Una recente sentenza nega l’accesso al gratuito patrocinio ad un soggetto colpevole di reati tributari per omesso versamento IVA. Esaminiamo le criticità che può innescare la decisione della Cassazione.
L’ammissione al gratuito patrocinio può essere rigettata nei confronti di un soggetto già condannato in sede penale con giudizio definitivo per un reato fiscale.
Così ha stabilito la quarta sezione civile della Corte di Cassazione negando le ragioni dell’impugnazione da parte del ricorrente.
Il caso: niente gratuito patrocinio per chi è colpevole di omesso versamento IVA
La vicenda prendeva le mosse nell’agosto del 2019 quando il Tribunale di Lecco rigettava in primo grado il ricordo dell’uomo che aveva impugnato un provvedimento dello stesso Tribunale che non gli aveva concesso l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in ragione di suoi due precedenti per omesso versamento dell’Iva.
E’ più opportuno definirlo come patrocinio a spese dello Stato, perché tecnicamente non è una prestazione professionale gratuita, cambia solo il soggetto che effettua il pagamento.
Le doglianze dell’uomo, nel suo ricorso per Cassazione, vertevano sul fatto di non poter negare il patrocinio a spese dello Stato quando la materia del contendere non era inerente gli illeciti fiscali per i quali era stato previamente condannato.
Eppure, la Suprema Corte, nel dichiarare infondato il ricorso, riteneva corretto l’iter logico seguito dal Tribunale di lecco, ben potendosi affermare che gli accertati reati fiscali commessi potessero far presumere in concreto un superamento da parte del ricorrente dei limiti reddituali richiesti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Orbene, prendendo le mosse da tali statuizioni, sono opportune, dal nostro punto di vista, alcune considerazioni di metodo.
Presunzione di reddito e patrocinio a spese dello Stato
In primo luogo, pur rimanendo la pronuncia della Suprema Corte un mero precedente non vincolante in un ordinamento di civil law, appare chiaro come tali affermazioni possano essere condivise da altre Corti di merito e diventare pregiudizievoli per il Cittadino.
In secondo luogo, quanto affermato a giustificazione del rigetto da parte del Tribunale di primo grado, legittima una presunzione di reddito che in alcun modo può invadere la materia del patrocinio a spese dello stato ove, al contrario, di fronte alla documentazione prodotta dall’Istante, la valutazione possibile è solo cartolare sulla possibilità reddituale di accedere o meno al beneficio.
Così facendo, si permette al Giudice – invece – di investigare presuntivamente sulle condizioni economiche del cittadino, potendo egli solo ammettere in presenza dei requisisti o rigettare in assenza degli stessi, revocando semmai in futuro tale ammissione in presenza di redditi nuovi e regolarmente certificati.
Rischio di interpretazioni errate
Oltretutto, tale impostazione apre ad aberranti scenari presuntivi e interpretativi in tutti quei casi ove, in ragione della attività economica svolta dal richiedente, il Giudice possa confrontare il reddito col mestiere svolto e concludere che la dichiarazione fiscale non sia conforme, sostituendosi senza titolo e competenza agli organi fiscali.
Altresì inconcepibile l’assenza di qualsivoglia riferimento temporale alla commissione dei reati fiscali che potrebbero essere ben risalenti nel tempo e non aver più nulla a che vedere con le presenti condizioni economiche del richiedente.
Contraddizioni costituzionali e rieducazione della pena
Infine, in virtù dell’articolo 27 della Costituzione ovvero del fine rieducativo della pena, nel momento in cui il soggetto condannato ha espiato quanto previsto dalla pronuncia passata in giudicato, si presume che lo stesso, in assenza di nuovi procedimenti penali o condanne, sia stato pienamente ed efficacemente rieducato dalle statuizioni giudiziali, sicché il diniego dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per precedenti penali fiscali rappresenta una contraddizione in termini costituzionali, nonché una pratica contraddizione della condanna di primo grado che in tal modo viene definita inefficace, dato che permane sospetto nei confronti del richiedente.
Le conclusioni della Corte
In conclusione, alla luce di quanto detto, appare chiaro come tale decisione della Suprema Corte sia fortemente contrastante con qualsivoglia principio in materia penale e vi sia, anzi, una pericolosa commistione di presunzioni fiscali, diritto penale, conseguenza civili.
Fonte: Corte di Cassazione, Penale, Sez. 4, Sentenza n. 40477 del 27 settembre 2023.
A cura di Giordano Fabbri Varliero
Sabato 2 dicembre 2023