Approfondimento sui rapporti che intercorrono fra il processo verbale di constatazione e l’avviso di accertamento.
La verifica fiscale, che è il mezzo istruttorio più incisivo a disposizione degli uffici operativi dell’amministrazione finanziaria, si conclude con la redazione del processo verbale di constatazione.
La documentazione dell’attività ispettiva è finalizzata a supportare la successiva pretesa impositiva dell’ufficio finanziario, sul piano probatorio, sia quanto alla legalità della acquisizione dei mezzi di prova, sia fornendo direttamente la prova dei fatti sui quali può essere fondato l’avviso di accertamento o di rettifica.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere il processo verbale di constatazione un atto istruttorio interno e -come tale- non impugnabile autonomamente, di natura endoprocedimentale e, dunque, strumentale ai fini del successivo accertamento dell’ufficio.
L’atto che acquista rilevanza esterna, invece, è l’avviso di accertamento.
Soffermiamoci, pertanto, sui rapporti che intercorrono fra il processo verbale di constatazione e l’avviso di accertamento, distinguendo la legittimità della motivazione per relationem dal ” vaglio critico ” del p.v.c., verificando l’evoluzione di tali fattispecie, alla luce dello Statuto del Contribuente.
La motivazione degli atti impositivi
La motivazione degli atti impositivi e, in particolare, degli atti di accertamento , descrive l’insieme delle argomentazioni su cui si fonda la pretesa dell’ufficio, al fine di rendere edotto il contribuente delle ragioni di fatto e di diritto su cui gli atti medesimi si fondano, informando, altresì, il destinatario dell’atto sulle ragioni di un provvedimento autoritativo, suscettibile di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario.
La motivazione è, pertanto, uno strumento di controllo della legalità dell’azione amministrativa, oltre che mezzo attraverso il quale il contribuente, causa cognita, si difende di fronte alla pretesa dell’amministrazione finanziaria.
La motivazione spiega, quindi, una funzione di “ cerniera della legalità “ , consentendo il sindacato giurisdizionale della legittimità e correttezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria e costituendo una sorta di barriera contro possibili abusi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.14200 del 10 maggio 2000, depositata il 27 ottobre 2000, ha ribadito che
” l’avviso di accertamento ha carattere di provocatio ad opponendum e, pertanto, soddisfa l’obbligo della motivazione, ai sensi dell’art.42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, tutte le volte che il suo contenuto sia tale da mettere il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria ad esso sottesa nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum ” ,
e la censura deve ritenersi infondata quando il contribuente ha svolto le sue difese di merito contro gli elementi indicati nell’atto impositivo 1.
La legittimità della motivazione per relationem
Accade quotidianamente che gli uffici dell’Agenzia delle Entrate emettano avvisi di accertamento motivati per relationem al processo verbale di constatazione, utilizzando l’atto istruttorio interno (appunto, il p.v.c.) per il perfezionamento ed il sostentamento dell’atto amministrativo esterno (l’avviso di accertamento) .
Sia la giurisprudenza che la dottrina sono ormai concordi nel ritenere che la funzione di informazione della motivazione venga rispettata anche nel caso di motivazione per relationem, quando questa rinvia ad un precedente processo verbale di constatazione, se tale atto è in possesso del contribuente ed è idoneo ad illustrare le ragioni della rettifica, in quanto descrive chiaramente tutti i passaggi logici che conducono alla rettifica e consente, pertanto,
“l’esercizio del sindacato di legittimità “ 2 .
La stessa Corte di Cassazione ha da tempo ammesso la possibilità di motivare l’atto di accertamento per relationem ad un p.v.c. della Guardia di Finanza o di altri organi verificatori 3 .
Secondo i Giudici Supremi 4, la legittimità della motivazione per relationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il p.v. sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del p.v.c.).
Tale pensiero risulta confermato in successive pronunce con le quali è stata ribadita la necessità dell’obbligo di notificazione del p.v.c., ai fini della validità della motivazione per relationem, per consentire al contribuente di esercitare pienamente il diritto di difesa5.
Sempre in tema di motivazione per relazionem, corre l’obbligo di citare la decisione della Commissione Tributaria di II grado di Forlì 6 che ammette la motivazione per relationem, fermo restando che “ il rinvio alle informazioni contenute nel processo verbale di constatazione elevato nei confronti di una società non è ammissibile nei confronti dei singoli soci della stessa “ .
Tale pensiero appare corretto, considerato che il p.v.c. notificato, per esempio, al rappresentante legale di una S.n.c. non può essere oggetto di rinvio per relationem nei confronti dei singoli soci, che potrebbero non aver mai acquisito conoscenza del precedente atto notificato alla società7.
Il necessario vaglio critico del p.v.c.
