La rivalutazione parziale delle partecipazioni e la (eventuale) stratificazione dei titoli affrancati

Chi intende rivalutare una partecipazione può decidere liberamente se optare per la rivalutazione dell’intera partecipazione detenuta o se procedere affrancando solamente una parte della stessa partecipazione. Che conseguenze ha questa scelta?
In questo intervento proponiamo alcune riflessioni sul corretto trattamento delle operazioni di affrancamento parziale

Rivalutazione parziale delle partecipazioni

rivalutazione parziale partecipazioniIn generale, il soggetto che intende rivalutare un titolo partecipativo può decidere liberamente se optare per la rivalutazione dell’intera partecipazione detenuta (100% del titolo che ha in portafoglio) o se procedere affrancando solamente una parte della stessa partecipazione.

Tale ultima possibilità (rivalutazione parziale) risulta percorribile da parte del contribuente solamente tramite il versamento della percentuale dell’imposta sostitutiva che corrisponde alla porzione di partecipazione che intende rivalutare.

Quindi, in ultima istanza, il fatto che il contribuente abbia optato per la rivalutazione parziale è circostanza che si può desumere dal “comportamento concludente” del medesimo contribuente.

Pertanto, ipotizzando che l’imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione di una determinata quota di partecipazione sia pari ad euro 1.000.000, risulta evidente che, qualora il contribuente versi solamente euro 100.000, tale quota partecipativa dovrà considerarsi rivalutata limitatamente al 10% (100.000 / 1.000.000).

In sostanza, il versamento insufficiente di quanto complessivamente dovuto, a titolo di imposta sostitutiva, per la rivalutazione della partecipazione interamente detenuta determina ipotesi di affrancamento parziale.

In questo senso si sono altresì espresse sia la Corte di Cassazione[1] che l’Amministrazione finanziaria.

In particolare, l’autorità fiscale, con la circolare n. 12/E del 31/01/2002[2] (§ 2), documento di prassi che richiama la precedente circolare ministeriale n. 165 del 24/06/1998, ha espressamente ammesso la facoltà, per il contribuente, di rivalutare parzialmente la propria partecipazione detenuta.

In proposito, occorre notare che con la successiva circolare n. 81 del 06/11/2002 (§ 3.3[3]), l’Amministrazione finanziaria ha ulteriormente argomentato che la quota di partecipazione rivalutata in misura parziale costituisce un autonomo strato “LIFO”, il quale si considera ceduto per primo all’atto delle successive vendite tale partecipazione[4].

Questo, evidentemente, in applicazione di quanto previsto dall’art. 67, comma 1-bis, del Tuir, norma in base alla quale:

Agli effetti dell’applicazione delle lettere c), c-bis) e c-ter) del comma 1, si considerano cedute per prime le partecipazioni, i titoli, gli strumenti finanziari, i contratti, i certificati e diritti, nonché le valute ed i metalli preziosi acquisiti in data più recente; in caso di chiusura o di cessione dei rapporti di cui alla lettera c-quater) si considerano chiusi o ceduti per primi i rapporti sottoscritti od acquisiti in data più recente”.

Per inquadrare l’operatività del menzionato comma 1-bis dell’art. 67 del Tuir occorre considerare come lo stesso preveda che, per determinare la plusvalenza derivante dalla cessione di partecipazioni, è necessario considerare – per presunzione assoluta – che i titoli partecipativi ceduti per primi risultano quelli acquistati più di recente (da parte del cedente).

Dovendosi infatti valorizzare le partecipazioni oggetto di cessione utilizzando il menzionato criterio “LIFO”.

Volendo esemplificare, una partecipazione pari al 100% del capitale sociale di una determinata entità, partecipazione acquisita:
  • per il 40% il 30/01/2021, al costo di euro 100.000 e
  • per il restante 60%il 20/02/2021, per un corrispettivo pari ad euro 150.000,

reca un valore fiscale complessivo pari ad euro 250.000 (100.000 + 150.000).

