Accesso domiciliare motivato per relationem

La Cassazione ha stabilito che l’autorizzazione all’accesso domiciliare rilasciata dal Procuratore delle Repubblica può essere motivata sinteticamente per relationem ai dati indicati dalla Guardia di Finanza.

Con l’ordinanza n. 23824 dell’11 ottobre 2017 la Corte di Cassazione ha affermato che l’autorizzazione all’accesso domiciliare rilasciata dal Procuratore delle Repubblica può essere motivata sinteticamente per relationem ai dati indicati dalla Guardia di Finanza, autorità richiedente.

 

Il fatto

accesso domiciliare guardia di finanzaIl contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, con la quale era stato respinto l’appello proposto contro la sentenza della CTP di Bari, sfavorevole al contribuente, nella controversia concernente tre avvisi di accertamento, relativamente agli anni d’imposta 1998, 1999 e 2000, a seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, giusto pvc..

Per quel che qui ci interessa, il giudice a quo, in relazione alla questione relativa alla utilizzabilità della documentazione acquisita dalla Guardia di Finanza, e versata in atti a sostegno della pretesa impositiva, che l’autorizzazione all’accesso domiciliare rilasciata dal Procuratore della Repubblica di Bari è sufficientemente motivata, in punto di gravi indizi di violazione tributaria, considerato il largo margine di discrezionalità nell’adozione del provvedimento ed il richiamo al contenuto della nota dei militari.

 

Il pensiero della Corte sull’accesso domiciliare motivato per relationem

In tema di accertamento delle imposte, la Corte, con la sentenza n. 9565/2007, alla quale il Collegio nella pronuncia che si annota ha inteso dare continuità, ha affermato che

“l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prescritta in materia di IVA dall’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), in quanto sottesa all’acquisizione degli elementi di riscontro della supposta evasione fiscale, al fine di evitarne l’occultamento o la distruzione, è contraddistinta da un largo margine di discrezionalità, da cui discende il carattere necessariamente sintetico della relativa motivazione: l’obbligo motivazionale deve pertanto ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev’essere effettuata ‘ex ante’ con prudente apprezzamento”.

In punto di diritto, osservano i massimi giudici, l’art. 52, c. 1, del D.P.R. n. 633/72, il quale attiene all’accesso nei locali adibiti all’esercizio di attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero ad uso promiscuo, ossia anche ad abitazione,

“si limita a richiedere, rispettivamente, l’autorizzazione del capo dell’ufficio, e quella del Procuratore della Repubblica, senza però fissare specifici presupposti, in entrambi i trattandosi ‘di un mero adempimento procedimentale, la cui ratio è individuabile nell’opportunità che la perquisizione trovi l’avallo di un’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata’, mentre con il comma 2, il quale attinente all’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma, cioè in locali ad uso esclusivamente abitativo, si ‘richiede, invece, – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost., sull’inviolabilità del domicilio – non solo l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma anche la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria’, previsione che conferisce “all’autorizzazione medesima la portata, non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione (Cass. n. 26829/2014)”.

La Corte, inoltre, richiama il pronunciamento a Sezioni unite (sentenza n. 16424/2004) che ha avuto modo di precisare che il giudice tributario, dinanzi alla contestazione della pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, “può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti”, e che, nel valutare la legittimità del provvedimento di autorizzazione all’accesso domiciliare, terrà conto,

“quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente”.

Nel caso di specie, la CTR ha ritenuto legittimo l’accesso domiciliare atteso che la preventiva autorizzazione del pubblico ministero non è priva di motivazione in quanto essa pacificamente richiama la nota n. 4938/22 del Comando di Brigata della Guardia di Finanza di Gioia del Colle e, in relazione agli “elementi esposti dal richiedente Comando”, dà atto della ricorrenza dei “gravi indizi di violazione alla normativa tributaria”, sicché lo schema procedimentale disciplinato dalla legge appare rispettato.

 

 

Accesso domiciliare motivato per relationem – Brevi note

Come è noto, l’accesso presso l’abitazione privata del contribuente (tutelata dall’art. 14 Cost.) può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972.

