Documenti fiscali reperiti presso terzi: sono ammissibili

Una Sentenza di Cassazione ha affermato che costituisce ius receptum nella giurisprudenza  di  legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione  accordata dalla competente Procura della Repubblica per  l’accesso  e  perquisizione  di  una casa di abitazione consente di acquisire in tale domicilio anche la  documentazione tributaria afferente altro soggetto differente dal destinatario, ancorché non menzionato nel provvedimento.

Ammissibilità dei documenti reperiti presso terzi

La Sentenza della Corte di Cassazione n. 2675 del 17 gennaio 2007 (dep. il 7 febbraio 2007) così afferma:

sentenza corte di cassazione“Alla stregua del condivisibile principio enunciato da questa Corte, il provvedimento autorizzativo alla perquisizione del domicilio di un soggetto, emesso dalla competente Procura della Repubblica allo scopo di acquisirela documentale fiscale relativa al soggetto stesso, consente di acquisire in tale domicilio anche la documentazione relativa ad altro soggetto, pur non menzionato nel provvedimento autorizzativo (Cass., Sez. I, 10 gennaio1996, n.153; Cass., Sez. tributaria, 26 febbraio 2001, n.2775)”.

Per la Suprema Corte di giustizia tributaria

“ in questo quadro giurisprudenziale (Cass., n.277572001, citata), devono ritenersi legittime l’acquisizione e la successiva utilizzazione da parte della Guardia di Finanza della documentazione fiscale relativa all asocietà e rinvenuta dai Carabinieri presso I.L., dipendente della società stessa, anche se non menzionata nel provvedimento, sia in considerazione deipoteri di verifica spettanti, sia tenendo conto dei rapporti di collaborazione”.

Peraltro, osserva la Corte,

“ nella  gravata decisione risulta esposta una compiuta ed analitica ricostruzione della fase accertativa: l’esistenza  dell’autorizzazione  del  P.M.,  relativa all’acquisizione di documenti di valenza probatoria; i riscontri operati dai verificatori tra i documenti in possesso della società e quelli  sequestrati dai Carabinieri presso l’abitazione della dipendente I.L.; la titolarità dei documenti sequestrati, contenenti dettagliati elementi, non  era  stata  mai contestata dalla società,  che  si  era  limitata  ad  estrinsecare  rilievi generici;  la  ricezione  di  merci  e  la  prestazione  di   servizi,   non contabilizzati, emergeva proprio dal confronto dei dati; l’annotazione sulle matrici di assegni dell’espressione salari extra busta paga costituiva  la prova delle retribuzioni ai dipendenti fuori busta paga; né  a  quest’ultimo proposito, né in ordine agli altri addebiti, era stata  mai  prodotto  dalla società alcun documento a confutazione”.

In ordine alla questione dell’autorizzazione  dell’Autorità giudiziaria, la Corte rileva che in  tema  di accertamento delle imposte sui redditi,

“ l’utilizzazione della documentazione acquisita nel corso di attività di polizia  tributaria  non  è  subordinata, alla autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, in quanto questo atto è posto esclusivamente a tutela del segreto istruttorio e, comunque, la  violazione delle regole dell’accertamento tributario  non  comporta  come  conseguenza necessaria la inutilizzabilità degli elementi acquisiti, in mancanza di  una specifica previsione normativa in tale senso  (Cass.,  Sez.  tributaria,  16 giugno 2006, n. 14058)”.

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Tale sentenza ci consente di riepilogare le modalità di esecuzione dell’attività esterna.

Modalità di esecuzione dell’attività esterna. Poteri e obblighi

L’accesso da parte dei verificatori può essere effettuato solo con apposita autorizzazione scritta, rilasciata dal capo dell’ufficio che ordina la verifica.

Sul punto si rileva che la Commissione Tributaria Centrale, con decisione n. 5901 del 9 ottobre 1989, ha ritenuto illegittimo l’ordine di accesso impartito telefonicamente, e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 15209 del 30 novembre 2000, dep. il 29 settembre 2001, ha statuito che

“ dall’interpretazione dell’art. 52, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, si rileva chiaramente che esso prescrive un intervento preventivo dell’autorità che deve disporre l’accesso; tale disposizione deve essere data per iscritto, essendo eccezionali le ipotesi in cui l’Amministrazione agisce, con rilevanza verso terzi, con atti meramente verbali.

Pertanto, la documentazione, acquisita a seguito di autorizzazione verbale all’accesso nei locali dell’impresa, è inutilizzabile, e, conseguentemente, è nullo l’avviso di accertamento che su di essa si fonda”.

