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Trattandosi di una delle questioni maggiormente controverse nel panorama tributario, e considerate le difformità interpretative manifestate dalla prassi amministrativa, si versa, a nostro avviso in una situazione di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni tributarie, sussistendo quindi le ragioni per chiedere all’ufficio la disapplicazione delle sanzioni eventualmente irrogate.
Vendita di beni strumentali "riqualificata" in cessione d'azienda
Si suppone che, in data …, sia stato notificato avviso di accertamento n. …, teso a disconoscere il diritto di detrazione dell’Iva dovuta in via rivalsa sull’acquisto di due complessi industriali e parte di macchinari in uso avvenuto in data …., perché ha considerato ivi ravvisabile una ipotesi di cessione di azienda estranea all’ambito IVA ex art. 2, co. 3, lett. b), D.P.R. 26/10/1972, n. 633, assumendo come non spettante un credito esposto in dichiarazione per complessivi € … oltre l’addebito di € … quale ulteriore debito d’imposta, di € … a titolo di sanzioni amministrative, di € … come interessi,
La società contribuente presentava, nel caso ipotizzato, istanza di accertamento con adesione ritualmente proposta in data … volta ad ottenere non applicazione delle sanzioni amministrative, per le ragioni che esporremo di seguito.
Obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono – condizioni per la disapplicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie - casistica.
L'incertezza sulla portata e sull'ambito delle disposizioni tributarie
In tema di sanzioni amministrative occorre, in primo luogo, verificare se nella fattispecie possano legittimamente ricorrere specifiche cause di non punibilità, disciplinate dall’art. 6, D.lgs. 18/12/1997, n. 472, rubricato <Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie a norma dell’art. 3, co. 133, l. 23/12/1996, n. 662.
In particolare, il primo passaggio del co. 2, del citato art. 6, D.lgs. n. 472/97, precisa che
“…Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono …”.
In sede di primo commento del dettato normativo è intervenuta la C.M. 10/08/1998, n. 80/E, secondo cui il co. 2 dell’art. 6 citato, affronterebbe la
“…questione dell'errore di diritto che viene ritenuto rilevante, tale cioe' da escludere la colpa, quando le violazioni sono determinate da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono…”.
E dunque, prosegue il Ministero delle finanze,
“…anche rispetto all'errore di diritto, quindi, rileva il carattere incolpevole, che la disposizione in esame connette in primo luogo all'obiettiva incertezza sul significato della legge. Si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l'individuazione certa di un significato determinato.
Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si puo' verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori...” .
Nel proseguo della trattazione la C.M. n. 180/E/1998, individua, con maggiore incisività, la ratio della previsione normativa ed in particolare il concetto di <obiettive condizioni di incertezza sulla portata delle disposizioni tributarie>, chiarendo che la disapplicazione delle sanzioni pecuniarie
“…eserciti efficacia in tutti i casi in cui, anche con atti o comportamenti di diversa natura, gli uffici dell'amministrazione finanziaria o gli enti impositori inducano in errore (seppur involontariamente) o comunque disorientino i contribuenti.
La previsione – osserva il documento ministeriale – riprende il contenuto dell'art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 (errore sulla norma tributaria, n.d.A.) e di altre settoriali disposizioni gia' presenti nell'ordinamento, ma abbraccia un ambito piu' vasto, attribuendo il potere di non applicare le sanzioni, oltre che al giudice tributario, anche agli uffici e al giudice ordinario (anche fuori dai casi nei quali questi opera come giudice dell'impugnazione nell'ambito del processo speciale tributario) e con riferimento a fattispecie ulteriori rispetto a quelle in precedenza contemplate.
Esprime quindi una disciplina generale ed organica della materia capace di sostituirsi a tutte le disposizioni previgenti (art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale).
E’ fuor di dubbio, quindi, che le perplessità interpretative – di tipo oggettivo – da cui derivano le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce, possono essere generati, come precisato dalla C.M. 23/04/1996, n. 98/E, a commento del citato art. 8, d.lgs. n. 546/1992
“…ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’Amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente…”
e verosimilmente causata anche da orientamenti giurisprudenziali altrettanto contraddittori.