L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, di cui all’art. 52 del d.p.r. n. 633/1972, è stata prevista dal legislatore come opportuno filtro preventivo all’azione accertativa in materia fiscale in tutte le fattispecie coinvolgenti il domicilio del contribuente, posto che il domicilio è, per disposizione costituzionale, comunque inviolabile salvo che

“nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale” (art. 14 Cost.).

Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non sono necessari i gravi indizi, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.

Ricordiamo che, con sentenza n. 21974 del 16 ottobre 2009 (ud. dell’11 giugno 2009) la Corte di Cassazione ha ritenuto che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un provvedimento amministrativo endoprocedimentale e strumentale rispetto all’avviso di accertamento e dal quale deve rilevarsi la sussistenza degli elementi atti ad assumere natura di gravi indizi, attesa l’inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost..

Al giudice tributario è devoluto non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione ma altresì l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi.

La giurisprudenza della Corte (alla quale il collegio intende assicurare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene)

“ha infatti affermato che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33), costituisce un provvedimento amministrativo che si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti, in collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi”.

Da tale natura e funzione dell’autorizzazione discende (anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio) che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente (v. tra le altre per tutte SS.UU. n. 16424 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 6836/2009).

E con la sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012 (ud. 23 novembre 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che siamo nell’ambito dei

“vizi c.d. formali dell’atto impugnato, categoria nella quale va ascritto anche il vizio di invalidità del provvedimento autorizzativo, emesso dal PM – ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2 – in difetto di ‘gravi indizi di violazione di norme tributarie’, in quanto volto ad inficiare l’atto presupposto della verifica e dunque ad interrompere il necessario collegamento funzionale con l’atto terminale del procedimento impositivo, e che viene pertanto a configurarsi come vizio di invalidità del procedimento amministrativo idoneo a determinare l’annullamento per illegittimità derivata (così Corte Cass. SU n. 6315/2009 cit.) dell’atto consequenziale impugnato”.

 

E ancora con la sentenza n. 17957 del 19 ottobre 2012 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che l’autorizzazione domiciliare necessita dei gravi indizi. Afferma la Corte che

“l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria. Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie in quest’ultimo caso, vale a dire per l’accesso in locali ‘diversi’ in quanto solo abitativi (cfr. per utili riferimenti Cass. n. 16570/2011; n. 2444/2007; n. 10664/1998)”.

Per la Corte

“è pacifico che l’autorizzazione all’accesso da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo spazio di libertà del contribuente, rileva alla stregua di candido sine qua non per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (cfr. Cass. n. 6908/2011).

Giacchè il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost. (v. Cass. n. 8181/2007; n. 19689/2004)”.

 

Il giudice tributario, pertanto, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti e altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ha il dovere,

“oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di una motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche e soprattutto di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento; e quindi di verificare che codesto abbia fatto riferimento a elementi cui l’ordinamento attribuisca effettiva valenza indiziaria”.

Di conseguenza,

“se nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguentemente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (v. Cass. n. 21974/2009)”.

Pertanto, laddove nel giudizio tributario non sia dall’amministrazione finanziaria prodotta la richiesta di accesso degli organi accertatori, cui sia stata correlata l’autorizzazione del pubblico ministero, non viola la disposizione di cui all’art. 2697 c.c. il giudice tributario che reputi in tal modo impedita la verifica dell’effettiva esistenza di gravi indizi a presidio dell’autorizzazione concessa.

E da ultimo, con l’ordinanza n. 28188 del 17 dicembre 2013 (ud. 14 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha affermato che

“il giudice tributario in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, (dettato in tema di imposte sul valore aggiunto, ma reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33), ha il dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza di una motivazione sulla sussistenza di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza di tale apprezzamento.

Ne consegue che lo stesso, quando nel processo tributario non sia prodotta dall’Amministrazione la richiesta di accesso degli organi accertatori cui sia stata correlata l’autorizzazione del P.M., può legittimamente ritenere impedita la verifica della effettiva esistenza dei gravi indizi necessari per rilasciare l’autorizzazione, in conformità con la disposizione di cui all’art. 2697 c.c., mentre nella specie non risultava che il decreto del PM contenesse una motivazione adeguata ancorchè sintetica, senza che peraltro la ricorrente l’avesse specificata (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17957 del 19/10/2012, n. 21974 del 2009)”.

 

 

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28 novembre 2017

Gianfranco Antico