La rinuncia al credito configura elusione fiscale

Il contribuente che rinuncia ad un credito senza giustificati motivi può incorrere nel recupero a tassazione della relativa perdita su crediti.

Nel caso in cui il contribuente rinunci ad un credito l’ufficio può disconoscere la minusvalenza e recuperare le maggiori imposte, originandosi in tal caso un’elusione fiscale.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 12622 del 27 luglio u.s., ha affermato che la rinuncia al credito senza una valida motivazione economica dà luogo ad una operazione commerciale che si configura come elusione fiscale.

 

 

Abuso del diritto

abuso del dirittoRappresenta un limite all’esercizio di un diritto soggettivo che viceversa sarebbe potenzialmente illimitato e il soggetto titolare del diritto in questione lo esercita in maniera anomala per finalità ed obiettivi che non sono compresi tra quelli presenti nell’ordinamento giuridico.

L’abuso del diritto è un mezzo per contrastare l’elusione fiscale in quanto rappresenta uno strumento di accertamento semplificato per l’Amministrazione che ha l’onere di provare l’impiego abusivo di una norma giuridica finalizzato a trarre vantaggi economici diversi dal mero risparmio di imposta (Cass. 17 ottobre 2008, n. 25374).

Tali operazioni commerciali poste in essere dal contribuente, pertanto, possono essere disconosciute dall’ufficio finanziario, nel caso in cui le stesse siano prive di valide ragioni economiche.

L’art. 37-bis del Dpr n. 600/73 contiene norme antielusive prevedendo il disconoscimento da parte dell’ufficio di vantaggi economici conseguiti attraverso atti a contenuto elusivo.

Tale disposizione non contiene, quindi, una clausola generale che impedisca quei negozi essenzialmente volti ad ottenere un risparmio fiscale, in quanto limita le difese antielusive del sistema ad alcune determinate operazioni sotto l’aspetto fiscale.

L’abuso del diritto può riguardare anche operazioni non ritenute specificamente elusive dalla legge, in tal caso l’ufficio finanziario non può contestare in modo generico il principio violato ma deve evidenziare le modalità di svolgimento delle operazioni poste in essere, indicando le norme, i divieti o gli obblighi che sono stati oggetto dell’abuso (Cass..27 luglio 2011, n. 16428)1.

In materia tributaria, i giudici di legittimità hanno affermato che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (Cass. 13 maggio 2009 n.10981)2.

Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge stessa, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”. (cfr. anche Cass., SS.UU, 23 dicembre 2008, n. 30055; CTR Emilia Romagna 30 novembre 2010, n. 92).

 

 

Il caso

Nella fattispecie in esame una società aveva rinunciato ad un credito a favore di un’altra società dello stesso gruppo, ottenendo un risparmio di imposta e non aveva fornito valide ragioni economiche all’ufficio accertatore circa l’operazione realizzata. Su tali premesse la società, soccombente sia in primo che secondo grado, ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema Corte, diversamente da quanto statuito dai giudici di merito che avevano qualificato l’operazione come illecita tale da configurare un’evasione fiscale, hanno considerato l’operazione meramente elusiva in quanto avente come conseguenza un indebito risparmio d’imposta. Al riguardo, i giudici hanno ritenuto che l’abuso del diritto consiste nel conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti attraverso l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta.

In materia di accertamento, i giudici di legittimità hanno richiamato, inoltre, il principio di diritto contenuto nell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente) secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia attraverso il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti “a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato” ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti dell’atto che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto dell’atto adottato, e la cui indicazione consente al contribuente di individuare l’atto richiamato in cui sono rintracciabili le parti del discorso che sono alla base della motivazione del provvedimento.

 

3 dicembre 2012

Enzo Di Giacomo

 

NOTE

1Cfr. Cass. 16 febbraio 2012, n. 22193.

2 Cass., SS.UU., 15 novembre 2007, n. 23726. E’ da ritenere abusiva l’operazione di frazionamento di un credito, derivante da un unico rapporto obbligatorio, in plurime richieste giudiziali atteso che tale divisione si pone in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.