Qualora il detentore di tale partecipazione desideri cederla solamente in misura parziale, per il 70% ad esempio, dovrà valorizzare la quota del titolo oggetto di cessione per l’importo complessivo di euro 175.000, importo risultante dalla somma di:

  • euro 150.000 relativamente al 60% della partecipazione acquistata il 20/02/2021 (ossia la parte della quota partecipativa acquisita per ultima nel corso del tempo);
     
  • euro 25.000 per il 10% dello stesso titolo (porzione della partecipazione acquisita per prima), importo a sua volta risultante dalla ripartizione del valore di euro 100.000 (40% del titolo partecipativo acquisito a fine gennaio 2021) nella percentuale oggetto di cessione (10%, pari ad un quarto di tale ultima porzione partecipativa).

Pertanto, in sede di determinazione del componente di reddito differenziale (plus/minusvalenza) per la cessione titolo, si dovrà procedere con il confronto fra il corrispettivo pattuito e il valore fiscale individuato in euro 175.000.

Occorre però rilevare che la regola appena riportata (imposta dall’articolo 67, comma 1-bis, del Tuir) riguarda espressamente (ed esclusivamente) le ipotesi nelle quali il contribuente detiene partecipazioni che ha acquisito in tempi diversi, ossia partecipazioni c.d. stratificate[5].

Diversamente, in tutti quei casi in cui il contribuente detenga partecipazioni che ha acquistato (lato sensu[6]) in un unico momento, non può evidentemente trovare applicazione quanto statuito dall’art. 67, comma 1-bis, del Tuir.

In sostanza, qualora un soggetto intenda cedere solamente una parte dei titoli che detiene, per comprendere quale sia la parte di tale pacchetto partecipativo che formerà oggetto di cessione risulta in primo luogo necessario acquisire consapevolezza della (eventuale) “stratificazione” delle stesse partecipazioni detenute.

Se, infatti, tale soggetto avesse acquisito, in tempi diversi, la titolarità della quota di partecipazione detenuta, vi saranno ripercussioni sulla successiva alienazione di parte della stessa partecipazione; questo, evidentemente, in termini di “valorizzazione” della porzione di partecipazione oggetto di cessione, come previsto dall’art. 67, comma 1-bis, del Tuir.

Visto tale inquadramento generale sulla stratificazione delle partecipazioni e sulla valorizzazione, in caso di cessione parziale dei titoli, dei diversi “strati” acquisiti in momenti di tempo diversi, occorre ora domandarsi se l’affrancamento delle partecipazioni possa in qualche modo far ritenere applicabile la regola vista sulla stratificazione in base al criterio “LIFO”.

Criterio che, in tale ultima ipotesi, andrebbe quindi seguito anche nel caso in cui il detentore di una partecipazione, acquisita interamente in uno stesso momento e rivalutata parzialmente, desideri cedere tale partecipazione solamente in parte.

Il caso, ad esempio, è quello in cui il contribuente che detiene 100 azioni di una Spa, per un valore di euro 10 per ogni azione[7], e che rivaluta solamente 50 azioni, per il valore rideterminato di euro 20 ad azione[8], cedendone successivamente 60.

In simile ipotesi ci si può domandare se, in sede di cessione delle 60 azioni, l’avvenuta rivalutazione (parziale) di 50 titoli azionari possa far considerare questi ultimi come ceduti per primi, così che, solo successivamente, risultino cedute le azioni non rivalutate.

Secondo la “rigida” lettura dell’Amministrazione finanziaria, di cui alla circolare n. 81/2002[9], il soggetto che ha rivalutato parzialmente 50 delle 100 azioni detenute e che intende cederne 60, dovrebbe ritenere alienate, in precedenza, le 50 azioni oggetto di affrancamento.

Ciò in quanto l’affrancamento (parziale) dei 50 titoli azionari porterebbe, secondo l’Agenzia delle Entrate, a considerare questi – per presunzione assoluta – come acquistati per ultimi, circostanza dalla quale, in applicazione dell’art. 67, comma 1-bis, del Tuir, conseguirebbe che tra le 60 azioni oggetto di cessione rientri l’intera porzione di azioni rivalutate.

In definitiva, in tale ultimo caso, stando a quanto riportato dall’Agenzia delle Entrate la cessione delle 60 azioni risulterebbe composta:

  • dalle 50 azioni rivalutate, recanti un valore di euro 20 ciascuna (totale euro 1.000) e
     
  • da ulteriori 10 titoli azionari non affrancati, da valorizzare nell’importo di euro 10 per ogni azione (euro 100 complessivamente);

per un totale di euro 1.100 quale valore fiscalmente riconosciuto del pacchetto azionario oggetto di cessione, da confrontare con il corrispettivo della cessione per determinare l’importo della plus/minusvalenza per la cessione.

