L'accertamento del dolo specifico nel reato di omessa dichiarazione

La Cassazione si pronuncia su un caso di omessa dichiarazione, analizzando in particolare i requisiti in presenza dei quali può configurarsi dolo specifico

Accertamento del dolo specifico nel reato di omessa dichiarazione

reato omessa dichiarazioneLa Corte di Cassazione si è pronunciata sull’annosa questione relativa all’accertamento del dolo specifico ai fini della configurazione del reato di omessa dichiarazione.

Al fine di comprendere la conclusione cui addivengono i giudici di legittimità nella pronuncia in epigrafe indicata, si rende opportuna una sintetica ricostruzione della fattispecie in esame.

In primo luogo, è d’uopo osservare che il reato in commento è regolato dall’art. 5 del Dlgs. n. 74/2000, il quale testualmente dispone che:

“E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.

 E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila”.

Dalla norma testé richiamata si deduce che i beni presidiati dalla fattispecie in esame sono due, ossia la trasparenza fiscale e l’interesse patrimoniale dell’Erario alla corretta percezione del tributo, talchè l’offesa alla sola trasparenza fiscale, la quale si realizza già con l’omessa dichiarazione, non integra di per sé il reato, essendo necessario che l’imposta effettivamente evasa sia superiore alla soglia di punibilità pari a 50.000 euro.

Ed è proprio il superamento di siffatta soglia che fa sì che si concreti l’offesa per l’Erario, tanto da far concludere che si tratti di reato di danno.

La fattispecie di cui all’art. 5 del D.Lgs 74/2000 si atteggia quale reato proprio, dal momento che solo il contribuente o il sostituto di imposta possono realizzare la fattispecie tipica.

La condotta consiste nell’omettere la presentazione della dichiarazione dei redditi o sul valore aggiunto.

La dichiarazione non si considera omessa se presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine; se non sottoscritta e infine, se non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

Quest’ultima previsione, di cui al comma 2 dell’art. 5 cit., è in linea col principio di offensività del diritto penale, il quale afferma che non vi può essere reato senza un’offesa, intesa come lesione o messa in pericolo, ad un bene giuridico tutelato dall’ordinamento.

Non integra, inoltre, il reato di omessa dichiarazione la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione incompleta, di guisa che la rigorosa ed esaustiva individuazione normativa della condotta incriminata – consistente nella mancata presentazione tout court agli uffici compenti della dichiarazione – non è suscettibile di estensione analogica, ponendosi altrimenti in contrasto con il principio di legalità.

L’omessa dichiarazione, ancora, è un reato omissivo a consumazione istantanea: è necessario e sufficiente che decorrano – inutilmente – i novanta giorni (periodo di ravvedimento) dalla data ultima di presentazione della dichiarazione dei redditi o sul valore aggiunto previsti dalla legge tributaria.

In punto di elemento soggettivo del reato, il delitto è punito a titolo di dolo specifico, consistente nel fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, che si aggiunge alla coscienza e volontà di realizzare il fatto tipico, cioè l’omessa presentazione della dichiarazione.

Ed è proprio sull’accertamento dell’elemento subiettivo della fattispecie di omessa dichiarazione che la Corte di Cassazione si è espressa nella sentenza prima citata.

Più in dettaglio, la Suprema Corte ha chiarito che sia ormai principio pacifico quello per cui ai fini della sussistenza del dolo specifico di evasione nel delitto di cui all’art. 5 Dlgs n. 74/2000 non sia sufficiente la mera omissione delle dichiarazioni, ma occorra provare la finalizzazione di tali omissioni alla evasione.

I giudici di legittimità, proseguono, poi stabilendo che:

“La prova del dolo nella fattispecie in esame sconta le difficoltà tipiche dell’accertamento di fatti che non sono accadimenti materiali esterni, ma puramente interni e che, in quanto tali, devono essere desunti indirettamente.

La ricostruzione della volontà del soggetto è procedimento che passa attraverso la considerazione di tutte le circostanze esteriori che possono essere espressioni di atteggiamenti psichici o comunque accompagnarli e attraverso l’inferire da tali circostanze l’esistenza di una volizione, sulla base delle comuni regole di esperienza, rapportate al caso concreto”.

Con riferimento al reato in esame, dunque, il giudice del merito dovrà verificare la sussistenza di elementi fattuali dimostrativi della circostanza che il soggetto obbligato abbia consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione dell’imposta per quantità superiori alla soglia di punibilità.

In tal senso possono essere considerati fra gli altri elementi rilevanti a dimostrare il dolo specifico di evasione, altresì, il comportamento successivo al mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione e l’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta.  

La Corte di Appello nel caso in esame ha fatto buon governo di tali principi, in punto di prova del dolo specifico di evasione delle imposte, sul rilievo che non era sufficiente a tale fine la considerazione che “difficilmente” la condotta omissiva avrebbe potuto avere finalità diverse da quelle previste dalla norma ed  ha, invece,  ravvisato tale prova in una pluralità di indizi, ritenuti gravi, precisi e concordanti, quali: la condizione soggettiva dell’imputato, esperto imprenditore, legale rappresentante e amministratore unico di una importante società dedita alla costruzione di un vasto complesso immobiliare, la cui vendita aveva fruttato nell’anno di imposta in considerazione un totale di 6 milioni di euro di profitti e  l’entità notevole delle imposte evase (pari nel complesso a oltre 334.000 euro) ampiamente superiore alla soglia di punibilità prevista dalla legge.

In conclusione, con la sentenza in commento la S.C. dà continuità all’orientamento giurisprudenziale ormai granitico che richiede un rigoroso accertamento dell’elemento soggettivo del reato di omessa dichiarazione, ribadendo, expressis verbis, che la fattispecie de qua non possa essere desunta dal mero fatto materiale dell’inadempimento dell’obbligo dichiarativo ovvero dalla culpa in vigilando del professionista.

Occorre, al contrario, discernere il profilo oggettivo da quello soggettivo dell’illecito.

Diversamente opinando, si finirebbe per trasformare il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso della volontà del reato di cui all’art. 5 Dlgs. n. 74/2000 da doloso in colposo.

In sostanza, è necessario accertare, sulla base di specifici elementi fattuali, che il contribuente abbia consapevolmente preordinato l’omessa dichiarazione all’evasione di imposta per importi superiori alla soglia di punibilità di rilevanza penale al di fuori di indebiti automatismi, in spregio del principio di offensività del diritto penale.

 

Fonte: Corte Di Cassazione, Sezione IV Penale, con la sentenza n. 39482 dello scorso 14 settembre 2022.

 

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A cura di Avv. Alessandro Villani e Dott.ssa Ludovica Loprieno

Sabato 12 novembre 2022