Un’attenta analisi dei documenti contrattuali e contabili aventi ad oggetto rapporti bancari, con la conseguente verifica della determinatezza e trasparenza delle relative condizioni economiche, non può prescindere dalla comprensione e dal corretto utilizzo, da parte di tutti i soggetti coinvolti (Giudici, avvocati, consulenti contabili), di alcuni termini e concetti di matematica finanziaria.
Concetti e termini indispensabili dell’esame della documentazione bancaria
È certamente indispensabile, nell’analisi dei rapporti bancari, conoscere il significato dell’unità di misura del costo e il parametro temporale a cui un determinato indicatore numerico vada riferito.
Al solo fine di fornire qualche esempio basilare: l’indicazione del solo tasso di interesse nominale annuo debitore non lascerebbe comprendere il costo effettivo dell’operazione se non venisse indicato il tasso annuo effettivo né potrebbe facilmente, un mutuatario, effettuare la valutazione di convenienza di un contratto senza conoscere i costi compresi nel TAEG o nell’ISC.
Il tasso nominale annuo, poi, nel caso in cui sia previsto un piano di restituzione con scadenze infrannuali, è un parametro “diverso” ma, al tempo stesso, unito da un legame di “equivalenza finanziaria” rispetto al tasso periodale mensile o trimestrale o semestrale, ecc. così come, a parità di capitale finanziato, di durata del finanziamento, di tasso nominale, possono corrispondere due tassi di interesse effettivi distinti a seconda del diverso regime finanziario (ossia, in capitalizzazione semplice o composta).
E’ evidente, quindi, che per verificare la correttezza della metodologia di calcolo seguita dal consulente tecnico di parte o d’ufficio o della motivazione del provvedimento emesso dal Giudice non si può prescindere dalla conoscenza del corretto significato di alcuni termini e parametri e dalla verifica del loro corretto utilizzo.
Il corso organizzato da Maggioli Editore, suddiviso nelle due giornate del 14 e 15 giugno 2023, nella pletora di convegni, seminari, webinar, frequentemente pubblicizzati, pur non avendo, di certo, l’ambizione di esaurire ogni questione sottesa al contenzioso bancario, intende contraddistinguersi per fornire le indispensabili basi tecnico-concettuali ancor prima di un approfondimento, un focus, sulle questioni che riteniamo di particolare interesse, nell’attuale periodo, anche alla luce del contrasto giurisprudenziale che, forse, sotto alcuni profili, nemmeno dovrebbe sussistere alla luce della normativa e, soprattutto, della matematica.
Nei brevi paragrafi seguenti (scritti dal Prof. Antonio Annibali e dal dott. Francesco Olivieri), si cercherà di anticipare alcuni concetti che, anche con applicazioni pratiche, saranno oggetto di maggiore approfondimento durante il corso.
TPE, TAN, TAE: tassi d’interesse di computo e loro modalità di calcolo [1]
Nell’attività di valutazione delle operazioni finanziarie si incontrano grandezze diverse, le quali concorrono, attraverso gli algoritmi (leggi) di calcolo, alla definizione dei risultati cercati.
La grandezza che maggiormente incontra difficoltà di comprensione, anche tra gli operatori del settore, è costituita dal tasso di interesse nelle sue molteplici forme e nelle implicazioni con il periodo temporale di riferimento e con il regime finanziario adottato per l’effettuazione dei calcoli.
Con riferimento ai tassi di interesse, le più importanti caratteristiche da considerare sono:
- la tipologia: tassi d’interesse effettivi oppure tassi d’interesse nominali;
- la loro eventuale equivalenza;
- il regime finanziario adottato per i calcoli (capitalizzazione composta oppure semplice).
Un tasso d’interesse periodale effettivo (TPE) è un tasso nel quale il periodo di riferimento (anno, semestre, quadrimestre, trimestre, bimestre, mese, …) coincide con il periodo di applicazione del tasso stesso.
Si parla, quindi, di:
- TAE – Tasso annuo effettivo
- TSE – Tasso semestrale effettivo
- TQE – Tasso quadrimestrale effettivo
- TTE – Tasso trimestrale effettivo
- TBE – Tasso bimestrale effettivo
- TME – Tasso mensile effettivo
Esistono anche tassi effettivi con periodi di riferimento (ed applicazione) di minore ampiezza (settimanali, giornalieri, etc) o di maggiore ampiezza (biennali, triennali, quinquennali), rispetto a quelli sopra elencati.