Su quanto sostenuto dalle Entrate con la circolare n. 81/2002 occorre notare, sin da ora, che l’equiparazione tra “affrancamento” ed “acquisizione”, ai fini della stratificazione “LIFO” delle partecipazioni detenute, non trova alcun riscontro normativo.

Si tratta infatti di un’interpretazione che si giustifica per ragioni di semplicità amministrativa[10] e che conduce, in ultima analisi, al risultato di garantire un vantaggio al contribuente; questo, nella misura in cui simile interpretazione “obbliga” colui che trasferisce la partecipazione in parte affrancata a determinare il componente di reddito differenziale utilizzando il valore fiscale rideterminato[11], dandosi quindi luogo ad una plusvalenza inferiore in sede di cessione della stessa partecipazione.

 

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I dubbi sulle argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate su affrancamento e stratificazione: riflessioni sul corretto trattamento delle operazioni di affrancamento parziale

Dopo avere constatato il “significato” della lettura dell’Amministrazione finanziaria circa la stratificazione delle partecipazioni oggetto di rivalutazione – lettura che si è visto essere tesa a garantire, in definitiva, un beneficio al contribuente – occorre considerare come simile interpretazione (che, lo si ribadisce, non trova alcun riscontro normativo) possa in taluni casi recare un pregiudizio al contribuente.

Si pensi, ad esempio, ad un contribuente che, al 1° gennaio 2021, detiene una partecipazione pari al 60% in una società e che intende conferire, nel mese di aprile dello stesso anno, il 51% di tale partecipazione in una diversa entità – dando luogo ad uno “scambio di partecipazioni” ex art. 177 del Tuir – conservando il restante 9% della partecipazione in portafoglio.

In tale caso, qualora il detentore delle partecipazioni in esame desideri rideterminare, ex legge di Bilancio 2021, il valore fiscale del 9% dei titoli che deterrà a seguito del conferimento del restante 51%, l’interpretazione contenuta nel documento di prassi sopra richiamato gli impedisce, di fatto, di procedere in tal senso.

Questo perché, come riportato al precedente paragrafo 1, sulla base di quanto previsto dall’ultima “riedizione” della norma sul riallineamento del valore fiscale delle partecipazioni, l’affrancamento del 9% delle partecipazioni detenute dal soggetto in questione ha efficacia al 1° gennaio 2021 – data anteriore al conferimento del 51% delle quote partecipative detenute dal medesimo contribuente.

Dovendosi quindi concludere, in ossequio a quanto riportato dall’Agenzia nella circolare n. 81/2002, che nel 51% del pacchetto partecipativo oggetto del conferimento rientri il 9% delle partecipazioni rivalutate[12].

Ciò in quanto, lo si ricorda, tali partecipazioni rivalutate costituiscono, a parere dell’Agenzia delle Entrate, un autonomo strato “LIFO”, il quale si considera ceduto – rectius “conferito”, nel caso in esame – per primo in caso di trasferimento.

Dall’applicazione della linea interpretativa delle Entrate al caso sopra considerato consegue, quindi, che il soggetto che ha conferito il 51% della partecipazione detenuta, mantenendo in seguito la titolarità del restante 9%, non potrebbe considerare rivalutati i titoli che compongono tale 9% delle partecipazioni rimaste in portafoglio.

Non potendo quindi “spendere” tale maggiore valore fiscale rideterminato nel caso di successiva cessione di tale 9% delle partecipazioni detenute post conferimento (non avendo quindi modo di fruire del beneficio fiscale correlato alla rivalutazione dei titoli partecipativi[13].

L’irragionevolezza di quanto è stato appena riferito risulta altresì evidente se si considera che, nell’ipotesi illustrata in precedenza, appare chiaro che le partecipazioni per le quali si procederebbe con la rideterminazione parziale del valore fiscale, ossia il 9% detenuto in seguito al conferimento, risulta esattamente coincidente con quella parte del pacchetto partecipativo che non ha formato oggetto di conferimento.