E pertanto, conclude la Corte,

“dalla  violazione  delle  norme  procedimentali  in  materia  di accertamento consegue  la  inutilizzabilità  degli  atti  compiuti.

E tale conseguenza conferma ulteriormente la necessità della emanazione di ordini e autorizzazion e informa scritta e così suscettibili di controllo giudiziario”.

L’autorizzazione deve contenere:

  • il nominativo e i poteri del soggetto che dispone la verifica;
  • l’ordine di accedere;
  • l’indicazione del soggetto da verificare;
  • le ragioni del controllo;
  • le effettive esigenze d’indagine esterna;
  • l’indicazione che la verifica, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, si svolgerà durante l’orario ordinario di esercizio dell’attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento dell’attività stessa nonché alle relazioni commerciali o professionali;
  • le annualità da verificare;
  • la data dell’inizio della verifica;
  • la sottoscrizione del soggetto che autorizza la verifica.

In caso di opposizione all’accesso, i verificatori, con l’ausilio della Guardia di Finanza o di altro organo di polizia, possono ugualmente effettuare l’accesso.

In questo caso, il contribuente è esposto alle conseguenze relative che la legge prevede: salvo l’ipotesi criminosa di cui all’art. 337 c.p.p., siamo nel campo dell’art. 53, comma 1, n. 4), del D.P.R. n. 600/1973.

L’art. 35 della L. 7.1.1929, n. 4,  tuttora in vigore, dispone che

“….gli ufficiali o gli agenti di polizia tributaria hanno facoltà di accedere in qualunque ora negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad una azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche”.

Pur se l’interpretazione letterale dell’espressione “qualunque ora” lascerebbe intendere che l’accesso possa avvenire in qualsiasi ora, per prassi consolidata, l’espressione va legata all’orario  di normale apertura delle aziende o altro ufficio.

Ciò significa che, se l’orario normale dell’attività è quello serale o notturno ( ristoranti, bar, cinema, discoteche, ecc.), l’accesso è permesso anche in tali ore.

Esercizio dell’accesso

L’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole.

Si tratta dei luoghi dichiarati ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972 o comunque nei quali si svolge di fatto l’attività e cioè negozi, stabilimenti, filiali, succursali, sedi secondarie, depositi, magazzini  e simili.

Ci è di supporto nell’interpretazione della norma l’art. 53 del D.P.R. n. 633/1972 e gli artt. 2135 e 2195 del codice civile, nonché l’art. 55 del T.U.n.917/86, secondo cui per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale ancorché non esclusiva delle attività industriali, dirette alla produzione di beni e servizi; di intermediazione nella circolazione di beni e servizi; di trasporto, per terra, per aria e per acqua; bancaria o assicurativa; e altre attività ausiliarie alle precedenti.

Sono considerate commerciali, in ogni caso le attività dirette allo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni, ed altre acque interne, mentre, ai fini fiscali, sono considerate commerciali le attività di allevamento di animali, e manipolazione, trasformazione  e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici.

Costituiscono esercizio di attività agricola (art. 32 del T.U. n. 917/1986) nei limiti della potenzialità del fondo, le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura.

Rientrano, altresì, nell’attività agricola quelle relative all’allevamento di animali da mangimi ottenuti per almeno un quarto dal terreno e quelle dirette alla manipolazione, trasformazione  e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici che rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura.

L’accesso presso l’azienda può svolgersi anche in mancanza del titolare, al quale dovrà poi essere notificata l’autorizzazione all’accesso e tutte le verbalizzazioni eseguite in sua assenza.

È possibile compiere accessi e verifiche anche presso gli autoveicoli ed i natanti adibiti al trasporto di persone, merci in conto proprio o conto terzi intestati all’impresa sottoposta a verifica. La verifica può essere effettuata con lo stesso ordine di accesso rilasciato per i locali destinati all’attività.

Per le imprese individuali, devono considerarsi appartenenti alla ditta esclusivamente quegli autoveicoli e natanti inseriti nella contabilità della medesima.

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 ( cfr. fra le altre Comm.Trib. di II grado di Padova, sez.IV, dec. n. 2868 del 24 aprile 1985, la cui massima così recita:

” l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, rilasciata ex art. 52 del D.P.R. n .633/72, esplica effetti nei limiti oggettivi e soggettivi in essa contenuti talchè l’accesso effettuato in abitazione diversa da quella ivi specificata e appartenente ad altro soggetto da quello indicato sempre in essa autorizzazione, è da ritenersi attività espletata in assoluta carenza di potere.

