Una disanima delle problematiche fiscali degli acquisti esteri intracomunitari da parte delle partite IVA italiane: la gestione contabile e i troppi adempimenti IVA (dall’autofattura al reverse charge) rischiano di far incorrere in sanzioni; come rimediare?
Per le fatture che non sono veicolate attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) si pone il problema della mancata effettuazione degli obblighi di legge nei termini prescritti.
Capita infatti che il settore amministrativo di una azienda (o il professionista di fiducia) venga a conoscenza del documento (fattura emessa da un soggetto estero) a distanza di diverso tempo. In tal caso il termine di trasmissione dei dati al SdI, con contestuale assoggettamento ad Iva (nell’ipotesi di operazione rilevante in Italia) del corrispettivo dell’operazione di acquisto.
Di seguito un inquadramento della norma per verificare le soluzioni da adottare per risolvere il problema posto.
Acquisti dall’estero: quadro normativo di riferimento
In caso di acquisti intra-Ue di beni, il cessionario ha l’obbligo di assolvere il tributo mediante integrazione della fattura (emessa dal fornitore estero) con aliquota e imposta (art. 46, co. 1, DL 331/1993). Detta fattura, dopo l’integrazione, va annotata (art. 47, primo e ultimo periodo, DL 331/1993) nel registro Iva delle vendite (affinché l’acquirente si renda debitore dell’imposta) e nel registro degli acquisti (per esercitare il diritto alla detrazione). È ammessa anche la registrazione in un registro sezionale unico (risoluzione 8 settembre 1999, n. 144).
L’annotazione nel registro delle vendite deve avvenire «entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, e con riferime