Immobili delle imprese: la fiscalità

Ripasso del trattamento fiscale degli immobili delle imprese: la differenza fra immobili merce ed immobili patrimonio, la detraibilità dell’IVA, le operazioni di ristrutturazione.

Immobili delle imprese – Aspetti generali

trattamento fiscale degli immobili aziendaliGli immobili di proprietà delle imprese sono riconducibili a differenti tipologie, in relazione al concorso dei medesimi all’attività (e al reddito) dell’impresa, diretto – se si tratta di immobili strumentali -, ovvero indiretto, se si tratta di beni commercializzati dall’impresa stessa (immobili merce).

Le imprese possono inoltre detenere degli immobili «patrimoniali», i quali, pur essendo di proprietà dell’impresa, non partecipano al ciclo economico della stessa.

Il fatto che possano aversi immobili strumentali per natura e per destinazione, nonché immobili strumentali concessi a terzi in forza, ad esempio, di contratto di locazione, può far sorgere qualche dubbio relativamente alla riconducibilità degli stessi «sempre e comunque» all’attività dell’impresa.

In linea generale, sotto il profilo tributario, può evidenziarsi che gli immobili delle imprese – fabbricati e terreni – si suddividono in:

  • strumentali per destinazione (art. 43, primo comma, primo periodo, TUIR);

  • strumentali per natura (art. 43, primo comma, secondo periodo, TUIR);

  • immobili «merce», produttivi di ricavi secondo le previsioni dell’art. 85 del TUIR;

  • «patrimoniali» (art. 90, TUIR).

 

Si rammenta che sono strumentali:

  • per destinazione, tutti gli immobili – civili o commerciali – utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa da parte del loro possessore;

  • per natura, gli immobili che, per le loro caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, anche se non utilizzati o concessi in locazione o in comodato.

Quello degli immobili che non sono né strumentali, né «merce», costituisce, civilisticamente e fiscalmente, un «tertium genus» di cespiti immobiliari, comprensivo di tutti gli immobili tenuti a disposizione dalle imprese.

 

In particolare: gli immobili patrimoniali

Gli immobili situati in Italia, diversi da quelli strumentali e da quelli costituenti il «magazzino» (tipicamente, dell’impresa di costruzioni) concorrono alla formazione del reddito d’impresa secondo criteri catastali, e le spese ad esse afferenti sono fiscalmente indeducibili (art. 90, TUIR).

La cessione di tali immobili genera plusvalenze imponibili ai sensi dell’art. 86 del TUIR.

L’indeducibilità dei componenti reddituali negativi appare giustificata dal fatto che si tratta di beni in qualche modo isolati dal compendio patrimoniale impiegato nell’esercizio dell’attività d’impresa, e per tale motivo le relative spese sono oggetto dell’«abbattimento» forfetario del 15% (25% per Venezia e le isole) del canone di locazione (art. 37, comma 4-bis, TUIR), o si intendono comunque «assorbite» dall’utilizzo del criterio catastale (art. 37, primo comma, TUIR).

 

Cosa dicono i principi contabili?

La definizione delle immobilizzazioni materiali, sotto il profilo della loro rappresentazione nel bilancio delle imprese, è contenuta nel principio contabile nazionale OIC n. 16, ove è affermato che esse consistono in

«beni di uso durevole, costituenti parte dell’organizzazione permanente delle imprese mercantili ed industriali.

Tali beni vengono impiegati normalmente come strumenti di produzione del reddito della gestione tipica o caratteristica e non sono, quindi, destinati né alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti dell’impresa».

