La sentenza penale di patteggiamento è un indiscutibile elemento di prova per il giudice tributario che, se intende disconoscere tale efficacia probatoria, deve spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.
Patteggiamento e processo tributario: il caso
La controversia aveva ad oggetto una cartella di pagamento e gli avvisi di accertamento relativi ad Iva, Irpef e Irap per un biennio, emessi a seguito di processo penale a carico di soggetti che procuravano inserzioni su giornali, riviste e siti Internet intesi a favorire la prostituzione.
Con detti atti impositivi, in particolare, un ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione il 60% delle somme incassate dal contribuente in quanto ritenute indeducibili, siccome provenienti da reato.
Sia la Ctp di Milano, intervenuta a seguito di ricorso del contribuente, che la Ctr della Lombardia, adita dall’ufficio, concordavano con la prospettazione del privato, ritenendo che i costi in questione non provenissero da reato.
In particolare, la Ctr rilevava che la sentenza di patteggiamento, pronunciata a carico del contribuente nell’ambito del processo penale, non era una sentenza di condanna e doveva essere data prevalenza al giudicato formatosi in un giudizio di cognizione piena nei confronti di altri imputati, che si era concluso con assoluzione di questi ultimi per insussistenza del reato.
L’Agenzia delle Entrate proponeva, allora, ricorso per cassazione, eccependo che l’indeducibilità dei costi conseguisse al compimento di attività delittuose per le quali era stata esercitata l’azione penale, e che la sentenza di patteggiamento, come riconosciuto dalla giurisprudenza, presupponendo di regola un’ammissione di colpevolezza, fosse un elemento di prova contro l’imputato dal quale il giudice poteva discostarsi solo ove l’imputato avesse fornito ragionevoli elementi contrari, idonei a giustificare l’accettaz