A nostro parere, la legittimità della motivazione per relationem va tenuta distinta – – dal necessario ” vaglio critico ” cui deve essere sottoposto il p.v.c. prima della notifica dell’avviso di accertamento8, trattandosi di fattispecie profondamente diverse: in effetti, l’ammissibilità della motivazione per relationem non sottrae l’ufficio all’inderogabile dovere di valutare criticamente ed autonomamente gli elementi posti a base della pretesa impositiva, prima di farli propri e trasferirli nell’avviso di accertamento.
A nostro parere, in presenza di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’ufficio finanziario competente, prima di fare propri i rilievi proposti dai verbalizzanti, deve necessariamente procedere ad una loro valutazione critica 9.
Tuttavia, si deve ritenere che l’obbligo di procedere al “ vaglio critico “ non debba portare, per forza di cose, ad una motivazione diversa da quella del p.v.c. , essendo possibile un integrale rinvio a questo, dopo una attenta valutazione e ponderazione dei rilievi proposti.
L’ufficio, non essendo vincolato alle quantificazioni operate dal p.v. , ben potrebbe tenere conto di eventuali ulteriori elementi in suo possesso o, comunque, intervenuti successivamente alla notifica del processo verbale di constatazione.
L’efficacia probatoria del p.v.c. è limitata ai fatti e all’attestazione che essi sono avvenuti in presenza del pubblico ufficiale verbalizzante, senza estendersi ai giudizi e alle valutazioni che i verbalizzanti stessi hanno elaborato: in gergo, si dice che i verificatori si limitano a “ fotografare la situazione “rimettendo così agli uffici impositori la “valutazione della fotografia“.
Il p.v.c. redatto nei confronti di terzi
Accade spesso che i verbalizzanti, nel corso di una verifica parziale, redigano un p.v.c. nei confronti di una ditta ( per esempio, la ditta Bianchi ) per aver effettuato cessioni di beni nei confronti di altra ditta ( per esempio, la ditta Rossi ), senza emissione della relativa fattura: per la ditta Rossi si tratta , naturalmente, di acquisti in evasione d’imposta.
Successivamente i verbalizzanti si recano presso la ditta Rossi e procedono a verbalizzare la presunta vendita di quei beni acquistati in evasione, magari “ricaricata”, trascurando di verificare la circostanza (non secondaria) che il primo verbale redatto nei confronti della ditta Bianchi sia stato effettivamente portato a conoscenza della ditta Rossi.
Non vi è dubbio che l’accertamento notificato, per continuare l’esempio di sopra, alla ditta Rossi, fondato esclusivamente su un p.v.c. redatto a seguito di verifica parziale operata presso la sede della ditta Bianchi e mai portato alla cognizione della ditta Rossi, risulta viziato,oltre a precludere agli interessati l’esercizio del loro diritto di difesa, costituzionalmente garantito.
Gli accertamenti, infatti, possono ben essere fondati su p.v.c. non redatti nei confronti del contribuente, ma nei confronti di terzi, ma in questi casi non si può ricorrere alla motivazione per relationem, ma occorrerà descrivere ex novo gli addebiti.
La superiore interpretazione, elaborata sulla scorta non solo dei principi ermeneutica, ma anche di quelli della ragionevolezza, ha trovato conferma nella sentenza n. 7149/2001 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, laddove si afferma che il presupposto della conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato per relationem “è in re ipsa quando il riferimento attenga a verbali di ispezione e verifica compiuti alla presenza del contribuente o a lui notificati o comunicati nei modi prescritti, e dunque oggetto di conoscenza effettiva o legalmente presumibile.”
L’evoluzione della motivazione per relationem alla luce dello Statuto del Contribuente
L’art.7 dello Statuto del Contribuente – che tutela la corretta ed esaustiva informazione del contribuente – prevede che
“ gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art.3 della legge 7 agosto 1990, n.241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione “.
L’ultimo periodo del citato art. 7 stabilisce, altresì, che
“ se nella motivazione si fa riferimento a un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama “ .
La prima immediata interpretazione di tale attuale ultimo periodo dell’art.7 dello Statuto del Contribuente è stata che l’obbligo di allegare nell’avviso di accertamento gli eventuali atti richiamati ( per esempio il p.v.c. della G.d.F. ) sorgeva solo nel caso in cui gli stessi non erano stati previamente notificati al contribuente.
Sembra potersi affermare che si è passati dal concetto di conoscibilità degli atti, inteso come diritto del contribuente ad avere copia dell’atto richiamato per relationem dall’ufficio, a quello di conoscenza, inteso nel senso di effettiva cognizione legale dell’atto cui si rinvia 10 .
