A tale fine nel presente contributo si procederà ad evidenziare le principali criticità disciplinari dell’operazione con l’accompagnamento di alcune prospettive di soluzione sulle quali si auspica una definitiva razionalizzazione normativa.
Il regime fiscale degli ammortamenti e delle manutenzioni nell’affitto d’azienda
Nell’affitto d’azienda il regime fiscale degli ammortamenti e quello delle spese di manutenzione, ammodernamento e miglioria in genere devono, per una corretta indagine sulla loro effettiva natura, venire causalmente connessi con l’art. 2561 codice civile e con le rigide prescrizioni in esso contenute sia in ordine ai vincoli di conservazione dell’efficienza della complessiva organizzazione dell’azienda affittata e sia in ordine all’obbligo indennitario a carico dell’affittuario, nel caso egli gestisca l’azienda affittata con pregiudizio delle sue iniziali prerogative di capacità produttiva.
Solo tale ricongiunzione causale consente di evidenziare il loro raccordo con un fondo oneri futuri di ripristino di valore dell’azienda affittata e con le sue dinamiche di utilizzo.
Più specificamente la disciplina fiscale dell’affitto di azienda prevede all’art. 102, comma 8°, Tuir, che le ordinarie quote di ammortamento tabellari di cui al D.M. 31/12/1988, siano deducibili, qualora il contratto non deroghi all’art. 2561, codice civile, dall’affittuario, disponendo la loro commisurazione al costo originario dei cespiti desunto dal registro dei beni ammortizzabili regolarmente tenuto dall’affittante, ed in caso di mancata attendibilità della specifica scrittura contabile, considerando già dedotto il 50% delle quote di ammortamento relative al periodo già trascorso.
Tali prescrizioni normative appaiono già sintomatiche di una deviazione di scopo rispetto all’ ordinaria funzione dell’ammortamento di definire l’impatto a conto economico di effettive unità di misura del consumo dei cespiti, in tradizionale continuità con il significato ragionieristico di un processo di ammortamento.
Il legislatore infatti commisura il quantum fiscale della quota di ammortamento ad una atipica specificazione di costo (costo originario) nel caso di probanti supporti contabili regolarmente tenuti, e ricorre alla presunzione di una deduzione già effettuata nella misura del 50% delle quote tabellari per i periodi d’imposta già trascorsi, in caso di tenuta non attendibile del registro dei beni ammortizzabili, optando per delle soluzioni insolite, sia rispetto ai normali criteri di calcolo delle quote di ammortamento e sia in ordine alle ordinarie forme di tutela fiscale in caso di costo non oggettivamente determinabile.
Vi è pertanto la necessità di uno scrutinio fiscale che consenta di verificare l’autentica funzione di tali quote di ammortamento e soprattutto le corrette dinamiche di utilizzo del fondo alimentato da tali quote di ammortamento.
L’obbligo civilistico dell’affittuario di conservare l’efficienza dell’azienda affittata
Dalle precise prescrizioni dell’art. 2561 codice civile (a cui integralmente rinvia l’art. 2562 codice civile specificamente rubricato “affitto di azienda”, ma strutturalmente tipica norma in bianco, dal momento che manca di una disciplina propria, del tutto sostituita da quella dell’usufrutto d’azienda) e dalla razionale coesione di principi che da tale articolo viene fatta derivare dalla Dottrina[1], si ricava l’uso legislativo meramente convenzionale delle quote di ammortamento, quale misura del diritto di deduzione fiscale annuo spettante all’affittuario a fronte del perentorio obbligo di conservare l’integrale efficienza dell’organizzazione dell’azienda.
Qualsiasi pregiudizio di valore patito dall’azienda durante la gestione dell’affittuario si rende, infatti, risarcibile in denaro all’affittante, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto.
In altri termini, può dirsi ormai consolidato[2] l’intendimento di raccordare tali quote di ammortamento a mera metodologia parametrica di progressivo stanziamento ad un fondo ripristino di valore dell’azienda affittata, senza, però che vi sia alcuna certezza di corrispondenza tra tale convenzionale stima di costo e la misura annua di effettivo deperimento delle complessive dinamiche di efficienza dell’azienda da risarcire, ai sensi dell’art. 2561, 4° comma, codice civile.
Come già da tempo risalente precisato dalla citata Dottrina[3]:
“La conservazione dell’efficacia dell’organizzazione e degli impianti si sostanzia nell’obbligo di conservare l’azienda in tutte le sue componenti, mobiliari, immobiliari e immateriali, nello stato di funzionalità e di organizzazione già impressi dal concedente e, conseguentemente, di farsi carico di tutte le spese, ordinarie e straordinarie, rese necessarie a questo scopo.
Pertanto dovranno ritenersi accollate all’affittuario anche le spese di rinnovo e di sostituzione degli impianti necessarie al fine di mantenere integra l’azienda e la sua originaria funzionalità”.
Emerge chiara l’assenza di qualsiasi precisa corrispondenza tra la forfettaria opzione legislativa dell’art 102 comma 8, Tuir e la suddetta prescrizione dell’art. 2561 codice civile e da tale mancanza di coerenza estimativa deriva il significato meramente convenzionale delle quote di ammortamento fiscalmente ammesse in deduzione.
Tale mero ruolo di criterio forfettario per il perseguimento di uno stanziamento che risponde a logiche risarcitorie molto più complesse è di fondamentale importanza proprio per lo scrutinio fiscale dell’art 102, comma 8, Tuir, a cui non deve essere ricondotta, come evidenziato in premessa, la funzione di definire l’imputazione a conto economico di effettive unità di misura del consumo dei cespiti, in tradizionale rispondenza con il significato ragionieristico di un processo di ammortamento[4].