Definizione di azienda
Secondo la posizione espressa dalla prevalente dottrina civilistica (per tutti, cfr. FERRARI, Enciclopedia del diritto vol. IV, pagg. 681 e segg.), la definizione scelta dal codice civile all’art. 2.555 a mente del quale
“…l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa…
pone l’accento su due elementi:
- un elemento materiale oggettivo e cioè il complesso di beni, intendendo i beni in senso ampio e cioè quali entità materiali o giuridiche aventi un contenuto economico e quindi comprendendo accanto ai beni in senso tecnico di cui all’art. 810 codice civile, anche i rapporti giuridici attivi e passivi,
- un elemento formale finalistico e cioè l’organizzazione, che trasforma il complesso di beni in una combinazione di beni strumentali funzionalmente collegati, i quali acquistano, nel loro insieme l’attitudine a soddisfare un bisogno diverso da quello che potrebbero soddisfare isolatamente considerati.
Detto ciò pare a noi essenziale verificare come tale nozione di <azienda> venga in concreto applicata in diritto tributario procedendo alla disamina di quale sia stata la posizione assunta al riguardo dall’Amministrazione finanziaria da un lato e dalla giurisprudenza edita dall’altro, sì da individuare l’esistenza (o meno) di punti fermi che possano orientare l’operatore interessato con sufficiente grado di sicurezza.
Con specifico riferimento ai chiarimenti ufficiali, come vedremo, la difformità e l’incoerenza di alcune interpretazioni rese note dalla prassi amministrativa sull’argomento ha certamente disorientato, nel corso del tempo, gli operatori relativamente al corretto trattamento tributario delle vicende traslative di beni aziendali.
Ma andiamo con ordine.
Elementi sintomatici del contratto di cessione di azienda
In una primissima pronuncia del Ministero delle finanze, resa nota con la R.M. 28./11/1973, n. 503091 veniva qualificata <cessione d’azienda> esente da Iva, la vendita di un opificio industriale da riattivare o da reinserire nel processo produttivo se sussisteva “…quel complesso di beni organizzati finalisticamente alla produzione…” .
Analoga presa di posizione veniva formalizzata dall’Amministrazione centrale in sede di stesura della R.M. 30/10/1985, n. 250773, che assumeva irrilevante la circostanza che al momento della cessione l’azienda non fosse più produttiva.
Entrambe le interpretazioni ufficiali (riprese da alcune pronunce espresse dalla giurisprudenza tributaria) privilegiavano una visione “soggettiva” della nozione di azienda che, seppur dotata solo di opificio industriale, ovvero con gestione temporaneamente sospesa per qualsiasi causa contingente, possedeva, comunque, l’attitudine a realizzare finalità economiche.
Tuttavia, tale orientamento è stato progressivamente disatteso dalla stessa Direzione Centrale del Ministero delle Finanze che, nel corso del tempo, ha valutato non solo l’attitudine dei beni trasferiti a far presumere l’esistenza o meno di un’azienda, ma anche interpretato le intenzioni dei contraenti nella realizzazione del negozio di cessione.
Ad esempio, con R.M. 18/10/1991, n. 500380, viene affermato che
“…L’indagine da compiere ai fini della qualificazione di un atto deve essere intesa a rilevare se, secondo la volontà dei contraenti, oggetto specifico dell’atto siano i beni considerati nella loro funzione unitaria, si da comportare la cessione dell’azienda cui essi si ricollegano. Deve ravvisarsi una cessione di immobili soggetta ad Iva – e non già una cessione di azienda – in una fattispecie in cui il trasferimento abbia ad oggetto unicamente fabbricati ad uso industriale con annesso terreno pertinenziale al servizio dei fabbricati stessi…”.
In sostanza, la vendita dell’immobile industriale – a differenza di quanto precisato dalla R.M. prot. 503091 del 1973 – non è stata considerata <cessione d’azienda>.
Il pensiero ministeriale sulla definizione di <azienda>, parzialmente riveduto nella R.M. n. 500380/1991, muta radicalmente – e, per la verità in modo sorprendente - con l’emanazione della R.M. 30/10/1985, n. 250733, dove, testualmente viene affermato come sia
“…opinabile la ravvisabilità di una cessione d’azienda nell’ipotesi di cessione di fabbricati da adibire ad alberghi residenziali in corso di costruzione nonché di arredo e di equipaggiamento, atteso che – a tal fine – non appare sufficiente la cessione di beni soltanto suscettibili di una capacità produttiva, essendo necessario che venga ceduta una intera organizzazione consistente in rapporti con fornitori e clienti, ovvero con personale dipendente, nonché l’esistenza, almeno normalmente, di una avviamento commerciale …”.
