583) il reato di cui all’art. 615 ter CP e il reato di appropriazione indebita aggravata di documenti ai sensi degli artt 648 e 61 n. 11 CP.

Trattandosi, pertanto di documenti di origine illecita il loro contenuto non può essere utilizzato in un processo ex art. 240, c. 2 cpp.

I giudici di merito affermano inoltre che, l’utilizzo delle informazioni acquisite dalle Autorità Francesi nelle modalità illegali sopra esposte costituisce tra l’altro un reato previsto e punito dall’art. 3 della L 281/20062.

La sentenza precisa ulteriormente che, i documenti sulla base del quale è radicato l’atto di accertamento sono chiaramente il frutto di una condotta delittuosa nei confronti del contribuente difettando di qualsiasi visto di conformità rispetto agli originali.

Ne derivano i seguenti principi:

  1. i documenti di cui alla Lista Falciani non possono essere utilizzati utilmente ai fini dell’accertamento ai sensi dell’art. 240 co. 2 C.P.P.;
  2. ai sensi del co. 3 dell’art. 240 C.P.P. il pubblico ministero acquisiti i documenti ai sensi del co. 2 dell’articolo 240 del C.P.P., entro 48 ore, deve chiedere al giudice per le indagini preliminare di disporne la distruzione;
  3. l’atto di accertamento fondato esclusivamente sui documenti di cui alla Lista Falciani deve essere annullato3;
  4. dall’inutilizzabilità a monte dei dati contenuti nella lista Falciani, discende l’illegittimità dell’acquisizione dei detti dati da parte dell’autorità francese, nonché della successiva trasmissione alle altre autorità europee e in via derivata, l’inutilizzabilità generale delle informazioni da parte dell’amministrazione finanziaria;
  5. la trasmissione, in ottemperanza alla direttiva sullo scambio di informazioni N. 77/799/CEE, ancorché volontaria e lecita, da parte della procura francese, non sana l’illecita acquisizione della documentazione effettuata dal Falciani.

In conclusione, gli atti di accertamento unicamente fondati sulla documentazione di origine illecita non sono validi e pertanto gli atti di accertamento radicati sulla lista Falciani sono Nulli.

Non si può notare che, l’orientamento giuridico sopra esposto appare troppo proiettato sulle disposizioni del processo penale che come noto non trovano automatica applicazione nel processo tributario.

Appare quindi più appagante la tesi già esposta secondo la quale, nel caso in concreto, trova la seguente traiettoria applicativa: poiché la procedura di acquisizione dei dati di cui alla Lista Falciani è avvenuta in violazione della legge e poiché tale violazione è anche lesiva del diritto di riservatezza, l’utilizzabilità di tali informazioni deve essere esclusa anche nel procedimento di accertamento finanziario.

 

Utilizzabilità della Lista Falciani nelle attività istruttorie

Diverso dalla fattispecie sopra esaminata è il caso in cui l’amministrazione finanziaria, partendo dai dati ed informazioni contenuti nella lista Falciani, attivi una ulteriore e diversa attività di verifica, come ad esempio l’attività istruttoria di indagine finanziaria, mediante richiesta di dati, notizie e documenti agli enti finanziari che hanno intrattenuto rapporti con i contribuenti i cui nominativi sono stati acquisiti proprio dalla consultazione della detta lista.

In altri termini ci si chiede se l’avvio dell’attività istruttoria che trovi la “ragione” in informazioni di derivazione illecita, sia in ogni caso un’attività amministrativa legittima e lecita, ovvero diversamente l’illiceità del fatto che è causa di innesco dell’attività istruttoria ne determina dapprima l’invalidità di questa, e per il principio della illegittimità derivata, la conseguente illegittimità dall’atto impositivo seguente.

Il caso è quello in cui i militari della Guardia di Finanza, sulla base dei dati contenuti nella lista Falciani avviano la procedura di controllo di cui al numero 7 del primo comma dell’articolo 32 del DPR 600/73, e sulla base dei dati finanziari relativi ai conti correnti del contribuente, diversi da quelli di cui alla detta lista Falciani, predispongono un PVC che esprime un’ipotesi di maggiore pretesa tributaria radicata sulle presunzioni di cui al numero 2 del primo comma dell’articolo 32 del DPR 600/73.

Ci si chiede quindi se, sul presupposto che i dati della lista Falciani non possono essere utilizzati in quanto di origine illecita, la procedura sopra descritta possa consentire l’emissione di un atto di accertamento legittimamente valido.

Nel tentativo di fornire una soluzione va posto in evidenzia che nel caso in esame l’atto di accertamento non è fondato su documenti di origine illecita ma sui movimenti finanziari riconducibili al contribuente e acquisiti dall’amministrazione secondo la corretta procedura delle indagini finanziarie.

In altri termini, per il caso in esame, non sussiste il diretto nesso di presupposizione tra atto illecito di acquisizione delle prove e la pretesa tributaria che di fatto è radicata su altri elementi di prova, quelli acquisiti in esito l’indagine finanziaria promossa nei confronti del contribuente.

Non vi è dubbio tuttavia che l’intera procedura di accertamento risulti viziata per l’illiceità del primo atto amministrativo (l’acquisizione illecita dei dati della Lista Falciani) al quale sono collegati da un nesso di presupposizione gli atti amministrativi di verifica ed indagine successivi.