L’allora Dipartimento delle Entrate, con la circolare n.150 del 1 agosto 2000, aveva ritenuto che ragioni di opportunità e di prudenza, pur in assenza di previsioni di nullità , imponessero agli uffici finanziari di allegare agli atti di accertamento e di irrogazione delle sanzioni, copia degli atti richiamati nelle motivazioni, ancorché gli stessi fossero stati già notificati al contribuente (atti che spesso il contribuente aveva già “impugnato”, presentando all’ufficio accertatore memorie difensive per chiederne l’archiviazione).
Successivamente, il decreto legislativo n. 32 del 26 gennaio 2001 ha dettato una pluralità di disposizioni con le quali, fra l’altro, sono state apportate integrazioni o modificazioni all’art. 42 del D.P.R.n.600/73 e all’art. 56 del D.P.R.n.633/72.
In particolare, il legislatore delegato ha precisato che se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
Tale disposizione risponde probabilmente non solo ad una esigenza operativa degli uffici dell’amministrazione (spesso in difficoltà nel fotocopiare voluminosi p.v.c.), ma anche al ragionevole principio che un atto già notificato ad un contribuente possa ritenersi dallo stesso legalmente conosciuto.
L’Agenzia delle Entrate, con circolare n.77/E del 3 agosto 2001, diramata all’indomani della pubblicazione del Decreto legislativo n. 32/2001, puntualizza che
“ le direttive impartite con la circolare n.150/E del 1° agosto 2000……devono intendersi modificate nella parte in cui venivano invitati gli uffici …. ad allegare agli atti di accertamento e di irrogazione di sanzioni copia degli atti richiamati nelle motivazioni ancorché gli stessi siano già stati notificati o comunicati al contribuente…”.
La nota prosegue affermando che
“qualora i processi verbali di constatazione o gli altri atti procedimentali richiamati nella motivazione siano stati preventivamente notificati o comunicati al contribuente, gli uffici non hanno l’obbligo di allegare gli stessi agli avvisi di accertamento”.
Appare quindi una forzatura sostenere oggi la carenza di motivazione di un atto impugnato, in quanto l’atto richiamato – noto al contribuente in quanto notificato – non sia stato allegato a quello principale: l’obbligo di allegazione risulta invece rigorosamente da osservare in tutti quei casi in cui il contribuente non abbia avuto legale conoscenza dell’atto richiamato .
Ti segnaliamo anche:
Processo verbale di constatazione e motivazione per relationem
Accertamento motivato per relationem
Accesso domiciliare motivato per relationem
A cura di Francesco Buetto
12 ottobre 2005
NOTE
1) Tale sentenza va sulla scia di un principio più volte espresso, fra le altre, Cass.06.03.80 n.1503.
2 Consiglio di Stato, sez.IV, 9 gennaio 1973, n.1
3 Cass.,23.07.98, n.7218 .
4 Corte di Cass. sez.I, 17 maggio 1990, n.4290
5 Si rinvia, inoltre, per completezza, alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez.trib., n.12394 del 21 febbraio-22 agosto 2002, che ha ritenuto valida la doppia motivazione per relationem se è possibile individuare la pretesa tributaria. 6 Comm.Trib.II.grado di Forlì, Sez. III, 25 giugno 1991, dec. n.371.
7 Si pensi ancora al p.v.c notificato al contribuente, successivamente deceduto : in questi casi agli eredi andrà notificato, unitamente all’avviso di accertamento, anche il pvc da loro mai conosciuto.
8 Per approfondimenti, si rinvia a Vanz, Motivazione dell’avviso di accertamento per relationem a verbale di constatazione della polizia tributaria. Necessità di un preventivo vaglio critica da parte dell’ufficio impositore, in “ Rassegna Tributaria”, n.6/1999, pag.1170
9 In tal senso si segnala il pensiero espresso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino Sez. XX, Sent. del 13 marzo 1997, dep. il 10 aprile 1997, n.56 , in ordine alla nullità dell’avviso di accertamento motivato per relationem che ha ritenuto illegittimo, per difetto di motivazione, l’avviso di accertamento che riproduce, pedissequamente ed acriticamente, le risultanze del p.v.c. redatto dalle Fiamme gialle, senza una previa verifica valutativa da parte dell’ufficio, in quanto l’avviso di accertamento deve essere necessariamente il risultato di una specifica valutazione di tutti gli elementi che sorreggono la pretesa fiscale ( valutazione che deve essere compiuta dall’unico organo competente che è l’ufficio ).
La Commissione torinese va oltre : la mancata verifica valutativa delle risultanze del p.v.c.
” significa, in realtà, non decidere o, peggio ancora, lasciar decidere agli organi investigativi, delegando di fatto ad essi un potere che non è in alcun modo delegabile ” .
Cfr. L.Salvini, La motivazione per relationem nelle più recenti pronunce della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, in Rassegna Tributaria n. 3/2002 pp. 847 e ss.