Potendosi quindi ritenere che, ad esito della rivalutazione parziale del 9% di tali partecipazioni, colui che le detiene abbia voluto procedere con l’affrancamento allo specifico fine di restare in possesso, dopo il conferimento, di quella stessa parte dei titoli partecipativi che non sono stati conferiti.

Ciò, nonostante l’efficacia di tale rivalutazione “retroagisca” alla data del 1° gennaio 2021, data che si è visto risultare anteriore al momento nel quale avviene il conferimento del 51% della partecipazione.

Difatti, sebbene l’affrancamento del 9% delle partecipazioni in esame “fotografi” la situazione partecipativa esistente al 1° gennaio 2021, se si considera che il versamento dell’imposta sostitutiva per tale affrancamento (parziale) avviene in un momento successivo rispetto al conferimento del restante 51% delle partecipazioni detenute dal medesimo soggetto, pare di potersi senza dubbio ritenere che tale rideterminazione parziale del valore fiscale delle quote azionarie riguardi espressamente quei titoli (9%) che il contribuente si trova a detenere nel momento in cui versa la stessa imposta sostitutiva, ossia post conferimento del restante pacchetto partecipativo.

Da quanto riportato in precedenza risulta evidente che, sebbene in “casi limite”, l’adeguamento all’interpretazione amministrativa richiamata non produce sempre risultati in linea con la finalità di vantaggio per il contribuente correlata a tale lettura delle norme in esame (affrancamento delle partecipazioni, da un lato, e stratificazione delle stesse ai fini del trasferimento, dall’altro).

Tuttavia, oltre alla citata considerazione di casi specifici, quanto argomentato dalla prassi nella menzionata circolare n. 81/2002 risulta ulteriormente criticabile a livello “sistematico”.

Ed infatti, com’è stato altresì anticipato, quanto evidenziato circa la “fittizia equiparazione” tra acquisizione e affrancamento delle partecipazioni non trova alcun riscontro normativo.

Questo, se si tiene a mente quanto riportato al precedente paragrafo 3 circa la “latitudine” dell’art. 67, comma 1-bis, del Tuir; norma che, lo si ribadisce, individua il criterio “LIFO” di valorizzazione delle partecipazioni (ai fini della determinazione della relativa plusvalenza da cessione) basandosi sull’acquisto, da parte del detentore le partecipazioni cedute (anche solo in parte), di tali titoli in momenti differenti.

Non riguardando invece il comma 1-bis l’ipotesi di partecipazioni acquisite nello stesso momento.

Ebbene, nel caso della rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni risulta evidente che non vi è alcun reale acquisto di partecipazioni da parte di chi procede con l’affrancamento, bensì solamente la diversa valorizzazione dei titoli (anche limitatamente ad una parte di quelli posseduti).

Motivo per il quale si ritiene che, in mancanza di simile “nuovo” acquisto di partecipazioni – il quale solamente potrebbe giustificare l’applicazione dell’art. 67, comma 1-bis, del Tuir – la mera rideterminazione (parziale) del valore fiscale delle partecipazioni non sia circostanza in grado da giustificare la stratificazione “LIFO” delle partecipazioni detenute.

Da ciò discendendo, in definitiva, che, nel caso di rivalutazione parziale delle partecipazioni, la successiva cessione di una determinata porzione del pacchetto partecipativo parzialmente rivalutato dia al contribuente la possibilità di decidere quale parte delle partecipazioni detenute siano state effettivamente cedute.

Con ciò, come si è visto in precedenza, potendo stabilire tale contribuente se ed in che modo usufuire del vantaggio fiscale correlato all’affrancamento dei titoli partecipativi (ossia la riduzione della plusvalenza per la cessione dei titoli).

 

Lo scomputo di quanto versato per una precedente rivalutazione anche in caso di successivo affrancamento parziale: il concetto di “medesimo bene

Al tema di cui al precedente paragrafo 3.1 si riconnette quello, già affrontato al paragrafo 2, dello scomputo dell’imposta sostitutiva versata per precedenti procedure di riallineamento del valore dei titoli. Dovendosi però effettuare, nell’ipotesi di rivalutazione solo parziale delle partecipazioni detenute, alcune considerazioni che riguardano la specificità di tale casistica.