 
Sempre secondo il principio OIC, le immobilizzazioni materiali posseggono quindi le seguenti caratteristiche:
  1. si tratta di costi anticipati o sospesi comuni a più esercizi, la cui ripartizione concorrerà alla formazione del reddito e dalla situazione patrimoniale-finanziaria di più esercizi consecutivi;

  2. tratta di beni materiali ed anticipi a fornitori a fronte del loro acquisto;

  3. il loro uso durevole richiama l’esistenza di fattori e condizioni produttive la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio amministrativo, giacché essi «incorporano una potenzialità di servizi produttivi (utilità) che saranno resi durante lo svolgimento della loro vita utile»;

  4. la loro utilizzazione quali strumenti di produzione comporta il trasferimento dei costi per esse sostenuti ai processi svolti e ai prodotti ottenuti, tramite il processo di ammortamento;

  5. «la caratteristica delle immobilizzazioni materiali di riferirsi a fattori e condizioni durature non è intrinseca ai beni stessi acquisiti, ma piuttosto alla loro destinazione»: si tratta infatti di beni non destinati alla vendita né alla trasformazione, che sono utilizzati in quanto strumenti di produzione.

 

Il cambiamento della destinazione economica dei beni

Il principio OIC n. 16 esclude che possano costituire immobilizzazioni materiali gli immobili, le macchine i mobili, etc., che costituiscono oggetto di compravendita da parte dell’impresa.

È stato a tale riguardo precisato che la destinazione economica dei medesimi beni può essere diversa per imprese appartenenti a diversi settori economici, e che essa può mutare nel tempo anche nell’ambito di una stessa impresa, specialmente per i beni che non sono più in uso e comunque al di fuori dall’attività produttiva.

A titolo esemplificativo, i beni immobili che in passato erano destinati alla normale attività produttiva, se non sono indefinitamente lasciati nell’impresa in quanto producono frutti diretti (perché dati in affitto), potrebbero essere destinati alla vendita.

Pertanto, sotto il profilo contabile, i cespiti destinati alla vendita, il cui realizzo è previsto dagli amministratori nel breve periodo, devono essere classificati separatamente dalle immobilizzazioni materiali, ossia in un’apposita voce del circolante;

«pertanto, dalla data in cui è stata deliberata la mutata destinazione dei beni, gli ammortamenti non vanno più calcolati e la valutazione di tali beni è effettuata al minore tra il costo, diminuito degli ammortamenti, e il valore di presumibile realizzo».

 

 

La plus o minusvalenza originata dalla cessione deve essere ordinariamente registrata tra i proventi o gli oneri straordinari, e la nota integrativa deve contenere

«le ragioni del mutamento di destinazione dei cespiti e del conseguente trasferimento dalle voci relative alle immobilizzazioni materiali a quelle relative al circolante, il criterio di valutazione utilizzato, l’eventuale effetto del mutamento del criterio di valutazione sul risultato economico dell’esercizio».

 

 

Immobili strumentali e merce per il fisco

Sotto il profilo civilistico un bene immobile può essere «non strumentale» se esso, già destinato all’attività economica dell’impresa, è temporaneamente non utilizzato nell’attività produttiva, ed eventualmente concesso in locazione.

Sotto il profilo fiscale, invece, il bene materiale o è «strumentale», e pertanto partecipa al reddito dell’impresa indirettamente, concorrendo alla produzione dei ricavi ottenuti concorrendo allo svolgimento dell’attività economica propria, oppure esso è un «bene-merce», costituente il «magazzino», poiché destinato a essere impiegato nella vendita, oppure nella trasformazione o comunque nella predisposizione di operazioni atte a produrre direttamente un beneficio economico, inquadrabile nella definizione di «ricavo» ex art. 85 del TUIR.

 

 

Gli immobili concessi in locazione

Secondo la risalente R.M. 18.6.1983, n. 9/230,

«ai fini tributari, si considerano strumentali esclusivamente gli immobili destinati specificamente all’ esercizio di attività commerciali. Da quanto sopra, consegue che gli immobili dati in locazione non possono considerarsi beni strumentali per l’ impresa locatrice e perciò i relativi redditi concorrono a formare il reddito d’ impresa (…)».

 

La successiva R.M. 10.11.1990, n. 310475, è intervenuta sottolineando che

«dal concetto di strumentalità discende la necessità di una diretta utilizzazione da parte della società degli immobili conferiti in conseguenza del loro inserimento nel complesso aziendale e nell’apparato produttivo, occorrendo alla produzione del reddito dell’ impresa in quanto strumenti per l’ esercizio della attività produttiva dell’imprenditore e l’impossibilità per essi di costituire l’oggetto dell’ attività imprenditoriale e, quindi, la loro incapacità di produrre un reddito autonomo, concorrendo soltanto, insieme ad altri beni aziendali, alla produzione di un reddito globale di natura commerciale».