Un tasso d’interesse periodale nominale (TPN) è un tasso nel quale il periodo di applicazione non coincide necessariamente con il periodo di riferimento, ma ne costituisce una frazione, corrispondente al periodo di riferimento diviso per un numero (m), denominato convertibilità:
- TANm – Tasso annuo nominale con convertibilità m volte nell’anno
- TSNm – Tasso semestrale nominale con convertibilità m volte nel semestre
- TQNm – Tasso quadrimestrale nominale con convertibilità m volte nel quadrimestre
- TTNm – Tasso trimestrale nominale con convertibilità m volte nel trimestre
- TBNm – Tasso bimestrale nominale con convertibilità m volte nel bimestre
- TMNm – Tasso mensile nominale con convertibilità m volte nel mese
Facendo riferimento al caso più ricorrente, riguardante il tasso annuo nominale TANm, i diversi frazionamenti sono indicati nel modo seguente:
- TAN₁ – Tasso annuo nominale con convertibilità annuale = coincide con TAE
- TAN ₂ – Tasso annuo nominale con convertibilità semestrale
- TAN₃ – Tasso annuo nominale con convertibilità quadrimestrale
- TAN₄ – Tasso annuo nominale con convertibilità trimestrale
- TAN ₆ – Tasso annuo nominale con convertibilità bimestrale
- TAN₁₂ – Tasso annuo nominale con convertibilità mensile
Dato un tasso annuo nominale TANm, con convertibilità (m), il tasso periodale effettivo TPE, relativo al 1/m di anno, si ottiene rapportando il tasso nominale alla sua convertibilità
Esempio 1
Dato il tasso annuo nominale, con convertibilità mensile: TAN ₁₂ pari al 6,00%, il tasso mensile effettivo TME risulta pari allo 0,50%.
La relazione TAN₁= TAE mostra l’uguaglianza esistente tra il tasso annuo nominale, con convertibilità annuale (m=1), e il tasso annuo effettivo.
Nel caso di adozione del regime finanziario della capitalizzazione semplice, tale relazione di uguaglianza vale per qualsiasi convertibilità (m): TAN m =TAE; tale proprietà deriva dal fatto che in tale regime finanziario, poiché gli interessi precedentemente maturati non producono ulteriori interessi, tra i tassi effettivi vige una proporzionalità, basata sull’ampiezza dei diversi periodi di riferimento, senza dover tener conto dell’ampiezza dei periodi applicazione: TAE = 2⋅TSE = 3 ⋅TQE = 4⋅TTE = 6⋅TBE = 12⋅TME
Diversa è la situazione (come sarà meglio approfondito e dimostrato durante il corso nelle giornate del 14 e 15 giugno 2023) nel caso di adozione del regime finanziario della capitalizzazione composta, nel quale le relazioni tra il TAE e i diversi tassi periodali effettivi TPE, con diverso periodo di riferimento (pari ad 1/m di anno), non sono caratterizzate da proporzionalità, ma da relazioni di tipo esponenziale.
Sarà dimostrato, poi, come un tasso nominale con convertibilità mensile (Tan12) e un tasso annuo effettivo, pur essendo di entità diversa in termini percentuali (ad esempio: Tan12= 6,00% e TAE= 6,16%), possano essere equivalenti in quanto corrispondenti allo stesso tasso mensile effettivo pari allo 0,50%.
Si può dimostrare, poi, come due tassi annui nominali, con diversa convertibilità m1 e m2, risultano tra loro equivalenti, se sono equivalenti allo stesso TAE.
Cenni sui regimi finanziari di capitalizzazione
In matematica finanziaria un Capitale C non ha alcun significato se ad esso non si associa un’epoca precisa di riferimento.
Il riferimento temporale del capitale C rappresenta, infatti, parte integrante della sua misura nel senso che un quanto è un “non sense” se non si riferisce ad un quando.
I valori di C all’epoca zero e il valore di M (=C+I) ad un’epoca successiva sono “equivalenti”: la loro differenza è dovuta all’intervallo di tempo intercorrente e al tasso di interesse applicato.
