Responsabilità sanzionatoria e civilistica dei professionisti / intermediari

quali sono le responsabilità professionali che nascono dall’attività di consulente fiscale? Quali le responsabilità derivanti dall’essere intermediario fra il contribuente e il Fisco? In caso di responsabilità dell’intermediario chi deve versare le sanzioni tributarie?

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Le prestazioni di consulenza, con contenuto intellettuale, rese dai professionisti, anche in veste di intermediari in ambito fiscale, si associano a specifici profili di responsabilità sia amministrativa che sanzionatoria che civilistica.

Nel diritto comune, la responsabilità del professionista intellettuale ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte fondamentale nel contratto concluso con il cliente a norma degli artt. 2230 e ss. c.c., che lo vincola all’obbligazione assunta e ai principi di diligenza e correttezza di cui agli artt. 1176 e ss. c.c.. Le obbligazioni del professionista intellettuale costituiscono un tipico esempio di obbligazioni di mezzi, richiedendogli di impegnare le sue capacità per la realizzazione di un obiettivo che tuttavia non può essere certo di conseguire.

Come soggetto incaricato degli adempimenti fiscali e delle vertenze dei propri clienti con l’amministrazione finanziaria, nonché come intermediario abilitato per dichiarazioni e comunicazioni, il professionista (commercialista, avvocato, revisore…) può essere soggetto a particolari sanzioni, che (fatta salva la responsabilità propria del cliente – contribuente) colpiscono l’omissione o la non puntuale esecuzione di attività a lui direttamente imputabili.

I principi generali

La normativa sanzionatoria (amministrativa) tributaria, orientata alla personalizzazione dell’illecito tributario, si impernia sull’art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997, che introduce il principio di colpevolezza.

Per colpevolezza si intende l’insieme dei criteri che consentono di muovere al soggetto agente una contestazione per avere commesso il fatto antigiuridico .

Il requisito della “suitas” consiste nella coscienza e volontarietà della condotta in capo all’autore dell’illecito. Quanto all’elemento psicologico, esso può assumere in campo amministrativo – tributario i caratteri del dolo o della colpa:

  • il dolo può ricondursi al cosiddetto dolo specifico; in base alla lettura testuale dell’art. 5, c. 4, del D.Lgs. n. 472/1997, si evince infatti che non può considerarsi doloso il comportamento che, pur violando la legge tributaria, non sia stato adottato intenzionalmente a tale scopo;

  • la colpa sorge quando l’illecito è “contro l’intenzione”, cioè si verifica per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Perché sorga la responsabilità dell’autore, è necessario che la violazione sia stata commessa quanto meno con colpa, cioè in conseguenza di negligenza, imprudenza o imperizia.

Nella circolare ministeriale n. 180/E del 1997 è stato chiarito che la distinzione tra colpa lieve da un lato e colpa grave e dolo dall’altro si riflette sulle previsioni del comma 2 dell’articolo 5, ove la responsabilità dell’autore della violazione che non coincida con il soggetto contribuente e non abbia tratto da essa diretto vantaggio viene limitata alla somma di 100 milioni di lire (ovvero di euro 51.646) quando la violazione è commessa con colpa (lieve) e non, appunto, con dolo o colpa grave.

Nel richiamare le regole civilistiche in tema di responsabilità professionale, incardinate nell’art. 2236 del codice, il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 5 esclude la rilevanza della semplice colpa al fine di configurare una violazione punibile a carico del consulente eventualmente in concorso con il contribuente o con l’autore della violazione, quando l’attività richiestagli comporti la risoluzione di problemi complessi.

Ipotesi fraudolente

Secondo un determinato indirizzo della Corte di Cassazione (sentenza del 20.11.2003, n. 17579), l’inosservanza degli adempimenti fiscali posti a carico del contribuente, sia formali che sostanziali, può derivare unicamente dal comportamento del commercialista cui il contribuente si è rivolto per essere assistito.

In tali situazioni è al commercialista (consulente) che va ascritta la responsabilità sanzionatoria.

Naturalmente, ciò è subordinato alla puntuale dimostrazione (che nel caso specifico si riteneva correttamente fornita da parte dei giudici di appello) che la mancata osservanza degli adempimenti fiscali, sia di natura formale che sostanziale, nonché il mancato pagamento del tributo, sia dipesa dal comportamento fraudolento del commercialista.

Questi principi sono stati riaffermati nella successiva sentenza n. 1198 del 23.1.2004.

In tale ultima vicenda il giudice di legittimità ha deciso in senso contrario alla tesi dell’amministrazione, che aveva irrogato delle sanzioni fiscali a carico del contribuente mentre per l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali (delle imposte sui redditi e IVA) era stata acclarata la totale responsabilità del professionista.