 

Gli orientamenti della Cassazione

La Suprema Corte ha talvolta escluso il carattere della strumentalità con riferimento agli immobili detenuti da imprese svolgenti attività nel campo immobiliare, i quali vengono di fatto utilizzati come beni-merce, direttamente produttivi di proventi qualificabili come ricavi.

In particolare, possono essere richiamate sul punto le seguenti pronunce:

  • Cass., Sez. I, 6.7.1990, n. 7158, secondo la quale il requisito della strumentalità ricorre se l’immobile è «inserito nel complesso dei mezzi di cui l’imprenditore si avvale per la produzione e lo scambio dei beni o servizi e, quindi, per conseguire lo scopo di lucro», mentre non sussiste se si tratta di beni « … direttamente impiegati dalla società come oggetto di scambio ricevendo dai terzi a titolo di corrispettivo della prestazione del loro godimento la controprestazione dei canoni (…)»;

  • Cass., Sez. I, 3.4.1992, n. 4086: in tale sentenza, i giudici di legittimità hanno affermato che «l’immobile locato dalla società immobiliare non è strumento, ma oggetto dell’attività imprenditoriale; esso perciò produce un reddito autonomo (canoni), mentre l’immobile strumentale per l’esercizio dell’impresa, essendo inserito nel complesso aziendale, non è idoneo a creare un reddito autonomo»;

  • Cass., Sez. I, 29.3.1996, 2934, secondo la quale «non ricorre (…) tale condizione di strumentalità qualora l’immobile sia utilizzato mediante locazione, questa costituendo l’attività imprenditoriale tipica del soggetto contribuente, di guisa che l’immobile si configuri, non quale strumento, bensì quale oggetto dell’attività, come tale produttivo di un reddito (costituito dai canoni percepiti a titolo di corrispettivo per il godimento del medesimo da parte del locatario) che venga a rappresentare immediatamente e direttamente una parte del profitto di impresa».

 

Con specifico riferimento alla situazione degli immobili strumentali per natura, può poi essere richiamata Cass, Sez. Trib, 19.4.2007, n. 12999, ove è stato affermato che la strumentalità per natura – ex art. 40, D.P.R. 917/1986 – non deve essere intesa come un

«riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in rapporto con l’attività dell’azienda»,

esigendosi anche in tale ipotesi

«la prova della funzione strumentale del bene in relazione all’attività dell’azienda».

 

La verifica in questione può essere evitata solamente se risulta provata «l’insuscettibilità senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata in rapporto strumentale con l’attività aziendale)», al di là della classificazione catastale del bene medesimo.

 

Gli indirizzi dell’Agenzia delle Entrate

La questione della strumentalità dei beni immobili è stata oggetto della prassi interpretativa riguardante talune agevolazioni tributarie specificamente concesse nella prospettiva dell’incremento degli investimenti produttivi delle imprese. In particolare, con riferimento all’agevolazione «Tremonti-bis» (art. 4, L. 18.10.2001, n. 383), si rammenta la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 24.12.2002, n. 393/E.

Alla luce di tale pronuncia, l’agevolazione risultava concessa in presenza di beni immobili strumentali per natura (e non anche – esclusivamente – per destinazione), trattandosi di cespiti che per le proprie caratteristiche oggettive non potevano essere diversamente utilizzati a meno di radicali trasformazioni.

Risultava quindi valorizzata la «natura» strumentale del bene (dipendente dalla sua classificazioni catastale), mentre ne era indifferente l’impiego nell’ambito dell’attività produttiva dell’impresa.

Poteva pertanto trattarsi anche di un bene produttivo di ricavi (canoni locativi), eventualmente iscritto contabilmente tra le rimanenze anziché tra le immobilizzazioni.