Va inoltre osservato che, i documenti di origine illecita, nell’ambito della procedura di verifica proposta, costituiscono le ragioni e motivazioni di innesco dell’indagine finanziaria domestica; ne deriva che se l’ufficio non avesse avuto la disponibilità della detta documentazione di origine illecita non avrebbe attivato l’attività istruttoria nei confronti del contribuente.

In parole povere, per la fattispecie esposta il criterio di selezione del contribuente da sottoporre a verifica finanziaria è radicato su un’informazione di origine illecita.

Per il caso prospettato volendo attuare una linea difensiva due sono le eccezioni che possono essere sollevate nel ricorso tributario per la contestazione della validità dell’atto impositivo:

1 – illegittimità derivata degli atti amministrativi collegati da un nesso di presupposizione:

La prima soluzione, in linea con quella fin qui esposta dell’illegittimità derivata, consiste nel valutare l’intera procedura come una serie sequenziali di atti e provvedimenti, laddove l’illegittimità dell’uno determina la caducazione di tutti quelli successivi, sempre ché l’illegittimità riscontrata sia anche offensiva di un diritto fondamentale di rango costituzionale (che come nel caso in esame è perfezionato con la violazione del diritto della riservatezza); ne deriva che l’illecita acquisizione della lista Falciani è causa di illegittimità di tutti gli atti amministrativi successivi che ne sono collegati da un nesso consequenziale e di presupposizione, rappresentando l’atto amministrativo a monte (l’acquisizione illecita) la premessa giustificativa in fatto ed in diritto di quello a valle, vale a dire l’atto amministrativo di verifica ed indagine finanziaria sui conti correnti del contribuente.

D’altronde tale eccezione trova conferma nell’attuale orientamento giuridico di merito che esclude l’utilizzabilità dei dati contenuti nella lista falciani in applicazione del principio della illegittimità derivata secondo il seguente nesso logico:

dall’inutilizzabilità a monte dei dati perché acquisiti in esito ad un furto (atto illecito) discende la conseguente illegittimità dell’acquisizione della lista falciani da parte dell’autorità francese, come pure la successiva attività amministrativa di trasmissione alle altre autorità europee ed in fine ed in via derivata l’inutilizzabilità delle informazioni da parte dell’amministrazione finanziaria Italiana (a prescindere dalla tipologia di utilizzo).

2 – Illegittimità per violazione derivata del principio di imparzialità:

La seconda soluzione verte sui criteri di selezione dei soggetti da sottoporre a verifica, criteri che devono essere conformi al principio della imparzialità, principio che trova anch’esso tutela costituzionale.

Ora il punto è questo: è possibile sulla base di un dato acquisito illegalmente, che non prova alcuna violazione, avviare una procedura di controllo di verifica nei confronti del contribuente? Lo scrivente ritiene di “no”, oltre che per quanto esposto al precedente punto 1, anche per violazione del principio fondamentale, di rango costituzionale, dell’imparzialità, principio che trova la sua tutela anche nella legge dello statuto del contribuente laddove è previsto che il contribuente debba essere sempre informato sulle ragioni della verifica e dell’oggetto della stessa.

L’onere di fornire l’indicazione delle ragioni di innesco della verifica, previsto dall’articolo 7 L. 212/2000, è posta proprio a tutela dell’imparzialità nella selezione dei soggetti da sottoporre a verifica.

Si ritiene che questi non potranno essere scelti sulla base di informazioni di origine illecita, tanto meno su decisioni selettive dei funzionari che sarebbero discrezionali in quanto basate su elementi ed informazioni non utilizzabili.

Quando quindi il criterio selettivo è viziato dall’acquisizioni illecita di informazioni (che quindi non dovrebbero essere affatto utilizzabili neanche ai fini della selezione dei soggetti da sottoporre a verifica), e quando tale violazione è oltremodo lesiva del diritto fondamentale di rango costituzionale (quale il diritto alla riservatezza), le successive attività amministrative di verifica e le prove in esito alle stesse acquisite non risultano utilizzabili nel processo tributario.

Le due eccezioni sopra esposte sembrano trovare conferma nelle norme poste a tutela dei diritti fondamentali le quali non si limitano a vietare che il potere pubblico commetta violazioni, ma vietano anche che il potere pubblico si avvantaggi di tali violazioni.

In attesa di una opportuna modifica delle norme che disciplinano il processo tributario, finalizzate a regolamentare in modo più equilibrato i vizi riscontrati nelle attività di indagine e verifica effettuate dall’amministrazione, staremo a vedere quale sarà la formazione dell’orientamento giuridico per le ipotesi sopra descritte.

 

29 aprile 2013

Mario Agostinelli

 

NOTE

1Si segnala che nella vicenda che si narra anche la procedura adottata non appare conforme alle regole che disciplinano la procedura dello scambio di informazioni.

2Art. 3. 1. Chiunque consapevolmente detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensi dell’articolo 240 del codice di procedura penale e’ punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni.

2. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni se il fatto di cui al comma 1 e’ commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.

3 L’atto di accertamento di fatto risulta radicato su documenti dei quali è disposta la distruzione in quanto illecitamente acquisiti all’origine.