Dal complesso delle norme poste a tutela del domicilio privato, e in particolare da quella che vuole l’accesso in abitazioni private previamente autorizzato dal Procuratore della Repubblica, si deriva l’esistenza di limiti che se non vengono rimossi nello specifico modo voluto dalla legge, rendono illegittima l’attività dell’amministrazione finanziaria ed impediscono di utilizzare le prove così acquisite sia in sede amministrativa che in sede giudiziaria.

A ciò consegue che l’avviso di accertamento che si riporta alle prove acquisite in un accesso eseguito in carenza di autorizzazione del Procuratore della Repubblica, è da ritenersi radicalmente nullo”.

Si segnala anche il pensiero della Corte Suprema, Sez.I, Civ., Sent. n. 7368 del 1° aprile 1998, dep. il 27 luglio 1998, secondo cui

” nel caso di un accesso domiciliare effettuato ……in mancanza della prescritta autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non sussiste il consenso del contribuente all’accesso, dato che dal verbale redatto……..risultava che l’invito a procedere all’accesso rivolto ai militari operanti era stato formulato dal contribuente a seguito di ripetuti richiami alle conseguenze sfavorevoli che sarebbero derivate da un suo rifiuto di esibire i libri e i registri contabili custoditi nell’abitazione.

Le attività tributarie di indagine compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazioni di sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito, dato che in mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica viene meno la prevalenza dell’interesse fiscale, anche costituzionalmente garantito dall’art.53 della Costituzione, sul diritto del contribuente alla inviolabilità del domicilio”).

Il provvedimento autorizzatorio – che deve essere motivato, anche per relationem – ha natura amministrativa e non giurisdizionale.

Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non è necessario nessun altro presupposto legittimante, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.

In merito, di recente, la Corte di Cassazione – sentenza n. 19689 dell’1.10.2004 – ha avuto modo di fissare, ancora una volta, dei paletti precisi, operando una precisa interpretazione comparativa fra i commi 1 e 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/72: mentre per l’accesso nei locali adibiti anche ad abitazione, è sufficiente la sola autorizzazione del Procuratore della Repubblica, per l’accesso nei locali esclusivamente adibiti ad abitazione, l’autorizzazione del magistrato deve essere concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali.

Per quanto riguarda i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e ad attività commerciali o agricole deve trattarsi di un effettivo uso promiscuo, che si ha quando, negli stessi locali, vi è abitazione e attività d’impresa. In questi casi, si può ritenere, pertanto, che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica sia un atto dovuto, in quanto se pur rilasciata dopo un attento esame della richiesta, non necessita della presenza di gravi indizi di evasione fiscale.

Non si ravvisa promiscuità dei locali quando l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, sia distinta dal luogo di lavoro; e ancora, non si ravvisa promiscuità nei casi in cui l’abitazione pur se comunicante con il luogo di esercizio del lavoro, sia divisa da una porta chiusa e sia provvista di due separati ingressi ( è il caso tipico dei professionisti che hanno abitazione e studio nello stesso appartamento).

La distinzione tra locali di diversa natura è configurabile solo se i rispettivi ambiti spaziali siano connotati da una obiettiva indipendenza e incomunicabilità ( integrata, magari, ma non necessariamente, dalla circostanza che l’abitazione pur trovandosi nel medesimo complesso immobiliare, costituisce una unità edilizia autonoma e separata rispetto ai locali adibiti all’esercizio dell’impresa).

La Guardia di finanza, nel documento di prassi n. 1/1998, ha affermato che l’abitazione

“deve essere intesa nel senso di centro effettivo della vita domestica della persona, risultando non sufficiente, a tal fine, la mera predisposizione, per il saltuario pernottamento o la consumazione di pasti, di alcuni vani o spazi dell’immobile”.

Sulla base dei diversi contributi giurisprudenziali è possibile affermare che costituisce abitazione: 
  • la camera d’albergo, qualora essa sia occupata, mentre non è da considerare tale se è libera;
  • il locale in cui dorme il custode nell’ambito di un’azienda;
  • il piccolo retrobottega di un’attività commerciale ove sono svolte attività domestiche e conservate le scritture contabili;
  • gli autoveicoli e natanti, se sono posseduti a titolo personale ( cfr. Cass., Sez.I civ., Sentenza del 1° luglio 1997, dep. il 2 febbraio 1998, n.1036, secondo cui in tema di Iva, è illegittimo l’avviso di rettifica della dichiarazione del contribuente fondato su documentazione contabile rinvenuta all’interno dell’autovettura di un suo dipendente, sottoposta a controllo da una pattuglia della Guardia di Finanza senza autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ancorchè tale documentazione sia stata consegnata spontaneamente dal dipendente e i verbalizzanti siano stati da questo accompagnati nel locali del contribuente per la compilazione del processo verbale di constatazione, atteso che il successivo accesso/verifica in detti locali non vale a rendere utilizzabili le risultanze di un’acquisizione documentale illegittima fin dalla sua origine).

