Siamo entrati nella c.d. fase 2 dell’emergenza da Coronavirus, con la quale si è dato modo a molte attività economiche di piccola e media dimensione di riaprire, anche se con tutta una seria di accorgimenti volti a contenere la diffusione del virus.
Molte sono state e saranno le spese da affrontare: come verificare l’inerenza fiscale di tali costi? Potranno concorrere alla riduzione del reddito tassabile?
Daranno diritto alla detrazione IVA?
Immobili e protocolli di sicurezza della Fase 2
La quantità delle norme – primarie e secondarie – orientate a creare un quadro di “sicurezze” per cittadini e imprese a fronte dell’emergenza epidemiologica dovuta al COVID-19 è ormai notevole.
In particolare, richiedendosi nella c.d. fase 2, caratterizzata dalla progressiva riapertura al pubblico di molte attività economiche (commercio, pubblici esercizi), una serie di attività e accorgimenti volti a sfavorire la diffusione del virus, va verificato quali siano gli strumenti normativi ordinari e straordinari per dare riconoscimento fiscale alle spese affrontate dalle imprese.
Si tratta, peraltro, di imprese di piccola o media dimensione, già piegate da una difficile situazione finanziaria, cui i provvedimenti emanati hanno imposto – in ragione dell’emergenza – la chiusura delle “saracinesche”.
Gli interventi necessari possono – anzi, devono – essere effettuati anche dalle imprese che non siano proprietarie ma solo conduttrici di immobili in forza di contratti di locazione; al riguardo, va verificata l’inerenza fiscale dei costi e quindi la loro suscettibilità a concorrere al reddito, oltre che a conferire il diritto alla detrazione dell’IVA versata in relazione all’acquisto dei beni e servizi necessari.
In particolare, poi, occorre ora considerare le novità del D.L. “rilancio” (D.L. 19.05.2020, n. 34), il cui art. 120 ha introdotto uno specifico credito di imposta riservato alle spese per adeguare i luoghi di lavoro alle nuove prescrizioni.
Immobili e protocolli di sicurezza della Fase 2: aspetti generali
Stabilisce l’art. 109 comma 5 del TUIR che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Tale inciso viene solitamente ritenuto espressione del principio di inerenza.
Un’interpretazione ampliativa dell’inerenza, secondo la quale il principio deve intendersi riferito all’intera attività dell’impresa anziché ai singoli beni e attività, si è affermata sia nella prassi interpretativa dell’amministrazione finanziaria, sia nella giurisprudenza di legittimità (cfr. ad esempio Cassazione 1° agosto 2000, n. 10062).
In sostanza, il principio di inerenza – secondo la lettura della S.C., che risulta peraltro coerente con la stessa prassi interpretativa ministeriale – si fonda in sostanza sulla correlazione tra i costi che si intende dedurre e i ricavi imponibili che devono essere prodotti anche in forza di quei costi (Casazione 19.04.2013, n. 9554).
Non è tuttavia necessario che vi sia una corrispondenza specifica e puntuale di ogni costo ad ogni ricavo, essendo sufficiente una semplice contrapposizione economica teorica: i costi devono insomma riguardare l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre reddito imponibile.
Lavori su beni di terzi
In generale, i costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni condotti in locazione o in leasing dall’impresa, se le migliorie e le spese incrementative non sono separabili dai beni stessi (non potendo avere una propria autonoma funzionalità), sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce “B.I.7 – Altre immobilizzazioni immateriali”, (documento OIC 24).
L’ammortamento dei costi per migliorie su beni di terzi va effettuato nel periodo minore tra quello