 

Aspetti relativi alla detraibilità dell’IVA

Il diritto alla detrazione dell’IVA trova fondamento, per i soggetti passivi del tributo, nell’articolo 1, secondo comma, secondo periodo, della direttiva 28.11.2006, n. 2006/112 («a ciascuna operazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo»), nonché – nell’ordinamento interno – nell’art. 19 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633.

L’articolo 19–bis 1 del medesimo decreto individua delle ipotesi nelle quali, in deroga al principio generale, la detrazione non è consentita; tra tali ipotesi figura quella dell’acquisto, alla locazione e alle altre spese relative a fabbricati a destinazione abitativa.

La possibilità di limitare il diritto alla detrazione è prevista, nel diritto comunitario, nell’ambito del titolo X, capo 3, della citata direttiva n. 112 del 2006.

 

L’indetraibilità per gli immobili abitativi

In particolare, nelle disposizioni IVA interne, 19–bis 1, lett. i), dispone che è indetraibile l’IVA assolta sugli acquisti di fabbricati o porzioni di fabbricati a destinazione abitativa (appartamenti classificati nel gruppo A, con l’esclusione della categoria A 10).

Il diritto alla detrazione viene escluso, in particolare, con riferimento all’imposta relativa:

  • all’acquisto di fabbricati a destinazione abitativa;

  • all’acquisto di porzioni di fabbricati a destinazione abitativa;

  • alla locazione di fabbricati a destinazione abitativa;

  • alla manutenzione, al recupero e alla gestione degli stessi fabbricati.

 

L’imposta è invece ammessa in detrazione per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale della propria attività la costruzione o la rivendita dei medesimi fabbricati e porzioni.

Le disposizioni dell’articolo 19–bis 1, lett. i), non si applicano ai soggetti che esercitano attività che danno luogo a operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, n. 8), che comportano la riduzione della percentuale di detrazione secondo l’art. 19, quinto comma, e l’art. 19–bis.

 

Le deroghe al regime di indetraibilità

Ai sensi della normativa sopra richiamata, l’indetraibilità non opera:

  • per le imprese aventi come oggetto esclusivo o principale dell’attività la loro costruzione o rivendita;

  • per i soggetti che locano o affittano tali immobili in esenzione IVA, in quanto già opera in tale ipotesi una riduzione pro-rata della detrazione.

 

Secondo l’art. 10, ottavo comma, del D.P.R. n. 633/1972, sono esenti da IVA le locazioni non finanziarie e gli affitti di fabbricati destinati a uso di civile abitazione da parte di imprese che li hanno costruiti per la rivendita.

 

L’Amministrazione ha precisato, con la circolare 11.7.1996, n. 182/E, che:

  • è «impresa costruttrice» anche quella che occasionalmente realizza la costruzione di immobili per la successiva vendita, a nulla influendo che la materiale esecuzione dei lavori sia eventualmente da essa affidata, parzialmente o totalmente, ad altre imprese;

  • è «impresa che ha come oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di fabbricati» solo quella che (oltre che per espressa previsione contenuta negli atti societari) effettivamente svolga, in modo esclusivo o prevalente, operazioni di vendita di fabbricati precedentemente acquistati o costruiti.

 

Nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 19.6.2002, n. 54/E, p. 16.4, è esposta la seguente fattispecie: un’impresa costruttrice aveva acquistato un complesso edilizio per eseguirvi lavori di ristrutturazione finalizzati alla successiva rivendita. In attesa della vendita, l’impresa procedeva alla temporanea locazione di alcune unità abitative.

Alla luce delle disposizioni dell’articolo 10, n. 8) del D.P.R. n. 633/1972, ove è esclusa dall’esenzione la sola locazione di abitazioni poste in essere dai soggetti che le hanno costruite, l’impresa aveva chiesto all’Agenzia se i canoni di locazione dovessero essere o no fatturati in esenzione.

Nella risposta resa, l’Agenzia fiscale ha affermato che il richiamato disposto dell’art. 10, ottavo comma, non è suscettibile di interpretazioni diverse da quelle desumibili dallo stretto tenore letterale.

