È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso decreto di revisione del sistema sanzionatorio tributario. Tra le varie novità, non sono passate inosservate le nuove definizioni di crediti “inesistenti” e “non spettanti”, introdotte dal legislatore per identificare la gravità – e il relativo regime sanzionatorio – delle violazioni riconducibili alle indebite compensazioni. Definizioni che destano più di qualche perplessità, anche in considerazione del fatto che la giurisprudenza di vertice aveva appena individuato in modo chiaro il confine tra le due fattispecie.
Crediti inesistenti e non spettanti: le precedenti definizioni
La distinzione tra l’indebita compensazione di crediti non spettanti e inesistenti è stata oggetto di notevole dibattito negli ultimi tempi.
In particolare, dall’introduzione, ad opera del Dlgs 158/2015, della definizione di credito “inesistente” – la cui indebita fruizione risulta meritevole di penalità più gravose – nell’articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997. Con tale norma era stato stabilito che:
“si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
In tutti gli altri casi di indebite compensazioni, il credito, “per differenza”, doveva ritenersi “non spettante”, non essendo prevista, per tale fattispecie, specifica definizione.
L’intervento delle Sezioni Unite
A dipanare i dubbi per distinguere le due fattispecie – che comportano risvolti non da poco, basti pensare, ad esem