Affrancamento del valore fiscale delle partecipazioni e abuso del diritto

Prosegue la disamina sulla rivalutazione delle partecipazioni societarie: ci soffermiamo sui possibili risvolti che l’operazione può avere in materia di abuso del diritto.

Affrancamento del valore delle partecipazioni e abuso del diritto

rivalutazione partecipazioni abuso dirittoUn aspetto di interesse che da sempre caratterizza la disciplina dell’affrancamento è quello dei possibili risvolti che l’operazione può avere in materia diabuso del diritto (o, alternativamente e con medesima significatività, “elusione”).

Ciò, se si considera, in particolare, che la norma sulla rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni è stata oggetto di diverse “riedizioni”, le quali hanno mantenuto l’attualità del tema delle condotte potenzialmente abusive.

Nella specie, nel presente contesto, il tema dell’eventuale elusività delle fattispecie negoziali riguardanti l’affrancamento si può porre nella misura in cui la rivalutazione dei titoli e la successiva rivendita di questi ultimi dà ordinariamente luogo, come si è visto in precedenza, ad un risparmio fiscale per il soggetto che vi procede[1].

Per questo motivo, al fine di meglio comprendere se ed in quali casi la rivalutazione delle partecipazioni possa configurare operazione elusiva, occorre prendere brevemente in esame la disciplina fiscale dell’abuso del diritto.

Disciplina recata dall’art. 10-bis della legge 212/2000, “Statuto dei diritti del contribuente”.

In linea generale va considerato che, per dare luogo ad una fattispecie abusiva, è necessario che si realizzi un “indebito vantaggio fiscale”.

Ossia un vantaggio fiscale che, nonostante sia stato ottenuto tramite una condotta formalmente lecita, risulta “in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario[2].

Solamente in presenza di tale vantaggio fiscale indebito andranno presi in esame gli altri requisiti previsti dal citato art. 10-bis, ossia la mancanza di “sostanza economica” e l’“essenzialità” del vantaggio fiscale (indebito).

Risulta dunque cruciale, in primo luogo, ai fini della configurazione di una fattispecie abusiva, la verifica circa il fatto che il vantaggio fiscale conseguito risulti “legittimo” o meno, come in precedenza specificato[3]: in caso positivo (legittimità del risparmio fiscale), l’indagine deve fermarsi, non potendosi in ogni caso dare luogo ad elusione alcuna.

Se, invece, il vantaggio risulta “indebito”, occorrerà ulteriormente verificare se tale vantaggio sia da ascrivere all’evasione.

Solamente dopo tale ulteriore indagine, qualora il vantaggio indebito ottenuto non sia imputabile, appunto, all’evasione tributaria, si potrà (eventualmente) ricondurre la fattispecie all’abuso del diritto.

In definitiva, l’abuso del diritto in ambito tributario risulta un fenomeno che può essere individuato solamente per esclusione.

L’“abuso tributario”, in sostanza, inizia dove finisce il legittimo risparmio d’imposta, e si realizza quando il vantaggio indebito non è da ascrivere all’evasione tributaria.

 

Ti suggeriamo anche la lettura di: L’affrancamento del valore fiscale delle partecipazioni – casi particolari

 

Evasione fiscale, legittimo risparmio d’imposta e abuso del diritto

Quando si evade, quando il vantaggio fiscale risulta legittimo e quando si “abusa del diritto” in ambito tributario 

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Affrancamento del valore fiscale delle partecipazioni e possibile abusività della condotta

Visto quanto riportato in precedenza in tema di presupposti per l’abusività delle condotte, per comprendere se la rivalutazione delle partecipazioni possa configurare negozio elusivo – in particolare qualora detta rivalutazione avvenga in concatenazione con la successiva cessione degli stessi titoli affrancati – si deve (anche) tenere presente la finalità della norma agevolativa relativa alla rivalutazione.

Si è visto che l’obiettivo che il legislatore intendeva (e tuttora intende[4]) perseguire con l’introduzione dell’art. 5 della Legge 448/2001 risulta senz’altro quello di incentivare lo scambio delle quote o azioni sul mercato.

Ciò realizzandosi, nello specifico, attraverso la riduzione – finanche l’azzeramento – della plusvalenza che si genera in occasione del trasferimento delle partecipazioni, grazie all’incremento del costo fiscale di queste ultime.

La possibilità per i contribuenti di ridurre, eventualmente azzerandolo, il componente positivo di reddito che emerge dalla cessione delle partecipazioni sul mercato, rappresenta infatti, senza dubbio, un incentivo al fine di favorire la circolazione dei titoli, potendo fruire di un più ridotto regime di imposizione sostitutiva.