In sostanza, cambia la posizione ermeneutica assunta dal Ministero delle finanze: la sola sussistenza di uno o più beni tra loro oggettivamente organizzati non costituisce elemento sufficiente ad identificare un’azienda, essendo necessario, che l’effetto traslativo dell’intera organizzazione produttiva e finanziaria, (ivi compresi i rapporti giuridici attivi e passivi) assuma una logica di totale continuità aziendale.
Ma non è tutto. Con due successive pronunce, precisamente con R.M. 30/06/1990 n. 550245, e la R.M. 4.12.1990, n. 660026, i dirigenti della Direzione Centrale del Ministero delle finanze, riprendono alcuni concetti espressi con le R.R.M.M. n. 503091/1973 e n. 250773/1985, sulla definizione di <azienda> (ri)valutando ai fini di una sua qualificazione tributaria, le specifiche caratteristiche dei beni trasferiti e della loro attitudine, quanto meno a livello potenziale se non attuale,
“…a realizzare una attività d’impresa…”.
Il caos interpretativo generato dalle contraddittorie pronunce ufficiali non può essere disconosciuto.
Preso atto degli ondivaghi pronunciamenti del Ministero delle finanze, esigenze di chiarezza espositiva ci inducono a riepilogare, in chiave sinottica, le diverse posizioni (vi comprese alcune pronunce della giurisprudenza tributaria) nel seguente prospetto:
Quanto sin qui opinato rende, in tutta la sua evidenza, la sussistenza di una situazione obiettiva situazione di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa che esclude dal campo IVA le cessioni di aziende, proprio in ragione delle contraddittorie interpretazioni di matrice ministeriale e/o giurisprudenziale che hanno sin qui tentato (invano) l’individuazione di un univoco significato alla nozione di azienda, segnalando, di volta in volta, quali siano gli elementi sintomatici caratterizzanti la fattispecie.
Detto ciò, in ragione:
- sia del legittimo affidamento riposto dalla società istante nelle segnalate pronunce ministeriali (art. 10, co. 2, l. n. 27/07//2000)
- sia anche, della dimostrata situazione di dubbio circa la concreta applicazione della normativa in argomento, (art. 6, c. 2. D.lgs. n. 18/12/1997), la società contribuente, nella fattispecie da noi ipotizzata, ritiene oltremodo giustificabile la richiesta di non applicazione delle sanzioni amministrative gravanti sulla imposta (indebitamente) detratta.
D’altra parte anche la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha escluso ogni forma di responsabilità in capo al cessionario circa le irregolarità commesse dal cedente in sede di fatturazione in quanto non tenuto ad apprezzamento critico su quanto l’emittente di fattura abbia dichiarato in ordine alla imponibilità (o meno) dell’operazione, riconoscendo nel contempo l’esclusione di qualunque provvedimento punitivo nei confronti del medesimo cessionario (Corte di Cassazione 22/3/2000 n. 3428; Corte di Cassazione 20/4/2001 n. 5880)
Conferme ministeriali circa la disapplicazione delle sanzioni in capo al cessionario
La richiesta di non applicazione delle sanzioni, trova poi decisivo fondamento nel contenuto di alcune pronunce ministeriali che, per casistica sostanzialmente analoga a quella proposta nell’approfondimento, hanno riconosciuto l’invocata esimente.
Più nel dettaglio, facciamo utile riferimento a quegli indirizzi interprativi secondo cui:
- “…non può farsi carico all’acquirente di verificare se le singole operazioni assoggettate ad IVA diano vita ad una operazione diversa, quale la cessione di azienda…” per cui in tal caso “…non sussistono le condizioni per l’irrogazione di alcuna sanzione né di carattere amministrativo né di carattere penale…” (cfr. R.M. 30/10/1976 n. 361390);
- trattandosi di cessione di azienda esclusa da IVA e soggetta ad imposta di registro l’“…Ufficio provvederà ad effettuare la necessaria rettifica della dichiarazione, senza applicazione di sanzioni in conformità a quanto stabilito in analoghe precedenti occasioni…” (cfr. R.M. 28/01/1986 n. 406888);
Conclusioni
In definitiva, in sede di proposta di accertamento con adesione rivolta all’Ufficio tributario, la società contribuente avrebbe chiesto la definizione della lite in argomento riconoscendosi debitrice della intera IVA dovuta in via di rivalsa per l’acquisto dei due compendi aziendali e dei macchinari pari a complessivi € … oltre i relativi interessi maturati sulla quota di imposta utilizzata in compensazione, a fronte della contestuale non applicazione delle sanzioni amministrative gravanti sulla imposta, pari ad € …
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