Si è già rappresentato che l’art. 7, comma 2, lett. ee) del DL 70/2011 stabilisce la possibilità di scomputare l’imposta sostitutiva che è stata versata, per una precedente rivalutazione, nell’ipotesi in cui si proceda con una “nuova” rideterminazione del valore fiscale della stessa partecipazione.

La norma richiamata dispone infatti che:

i soggetti che si avvalgono della rideterminazione dei valori di acquisto […] qualora abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni, possono detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata”.

In proposito, occorre evidenziare nuovamente che il legislatore ha utilizzato i termini “dei medesimi beni”, in quanto, come già riportato, la misura agevolativa che prevede la rideterminazione del costo o valore di acquisto a cui la disposizione in argomento fa riferimento, riguarda sia le partecipazioni che i terreni.

Limitando l’analisi alla rivalutazione delle partecipazioni, si ritiene che per “medesimo bene” si debba intendere la medesima partecipazione societaria in precedenza affrancata.

Ciò non crea particolari criticità nel caso in cui la rivalutazione – sia “originaria” che successiva – abbia ad oggetto il titolo partecipativo interamente considerato (il 100% della partecipazione detenuta dal contribuente); diversamente, nell’ipotesi in cui si sia provveduto a rivalutate solamente una parte di tale partecipazione, risulta necessario effettuare una riflessione aggiuntiva.

Occorre preliminarmente constatare come l’Agenzia delle Entrate, trattando la questione della rivalutazione parziale dei titoli partecipativi, a partire dalla circolare n. 12/E del 31/01/2002[14] (§ 2), abbia affermato che, in caso di rivalutazione solamente di una parte della partecipazione detenuta, si considera affrancata in precedenza la porzione di partecipazione acquistata per ultima, in applicazione del già citato metodo “LIFO”.

In sostanza, secondo la prassi amministrativa l’affrancamento parziale dei titoli ha efficacia sullo “strato” di partecipazioni acquistato più di recente, non potendosi invece rivalutare una porzione del titolo partecipativo acquistata in precedenza.

In proposito, si deve rilevare, come già affermato in merito al “rinnovamento” della data di acquisto delle partecipazioni rivalutate (circolare n. 81/2002), che, anche per il caso di partecipazione che sia stata affrancata solamente in misura parziale, non vi sono indicazioni normative che possano fare ritenere che la quota oggetto di rivalutazione risulti quella acquistata per ultima[15].

Si pensi, ad esempio, ad un contribuente che ha acquistato:

  • nel corso dell’anno x il 50% delle partecipazioni in una società Alfa, per il valore di 1.000, nonché
  • il successivo anno x+1 il restante 50%, per euro 2.000.

In simile contesto, stando a quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui il detentore della partecipazione (totalitaria) nella società Alfa desideri procedere con l’affrancamento della metà del pacchetto partecipativo detenuto, egli dovrà “forzatamente” affrancare il 50% acquistato nell’anno x+1, avente un valore fiscale di 2.000.

Secondo le Entrate, quindi, tale soggetto non potrà procedere con l’affrancamento parziale della sola parte di partecipazione del 50% acquisita per prima; pur dovendosi ribadire, anche in questo caso, che quella della prassi amministrativa risulta una lettura che non ha alcun riscontro normativo.

Tuttavia, al di là della possibilità di concordare (o meno) con simile ricostruzione interpretativa, rispetto al tema in esame – possibilità di scomputare la quota di imposta sostitutiva versata per una precedente rivalutazione – risulta evidente che il recupero della sostitutiva già versata sia possibile solamente qualora il contribuente opti per un successivo affrancamento della “medesima porzione di partecipazione già oggetto di rivalutazione”.

Pertanto, nel caso rappresentato in precedenza, aderendo all’interpretazione amministrativa, se all’affrancamento del 50% della partecipazione nella società Alfa, per la parte acquistata nell’anno x+1[16], dovesse seguire una “nuova” rivalutazione del 50% della partecipazione nella stessa Alfa, il contribuente potrà recuperare la sostitutiva per il primo affrancamento.

Ciò in quanto il detentore del titolo rivalutato (e da rivalutare successivamente) non potrebbe che affrancare la stessa porzione di partecipazione già oggetto di rideterminazione del costo fiscale, ossia la parte di partecipazione acquistata nel periodo x+1.