Inoltre, lo stimolo al dinamismo nello scambio delle partecipazioni è desumibile dal fatto che tale regime di favore, consistente nel riconoscimento del maggiore costo fiscale rivalutato, rilevi esclusivamente agli effetti della determinazione delle plusvalenze derivanti dall’alienazione di queste ultime (“redditi diversi” ex art. 67, comma 1, lett. c) e c-bis) del Tuir) e non anche a fattispecie che rientrano nella diversa categoria dei “redditi di capitale”, quali il recesso, l’esclusione, il riscatto, la riduzione del capitale e la liquidazione della società (art. 47 Tuir) – così come anche riportato dall’Agenzia delle Entrate[5].

Ed infatti, la mancata estensione del beneficio fiscale alle fattispecie da ultimo individuate si giustifica proprio in virtù del fatto che, in tali casi, non si realizza alcuna circolazione delle partecipazioni, verificandosi invece un mero depauperamento patrimoniale del soggetto societario interessato.

Per questo motivo, se si cala in simile contesto normativo la tipica operazione di rivalutazione delle partecipazioni e la loro successiva cessione (con riduzione della plusvalenza che ne deriva), si può pacificamente affermare che dall’affrancamento i soci intendono trarre il vantaggio stesso che il legislatore aveva in animo di accordare con l’emanazione della disciplina in esame.

Vantaggio che, ad oggi, il legislatore ha dimostrato di volere continuare a concedere a coloro che ne integrano i presupposti della norma che, in più occasioni, ha visto una “riedizione” (da ultima quella di cui all’art. 1, commi 1122 e 1123, della legge di Bilancio 2021).

Quanto appena riportato risulta una circostanza in grado di eliminare ipso facto qualsiasi possibilità di contestazione di elusività della condotta dei soci che dovessero decidere di rivalutare le proprie partecipazioni per poi cederle a terzi.

Ciò per il fatto stesso che la possibilità di rivalutare le quote risulta intrinsecamente ed inscindibilmente collegata alla loro successiva alienazione, tramite la quale si addiviene, in ultima analisi, al risultato ricercato dal legislatore (incremento della circolazione delle partecipazioni societarie).

In ciò si valorizza precisamente il principio, chiaramente affermato a livello normativo, di cui all’art. 10-bis, comma 4, della legge 212/2000, in cui viene appunto statuito che:

resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

In conclusione, si può affermare che l’affrancamento delle partecipazioni e la successiva vendita delle medesime, con ottenimento di un beneficio fiscale per il contribuente che riduce la plusvalenza per la cessione dei titoli, non risulta “ordinariamente” una condotta elusiva, risultando coerente di per sé con la ratio della disciplina sulla rivalutazione ex art. 5 della Legge 448/2001.

 

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***

NOTE

[1] Riducendo (o, eventualmente, azzerando) la plusvalenza per la cessione delle partecipazioni.

[2] Art. 10-bis, comma 2, lettera b) dello Statuto del contribuente.

[3] Non contrastante con la ratio di singole norme o con l’ordinamento nel suo complesso.

[4] Vista la costante riproposizione della disciplina della rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni.

[5] Cfr. circolare n. 12/E/2002.

 

A cura del Comitato Scientifico di NOMOS

Venerdì 21 maggio 2021

 

Questo intervento è estrapolato dalla Linea Guida n. 1/2021 di NomosSCARICALA GRATUITAMENTE–>

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LINEA GUIDA N. 1

“L’affrancamento del valore fiscale delle partecipazioni: riflessioni su aspetti di interesse tra normativa applicabile, prassi amministrativa e pronunce giurisprudenziali”

Come accaduto più volte nel corso degli anni, la Legge di Bilancio 2021, da ultima, ha riproposto la norma che consente la possibilità di procedere con la rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni detenute “privatamente” dai contribuenti.

Con riferimento all’ultima “riedizione” della disciplina, si deve trattare di azioni o quote di partecipazione, anche non rappresentate da titoli, al capitale o al patrimonio di società in società non quotate, detenute al 01/01/2021.

Nonostante si tratti di una normativa nota ai contribuenti sin dalla prima entrata in vigore nel 2002, vi sono talune importanti implicazioni legate alla rivalutazione delle partecipazioni, tra le quali, in particolare, le modalità tramite cui scomputare l’imposta sostitutiva versata per precedenti procedure di affrancamento, la possibilità di rivalutare solo “parzialmente” le partecipazioni stesse e l’eventuale abusività della condotta da parte di chi procede con l’affrancamento e con la successiva alienazione dei titoli rivalutati.

Con la presente Linea guida si esamineranno gli aspetti di interesse menzionati in precedenza, anche in considerazione di quanto riportato in proposito dai più recenti pareri di prassi dell’Agenzia delle Entrate e dalle pronunce della giurisprudenza.

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