Secondo quanto è stato precisato dall’Agenzia, tutte le imprese che concedono in locazione fabbricati abitativi, sia che si tratti di imprese che hanno proceduto alla ristrutturazione degli stessi, che di imprese di compravendita immobiliare o di altro tipo di imprese, ad eccezione delle imprese di costruzione, effettuano locazioni esenti da IVA.

 

Alcune ipotesi di esclusione e limitazione della detrazione

Nella C.M. n. 328 del 4.12.1997, è stato chiarito che l’art. 19–bis 1 recepisce e trasfonde le riduzioni e le esclusioni oggettive della detrazione d’imposta, in precedenza contenute nel previgente art. 19, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972.

Secondo quanto è affermato nella pronuncia di prassi, l’art. 19, primo comma, secondo periodo, del decreto IVA, stabilisce che il diritto alla detrazione sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto.

In linea di massima, il diritto alla detrazione sorge al momento dell’acquisto dei beni e dei servizi; per evitare che tale facoltà possa tradursi in un ingiustificato vantaggio per il contribuente, è però stabilito che il diritto si esercita in base alle condizioni di detraibilità esistenti nel momento in cui lo stesso è sorto e, quindi, nel momento in cui l’imposta è divenuta esigibile.

Qualche problema può presentarsi se il soggetto che acquista l’immobile è un’impresa commerciale che utilizza tale immobile per un’attività di locazione turistica. La materia è disciplinata in via generale dalle normative regionali di settore; i riflessi fiscali della fattispecie possono però essere trattati in modo unitario.

Infatti, atteso che il fabbricato acquistato, costruito o ristrutturato dall’impresa verrebbe a inserirsi in un contesto economico finalizzato alla produzione dei servizi commercializzati, soggetti a IVA con aliquota del 10%, il trattamento del bene potrebbe essere equiparato a quello di un qualsiasi cespite strumentale.

Svanirebbe infatti in tale ipotesi quel presupposto oggettivo, della destinazione extraimprenditoriale del bene, che è valsa – per il legislatore nazionale – a escludere la detrazione IVA.

 

Gli orientamenti dell’ADC

Con la propria norma di comportamento n. 174, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti di Milano (ADC, ora ADCMI) ha affermato che il diritto alla detrazione dell’IVA assolta da una società per l’acquisto di immobili destinati alla locazione dipende, nella sostanza, dalla qualità di soggetto passivo d’imposta di tale società e dall’assoggettamento ad IVA dei suoi introiti.

In tale prospettiva, risulta secondo l’ADC incoerente con le norme comunitarie la previsione di vincoli alla detrazione dell’IVA indotti dalla natura «immobiliare» – anziché «commerciale» di una società.

Secondo quanto è stato affermato dall’ADC, il diritto alla detrazione dell’IVA assolta da una società per l’acquisto di uno o più immobili destinati alla locazione, oltre che per il sostenimento delle spese di gestione afferenti a tali immobili, è strettamente collegato alla qualità di soggetto passivo d’imposta in capo alla società medesima e all’assoggettamento a IVA dei relativi introiti, reali o potenziali, derivanti da attività svolte con carattere di stabilità.

È a tale riguardo affermato che le norme IVA nazionali derivano dalla trasposizione nell’ordinamento giuridico italiano della menzionata direttiva comunitaria 2006/112/CE, alla luce della quale devono essere interpretate le disposizioni dei singoli Stati membri dell’Unione.

In tale prospettiva, risulta necessario esaminare le nozioni di soggetto passivo d’imposta e di diritto alla detrazione dell’IVA assolta «a monte».

Ai fini della detrazione dell’IVA, la richiesta condizione di inerenza delle operazioni compiute «a monte» deve essere riferita solamente alle operazioni compiute a valle, soggette a imposta.

Devono quindi considerarsi infondate, secondo l’ADC, eventuali altre ipotesi di preclusione della detrazione quali, ad esempio, l’unicità dell’operazione compiuta nell’ambito di uno stesso gruppo societario o il mancato inserimento dell’operazione nel contesto di un’attività imprenditoriale diversa da quella immobiliare o in una serie di altre operazioni similari, di acquisto, vendita, locazione, ristrutturazione, etc.