Diversamente, qualora si reputasse possibile – nonostante quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate – affrancare (parzialmente) il 50% della partecipazione in Alfa acquisita nell’anno x, successivamente ad una prima rivalutazione del 50% dei titoli acquisiti nell’anno x+1, il contribuente non potrà in alcun modo recuperare l’imposta sostitutiva per la rivalutazione “originariamente” effettuata.

Questo nella misura in cui non si tratterebbe, in tale ultimo caso, di una procedura di rivalutazione che ha ad oggetto il “medesimo bene”, ossia la medesima parte di partecipazione rivalutata.

Vi sono poi casistiche nelle quali sussistono minori problematiche operative, ossia quelle in cui le quote di partecipazione per le quali si è provveduto, solo parzialmente, a rideterminare il relativo valore fiscale, siano state tutte acquistate alla stessa data.

In tali ipotesi, tenendo a mente quanto riportato in precedenza circa l’impossibilità di ritenersi prodotto alcun “rinnovamento” delle partecipazioni (alla data di efficacia della rivalutazione), si è del parere che, qualora il contribuente intenda effettuare una successiva rivalutazione parziale di un titolo già parzialmente affrancato, lo stesso contribuente possa scegliere se:

  • rivalutare la porzione di partecipazione già in precedenza affrancata oppure;
     
  • affrancare una diversa parte del titolo che possiede.

Rileverà quindi il comportamento concludente del contribuente, il quale provvederà a scomputare o a chiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva versata in occasione della precedente rideterminazione del valore solamente nel caso in cui desideri affrancare la quota di partecipazioni già oggetto di rivalutazione in passato.

In caso contrario – ossia in assenza di scomputo o di istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva versata in passato – il contribuente non potrà che avere optato per la rivalutazione di una diversa porzione di quote (acquistate, comunque, nello stesso momento), non avendo infatti rivalutato nuovamente il “medesimo bene”.

Volendo rappresentare un caso pratico, si supponga che un soggetto abbia acquisito, in un unico momento, una partecipazione pari al 40% in una società, procedendo poi con la rivalutazione parziale del 5% del rispettivo ammontare e desiderando, in seguito, nuovamente affrancare parzialmente i titoli che detiene limitatamente al 15%.

In simile ipotesi, partendo dal presupposto che l’acquisto della partecipazione non è stato effettuato in periodi di tempo diversi (no “tranches”), il contribuente che detiene la partecipazione complessivamente pari al 40% nella società in questione potrà scegliere se:

  • rivalutare la stessa percentuale della partecipazione già affrancata del 5% ed un’ulteriore porzione pari al 10%, in questo caso scomputando l’imposta sostitutiva versata in sede di prima rivalutazione.
    Ciò in quanto il detentore della partecipazione sta senz’altro rivalutando (anche) la “medesima partecipazione” in precedenza rivalutata, ossia il 5% “originariamente” affrancato;
     
  • rideterminare il valore di un’ulteriore quota di partecipazione (pari al 15%), diversa rispetto a quella precedentemente affrancata (5%).
     
  • in tale caso, evidentemente, il contribuente non potrà provvedere a scomputare l’imposta sostitutiva versata per effetto della prima rivalutazione, dal momento che il riallineamento del valore fiscale ha ad oggetto una diversa parte dei titoli posseduti da chi vi procede.

 

Se desideri approfondire ancora, puoi leggere anche…Chiarimenti sulla rivalutazione partecipazioni e dei terreni 2021 – Diario Quotidiano del 25 Gennaio 2021

 

***

NOTE

[1] Cassazione n. 9507 del 18/04/2018, che ha richiamato la precedente e n. 24057 del 12/11/2014.

[2] Così come con la più recente circolare n. 1/E del 22/01/2021 (§ 2.3).

[3] Nello specifico, trattando della “Rideterminazione parziale del valore della partecipazione”, l’Agenzia ha affermato che “è stato già chiarito che, nel caso in cui il contribuente si avvalga del regime impositivo di cui all’articolo 5 del D.Lgs. n. 461 del 1997 (regime dichiarativo), qualora i titoli, le quote o i diritti siano stati acquistati in epoche diverse, per individuare quelli per i quali è stato rideterminato il costo o il valore di acquisto si devono considerare valorizzati i titoli, le quote o i diritti acquisiti per ultimi.