Quest’ultimo, infatti, pur avendo sottoposto i modelli fiscali alla firma del cliente e trattenuto le somme per i versamenti, non aveva in realtà adempiuto ad alcun obbligo fiscale, appropriandosi indebitamente del denaro.

L’inosservanza degli adempimenti fiscali posti a carico del contribuente, sia formali che sostanziali, erano dunque chiaramente derivati dal comportamento del commercialista cui il contribuente stesso si era rivolto per dette incombenze.

Violazioni relative alle dichiarazioni

In caso di tardiva od omessa trasmissione delle dichiarazioni (art.7-bis, D.Lgs. 9.7.1997, n. 241), l’intermediario è sottoposto a sanzione fissa che va da euro 516 a euro 5.164, con possibilità di utilizzo dell’istituto del ravvedimento operoso (se la dichiarazione viene trasmessa entro 90 giorni la sanzione si riduce a 51 euro) o a revoca dell’abilitazione, in caso di gravi o ripetute irregolarità commesse nello svolgimento dell’attività di trasmissione delle dichiarazioni, o in presenza di provvedimenti di sospensione irrogati dall’ordine di appartenenza del professionista o in caso di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività da parte dei centri di assistenza fiscale.

Il visto di conformità

La possibilità di apporre il visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali dei contribuenti presuppone, a carico degli intermediari autorizzati, una serie di controlli sui dati dichiarati dai contribuenti, che rappresentano una sorta di “validazione” delle dichiarazioni nei confronti degli uffici finanziari. In conseguenza di questo vaglio preventivo, il fisco orienta i propri controlli formali e “cartolari” (artt. 36-bis e ter, D.P.R. n. 600/1973; art. 54-bis, D.P.R. n. 633/1972) limitandosi alla verifica a campione delle dichiarazioni “vistate”.

Il D.Lgs. 21.11.2014, n. 175, che ha introdotto la dichiarazione dei redditi precompilata e ha apportato contestuali modifiche alla disciplina relativa all’assistenza fiscale e ai controlli formali delle dichiarazioni, è anche intervenuto sul regime delle garanzie da fornire in materia di visto obbligatorio innovando l’art. 6, comma 1, e l’art. 22, c. 1, del D.M. 31.5.1999, n. 164.

In particolare, il nuovo testo degli artt. 6 e 22 del decreto prevede l’obbligo di stipulare una polizza di assicurazione della responsabilità civile, con massimale adeguato al numero dei contribuenti assistiti, nonché al numero dei visti di conformità rilasciati.

Le modifiche apportate, che decorrono dal 13.12.2014, riguardano:

  • l’innalzamento a tre milioni di euro della soglia del massimale, precedentemente fissata in due miliardi di lire (euro 1.032.913,80);

  • l’estensione della garanzia, nel caso di visto infedele apposto su un modello 730, al pagamento di una somma pari alle imposte, interessi e sanzioni che sarebbero stati richiesti al contribuente a seguito del controllo formale ai sensi dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, se l’errore non è imputabile a dolo o colpa grave del contribuente.

Il professionista e il responsabile dell’assistenza fiscale che devono apporre il visto di conformità sul modello 730 sono inoltre tenuti a integrare la polizza con la previsione esplicita della copertura del rischio relativo al rilascio di visto infedele, previsto dall’art. 39 del D.Lgs. n. 241/1997.

La polizza assicurativa relativa alla responsabilità civile per i danni causati nel fornire assistenza fiscale deve garantire la totale copertura degli eventuali danni subiti dal contribuente, dallo Stato o dall’altro ente impositore (nel caso di dichiarazione modello 730), non includendo franchigie o scoperti, e prevedere il risarcimento nei 5 anni successivi alla scadenza del contratto.

La responsabilità “sostitutiva”

Per effetto delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. 175/2014, il legittimo affidamento dei contribuenti che si rivolgono ad operatori specializzati, circa la definitività del loro rapporto con il fisco, viene espressamente tutelato prevedendo che questi ultimi siano tenuti al pagamento di un importo corrispondente alla somma dell’imposta, degli interessi e della sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, salvo il caso di condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Viene, in tal modo, a determinarsi una vera e propria “sostituzione” di colui che rilascia il visto nella posizione dell’originario debitore (il contribuente), salvo il caso in cui l’infedeltà del visto sia stata determinata dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.

