La lettura di un recente caso di Cassazione conferma le ipotesi di incompatibilità del Commercialista che assume la qualità di presidente del CdA di società, di socio di maggioranza di società o di amministratore unico di una società sua cliente. In questi casi scattano anche le norme sull’incompatibilità previdenziale
Questioni di incompatibilità del commercialista: alcune premesse
Il contributo odierno nasce dalla constatazione del risalto dato alle conclusioni della recentissima ordinanza della Cassazione, n. 26346/2023.
Tale ordinanza, ad una attenta lettura che vada quindi al di là del titolo con cui è stata offerta ai lettori della stampa specializzata, in verità non giustifica tale clamore.
Partiamo, come sempre, dalla norma, che (art. 4 comma 1 del D.Lgs. n. 139/2005) espressamente dichiara incompatibile l’esercizio, anche non prevalente, né abituale, dell’attività di impresa:
- in nome proprio o altrui,
- per proprio conto, di produzione di beni o servizi.
Per inciso, occorre cogliere l’occasione per chiarire un punto che, tra gli addetti ai lavori, non ha mancato di creare (infondata) confusione: l’attività di amministratore non è affatto attività di impresa, per cui non c’è alcuna incompatibilità tra l’attività di commercialista e quella di amministratore.
E’ ovvio che l’attività di amministratore deve essere svolta con tutti i canoni che la contraddistinguono, ossia solo al fine di perseguire l’interesse della società che ha attribuito l’incarico e non per fini personali.
Diversamente, oltre alla nota possibile azione di responsabilità prevista dal codice civile, per il commercialista scatterebbe l’incompatibilità anche per la semplice carica di amministratore.
Il caso di Cassazione
Arriviamo al caso di cui ci occupiamo.
Un professionista era stato socio di maggioranza (55%) di una società, nonché prima presidente del CdA e poi amministratore unico; di tale società aveva curato la contabilità, i rapporti con il personale e con le banche e le attività inerenti all’ambito amministrativo.
È fin troppo evidente che tale situazione soggettiva rivela un interesse alle vicende della società, che è incompatibile con le regole di probità e trasparenza che sono presidio di un corretto ed efficiente esercizio della professione.
Nel caso di specie, in sostanza, si tratta di una situazione del tutto indifendibile, non certo di una interpretazione estensiva della Corte.
Un’altra interessante notazione in tema previdenziale (che è poi il centro del caso di cui all’ ordinanza).
Le valutazioni di incompatibilità nel punto di vista della Cassa Previdenziale
L’accertamento della incompatibilità non è solo onere/dovere dell’Ordine di appartenenza, ma anche della Cassa Previdenziale, sicché quest’ultima può ben disconoscere i contributi versati negli anni in cui si manifesta l’incompatibilità; ciò, a prescindere dall’eventuale parere dell’Ordine professionale.
Quello che si vuol dire è che gli aspetti della incompatibilità possono essere valutati diversamente dall’Ordine e dalla Cassa Previdenziale: il primo non può avere effetti sul secondo.
Ciò in quanto sono diverse le ratio ispiratrici.
Se, come detto, l’ordine deve garantire il corretto ed efficiente esercizio della professione, la Cassa di previdenza deve garantire l’impiego oculato delle risorse nel rispetto del diritto costituzionale di garantire in vecchiaia mezzi adeguati ai lavoratori e di accordare alla tutela ai soli lavoratori che abbiano esercitato in maniera legittima la professione.
NdR: potrebbe interessarti anche…
L’incompatibilità tra amministratore e socio non può sfociare nella indeducibilità del costo!
A cura di Danilo Sciuto
Venerdì 15 settembre 2023