La partecipazione sulla quale è dovuta l’imposta sostitutiva del 2 o 4 per cento si considera acquisita il 1° gennaio 2002 [ossia alla data in cui, all’epoca, aveva efficacia la rivalutazione, n.d.s.]. Pertanto, nell’ipotesi in cui in data successiva non siano state acquisite altre partecipazioni, in caso di cessione si considera ceduta per prima la partecipazione il cui costo è stato rivalutato […]”.

In sostanza, secondo le Entrate l’affrancamento dei titoli partecipativi comporta, di fatto, l’equiparazione della rivalutazione all’ipotesi di “acquisizione”.

[4] Lo stesso principio risultava invero già desumibile dalla risposta ad un quesito (§ 2.1) di cui alla circolare n. 9 del 30/01/2002, venendo poi confermato nella circolare n. 1/E/2021 (§ 2.3).

[5] Le quali possono, eventualmente, riportare un diverso valore fiscalmente riconosciuto.

[6] Comprendendosi anche le ipotesi nelle quali il contribuente detiene le partecipazioni avendo costituito la società rappresentata da quegli stessi titoli partecipativi che egli possiede.

[7] Valore complessivo della partecipazione euro 1.000 (100 x 10).

[8] Dando quindi luogo, in seguito all’affrancamento, ad un valore complessivo della partecipazione di euro 1.500, dato da:

  • euro 500 per le 50 azioni non rivalutate, con valore pari ad euro 10 (50 x 10);
  • euro 1.000 relativamente alle 50 azioni per le quali è stato rideterminato il valore fiscale per l’importo di euro 20 ciascuna (50 x 20).

[9] Secondo la quale, lo si ricorda, l’affrancamento dei titoli partecipativi comporta, di fatto, il “rinnovamento” della partecipazione alla data di efficacia della rivalutazione.

[10] Nella misura in cui tale impostazione garantisce una rapida ricostruzione, in sede di cessione di parte delle partecipazioni detenute da un soggetto e fatte oggetto di precedente rivalutazione parziale, del valore fiscale di simili partecipazioni.

[11] Valore rideterminato dei titoli partecipativi che risulta notoriamente superiore a quello “originario”.

[12] Con tutte le conseguenze che da ciò derivano sul valore fiscale di quanto ricevuto per lo “scambio di partecipazioni” relativo al 51% dei titoli della società.

[13] Beneficio fiscale che risulta la vera finalità sottesa all’affrancamento di tali titoli.

[14] Ribadendo lo stesso principio nella successiva circolare n. 1/E/2021 (§ 2.3).

[15] Come invece riportato da circolare n. 12/E/2002 e n. 1/E/2021.

[16] Con valore fiscale di 2.000.

 

A cura del Comitato Scientifico di NOMOS

Mercoledì 5 maggio 2021

 

Questo intervento è estrapolato dalla Linea Guida n. 1 di Nomos…

 

Centro di Ricerca in Diritto Tributario

LINEA GUIDA N. 1

“L’affrancamento del valore fiscale delle partecipazioni: riflessioni su aspetti di interesse tra normativa applicabile, prassi amministrativa e pronunce giurisprudenziali”

Come accaduto più volte nel corso degli anni, la Legge di Bilancio 2021, da ultima, ha riproposto la norma che consente la possibilità di procedere con la rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni detenute “privatamente” dai contribuenti.
Con riferimento all’ultima “riedizione” della disciplina, si deve trattare di azioni o quote di partecipazione, anche non rappresentate da titoli, al capitale o al patrimonio di società in società non quotate, detenute al 01/01/2021.
Nonostante si tratti di una normativa nota ai contribuenti sin dalla prima entrata in vigore nel 2002, vi sono talune importanti implicazioni legate alla rivalutazione delle partecipazioni, tra le quali, in particolare, le modalità tramite cui scomputare l’imposta sostitutiva versata per precedenti procedure di affrancamento, la possibilità di rivalutare solo “parzialmente” le partecipazioni stesse e l’eventuale abusività della condotta da parte di chi procede con l’affrancamento e con la successiva alienazione dei titoli rivalutati.
Con la presente Linea guida si esamineranno gli aspetti di interesse menzionati in precedenza, anche in considerazione di quanto riportato in proposito dai più recenti pareri di prassi dell’Agenzia delle Entrate e dalle pronunce della giurisprudenza.

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