In ogni caso deve essere poi riconosciuta la detrazione dell’imposta assolta/dovuta a monte, che non viene pregiudicata neppure se si tratta di attività solo preparatorie/prospettiche, ossia prive di un concreto esercizio dell’attività «a valle» .

Per quanto sopra evidenziato, l’ADC ha potuto affermare che, in assenza di comportamenti riconoscibili come «abusivi» sulla base delle indicazioni della Corte di Giustizia, una società che svolga l’attività di gestione di uno o più immobili dalla quale percepisca abitualmente affitti attivi anche se da parti ad essa correlate (altre società del gruppo di appartenenza, o soci delle stesse) si pone in ogni caso come soggetto passivo di imposta, svolgendo un’attività economica soggetta ad IVA e conservando il diritto alla detrazione.

Al riguardo appare utile precisare che la sussistenza di pratiche abusive può essere individuabile solo nell’ambito delle operazioni compiute dal soggetto passivo e non anche con riferimento alla sua qualificazione giuridica soggettiva, sia essa individuale o societaria.

Sulla base della ricostruzione effettuata e delle considerazioni espresse, l’ADC afferma quindi che

« … deve (…) essere respinto qualsiasi tentativo di configurare, quale pratica abusiva, la costituzione di una forma societaria per lo svolgimento di attività commerciali, così come qualificate ai fini IVA. e, dunque, anche per lo svolgimento della mera attività di locazione di uno o più immobili».

 

 

La ristrutturazione di immobili abitativi destinati ad attività di impresa

ristrutturazione di immobili aziendaliLa risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 2012 ha risposto a una richiesta di consulenza giuridica presentata in merito alla questione della detraibilità IVA delle spese di ristrutturazione di immobili abitativi destinati ad attività di impresa.

Il quesito interpretativo riguardava l’indetraibilità dell’IVA assolta sugli immobili a destinazione abitativa e sulle relative spese, stabilita dal sopra richiamato art. 19-bis 1, lett. i), del D.P.R. n. 633/1972, ove tali immobili siano utilizzati nell’ambito imprenditoriale dell’attività turistico-alberghiera.

Nel rispondere al quesito, rammenta l’Agenzia che la preclusione alla detrazione dell’IVA – prevista dalla disposizione citata – non opera,

«in virtù di una specifica previsione contenuta nella norma, per le spese sostenute dalle imprese di costruzione nonché da quelle che pongono in essere locazioni esenti [di cui all’art. 10, n. 8)] che determinano l’applicazione del pro rata (artt. 19, c. 5 e 19-bis)».

 

Rammenta inoltre che

«l’indetraibilità dell’imposta riguarda i fabbricati abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e, in linea generale, prescinde dall’utilizzo effettivo dei medesimi (principio consolidato e da ultimo affermato nella circolare 1° marzo 2007, n. 12)».

Si tratta pertanto di una nozione di strumentalità stringente, di tipo formale.

Ciò nonostante, secondo l’Agenzia delle Entrate gli immobili abitativi che vengono utilizzati dal soggetto passivo nell’ambito di attività di tipo ricettivo (gestione di case vacanze, affittacamere, etc.), con la prestazione di di servizi imponibili ad IVA, devono essere trattati, a prescindere dalla classificazione catastale, alla stregua dei fabbricati strumentali per natura.

Le spese di acquisto e manutenzione relative ai suddetti immobili – ancorché classificati catastalmente come abitativi – non risentono quindi, secondo l’Agenzia, dell’indetraibilità di cui all’art. 19-bis 1, lett. i), del D.P.R. n. 633/1972.

Ciò è affermato con riferimento sia alla predetta circolare n. 12/E del 2007, sia alla risoluzione 10.8.2004, n. 177/E (è affermato in tali pronunce che le prestazioni rese nell’ambito delle attività sopra citate sono imponibili ad IVA con aliquota del 10%).

 

 

5 dicembre 2012

Fabio Carrirolo