Il totale degli interessi pagati I rappresenta il compenso che il debitore paga al creditore per l’uso fatto del capitale C per l’intervallo di tempo considerato.
Il piano di ammortamento di un mutuo a rata costante rappresenta un prospetto mediante il quale si evidenzia il programma di rimborso graduale del prestito.
Esso si compone di una serie di elementi: K numero delle rate, Rk rata k-esima, Ik quota interessi k-esima, Ck quota capitale k-esima, Dk debito residuo K-esimo.
Ciascuna rata è costituita da una quota di debito rimborsata e da una quota interessi calcolata sul debito residuo precedente.
La prima risulta crescente nel tempo, mentre la quota interessi risulta decrescente, nel senso che nel periodo k+1-esimo la quota interessi risulta inferiore alla quota interessi relativa al periodo precedente K-esimo della stessa misura in cui aumenta la quota capitale nel passaggio dal periodo k-esimo al periodo k+1-esimo.
La misura di qualsiasi quota interessi Ik ammonta ad una misura diversa in base al regime di capitalizzazione che la genera.
Sull’onere implicito
È un errore logico la duplicazione dell’onere implicito
La presenza e la quantificazione dell’onere implicito presuppone l’esistenza di un diverso algoritmo di calcolo degli interessi contenuti nella rata che genera, nel calcolo degli interessi in regime semplice, un costo per interessi inferiore a quello prodotto dal calcolo degli interessi in regime composto.
Si tratta del piano di ammortamento redatto in base al regime della capitalizzazione semplice in ossequio all’art. 821, terzo comma, cod. civ.
Non si comprende la ragione per cui, dopo avere riprodotto il piano di ammortamento in regime di capitalizzazione semplice che permette di quantificare l’onere implicito, il mutuatario dovrebbe continuare a pagare la rata risultante dal regime di capitalizzazione composta quando questo regime viene ritenuto illegittimo.
E’ per questo che è necessario riprodurre lo stesso piano di ammortamento, ma in regime di capitalizzazione semplice.
La rata che dovrà continuare a pagare il mutuatario dovrebbe essere quella più bassa derivante dal regime della capitalizzazione semplice e, dunque, senza la duplicazione dell’onere implicito.
Le rate più alte, pagate precedentemente, nella misura del differenziale fra i regimi, dovranno andare a decurtazione del debito residuo.
Si tratta di una confusione logica che riteniamo abbia influenzato una parte della giurisprudenza le cui decisioni non appaiono corrette.
NdR: Potrebbe interessarti anche…L’incidenza dei costi in caso di accertamento bancario di maggiori ricavi
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NOTE
[1] Il paragrafo è estratto dall’articolo scritto dal Prof. Antonio Annibali sulla rivista Le controversie bancarie, n. 29.
[2] Roberto Di Napoli, avvocato, abilitato al patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni Superiori. Coordinerà il corso, organizzato da Maggioli Editore, nelle giornate del 14 e 15 giugno 2023 su “Rapporti bancari: metodologie e strumenti per la lettura dei documenti contabili”.
Ha scritto, tra le varie pubblicazioni in materia di contenzioso bancario e di diritto dei consumatori: “Anatocismo bancario e vizi nei contratti”, VI edizione, Maggioli Editore, 2020; “Le contestazioni invalidanti i contratti di mutuo”, (R. Di Napoli- D. Rossi) Revelino Editore, 2019; “L’usura nel contenzioso bancario”, II edizione, Maggioli Editore, 2017.
E’ componente il comitato scientifico della banca dati “Diritto e contenzioso bancario”.
Autore di proposta per emendamenti alcuni dei quali recepiti nella legge 3/2012 a favore delle vittime di usura e racket (tra cui la sostituzione del termine “parere” con “provvedimento” all’art. 20 l. 44/99).
[3] Antonio Annibali, professore ordinario di matematica finanziaria, autore di innumerevoli pubblicazioni in materia.
[4] Francesco Olivieri, attuario professionista, esperto in analisi dei rapporti bancari e finanziari.
A cura di Roberto Di Napoli[2], di Antonio Annibali [3] e Francesco Olivieri [4]
Mercoledì 3 maggio 2023