Le associazioni, i circoli sportivi, i comitati e le Onlus non possono essere considerati luoghi di esercizio dell’attività, e pertanto è necessaria l’autorizzazione dell’A.G. .

Si rileva che spesso, qualora le esigenze di indagine lo richiedano, i funzionari del Fisco effettuano contemporaneamente l’accesso sia presso l’azienda sia presso il soggetto depositario delle scritture contabili.

Una volta entrati presso il soggetto depositario ( in questo caso, per accedere, non é necessario un altro ordine di accesso nei confronti dello studio commerciale)  i verificatori  richiedono le scritture  contabili dell’azienda, e l’accesso è legittimo anche se il titolare dello studio è momentaneamente assente.

I funzionari verificatori possono accedere, in forza degli artt. 33 del D.P.R. n. 600/1973 e 52 del D.P.R. n. 633/72, presso gli organi e le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici, le società ed enti assicurativi e quelli che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, ovvero gli enti di gestione e di intermediazione finanziaria, per avere notizie in merito alle prestazioni rese a favore del contribuente o di categorie di contribuenti, qualora ciò sia necessario per la rilevazione diretta dei dati e delle notizie per i quali in precedenza sia stata inviata una richiesta ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 5), del D.P.R. n. 600/73.

Gli stessi funzionari possono accedere altresì, per rilevare direttamente informazioni sui conti correnti e sui rapporti inerenti ad essi, presso gli istituti di credito e l’Amministrazione postale.

La Circolare n. 1/1998 della Guardia di Finanza precisa che

“considerata la particolare qualità dei soggetti destinatari, la facoltà in esame dovrà essere esercitata a ragion veduta e dopo un approfondito esame della situazione”.

L’accesso in luoghi diversi da quelli del soggetto sottoposto a controllo costituisce un aspetto particolarmente delicato della fase del controllo, atteso che, fra l’altro, i primi due commi dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, si riferiscono ai luoghi nei quali si esercita un’attività economica e alle abitazioni private, senza nulla precisare in ordine al fatto che i locali debbano appartenere al contribuente indagato o anche a  terzi.

L’assoluta genericità porta a ritenere che la norma contempli anche la possibilità di effettuare l’accesso in luoghi diversi da quelli di pertinenza del soggetto verificato, qualora le esigenze istruttorie lo richiedano.

E’ di conforto a tale tesi il pensiero della Commissione tributaria centrale – decisione n. 2060 del 22.1.1985 – secondo cui l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 non limita il potere di ingresso e ispezione ai soli locali occupati dal contribuente inquisito, e della Corte di Cassazione – sentenza n. 153 del 10.1.1996 – secondo cui se l’Ufficio non potesse accedere in locali di terzi,

“sarebbe agevole per il contribuente infedele sottrarre alle verifiche la propria documentazione fiscale, bastando a ciò il semplice accorgimento di conservarla presso un’altra persona”.

In senso conforme, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 2775/2000, ha riaffermato il principio:

“ se fosse precluso agli organi verificatori – nel corso di accessi debitamente autorizzati – prendere visione e, se del caso, acquisire atti e dati fiscalmente rilevanti nei confronti di terze persone ( non menzionate nel provvedimento di autorizzazione), sarebbe agevole per il contribuente infedele sottrarre alle verifiche la propria documentazione fiscale, bastando a ciò il semplice accorgimento di conservarla presso un’altra persona”.

Una volta effettuato l’accesso, i funzionari dell’Amministrazione finanziaria richiedono  al contribuente, al titolare dello studio, all’amministratore dell’azienda o chi altro lo sostituisca o rappresenta in quel momento, di esibire tutti i documenti che, a norma delle singole leggi, è tenuto a sottoporre all’esame degli organi di controllo.

Ai sensi dell’art. 52, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972, l’ispezione documentale si estende a

“tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non è obbligatoria”,

e pertanto l’invito al contribuente riguarda tutta la predetta documentazione.

Il contribuente deve provvedere all’esibizione delle scritture contabili cui è tenuto, che deve essere acquisita dai verbalizzanti, i quali contestualmente provvedono ad una vera e propria “ricerca”, per acquisire documentazione non esibita o altri documenti potenzialmente utili per la ricostruzione della posizione reddituale.

Una volta acquisita tutta la documentazione i funzionari procedenti redigono il processo verbale di accesso, ove vengono descritte, analiticamente, tutte le operazioni effettuate e la documentazione consegnata e reperita.

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Gianfranco Antico

Marzo 2007