Con la circolare 11/E del 23.3.2015 è stato chiarito che se il CAF o il professionista presenta una dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre dell’anno in cui è stata prestata l’assistenza, la relativa responsabilità è limitata al pagamento dell’importo corrispondente alla sola sanzione che sarebbe stata richiesta al contribuente, ridotta nella misura prevista dall’art. 13, c. 1, lett. b, del D.Lgs. 18.12.1997, n. 472 (1/8 del minimo edittale, cioè del 30% = 3,75%), se il versamento è effettuato entro la medesima data del 10 novembre.

Se il modello 730 tardivo è successivamente rettificato dal CAF o dal professionista entro il 10 novembre, alla sanzione per tardività si aggiunge quella per visto infedele.

Sanzioni non pecuniarie

In caso di violazioni ripetute o particolarmente gravi, l’Agenzia delle Entrate può sospendere la facoltà di rilasciare il visto di conformità o l’asseverazione per un periodo da uno a tre anni fino ad inibire tale facoltà in caso di ripetute violazioni, commesse successivamente al periodo di sospensione (art. 39, c. 1, lett. a, D.Lgs. n. 241/1997).

Il comma 4 dello stesso articolo 39, prevede la sospensione per un periodo da tre a dodici mesi dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di assistenza fiscale rilasciata al CAF, quando sono commesse gravi e ripetute violazioni di norme tributarie o contributive e delle disposizioni di cui agli artt. 34 e 35 del cit. D.Lgs. n. 241/1997, nonché quando gli elementi forniti all’amministrazione finanziaria risultano falsi o incompleti rispetto alla documentazione fornita dal contribuente.

In caso di ripetute violazioni, ovvero di violazioni particolarmente gravi, è disposta la revoca dell’esercizio dell’attività di assistenza.

L’eventuale definizione agevolata delle sanzioni ai sensi dell’art. 16, terzo comma, del D.Lgs. n. 472/1997 non impedisce l’applicazione della sospensione, dell’inibizione e della revoca.

Il venir meno dei requisiti di onorabilità di cui all’art. 8 del D.M. n. 164/1999 costituisce una fattispecie di particolare gravità che potrebbe condurre all’adozione di un provvedimento di sospensione cautelare.

Al riguardo, la circolare n. 28/E del 2014, riprendendo quanto chiarito nella risoluzione n. 73/E del 13.7.2010, ha ribadito che la locuzione “reati finanziari” di cui all’art. 8 del predetto D.M. n. 164/1999 deve intendersi nell’accezione più ampia, che contiene in sé anche i reati tributari.

Ritiene altresì l’Agenzia delle Entrate che la condanna all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, di cui all’art. 28 del codice penale, inflitta a liberi professionisti, comporti la revoca dell’abilitazione alla trasmissione telematica dei documenti fiscali.

Alla revoca dell’abilitazione al servizio telematico, disposta ai sensi dell’art. 8, c. 1, lettera d, del D.M. 31.7.1998, ovvero in conseguenza di un provvedimento di sospensione di durata non inferiore a 12 mesi o di radiazione irrogato dall’ordine professionale di appartenenza, può riconoscersi una durata commisurata a quella del provvedimento emanato dall’ordine stesso.

L’abilitazione non è preclusa in caso di pronuncia di riabilitazione del professionista relativamente alle condanne inflitte, per la natura stessa dell’istituto che reintegra il condannato nella posizione giuridica goduta fino alla pronuncia della sentenza di condanna.

La responsabilità penale

Le attività del professionista in funzione di “certificatore”, collegate in particolare al rilascio del visto di conformità in relazione alla compensazione di crediti IVA per importi superiori a 15.000 euro annui, possono esporre tale soggetto alla responsabilità penale – a titolo di concorso nel reato – per il delitto di indebita compensazione (art. 10-quater, D.Lgs. n. 74/2000).

Giacché il rilascio del visto implica l’integrale verifica della corrispondenza tra i dati esposti nelle scritture contabili e la documentazione, occorre considerare che l’attività di controllo svolta in tale sede riveste natura “formale”, e non è di per sé suscettibile di riflettersi sulla veridicità delle operazioni (cioè sull’esistenza e sull’ammontare del credito da compensare).

Il concorso del professionista1 sussiste poi, subordinatamente al riscontro in capo allo stesso del requisito soggettivo del dolo, cioè in presenza di consapevolezza e volontaria determinazione a compiere il reato (mediante l’apposizione del visto).

Particolarmente rilevanti, data la natura delle attività svolte dai consulenti/professionisti, risultano le pene accessorie applicabili (secondo la decisione del giudice penale) secondo l’art. 12 del D.Lgs. n. 74/2000:

  • interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese;

  • incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione;

  • interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria;

  • interdizione dall’ufficio di componente di commissione tributaria;

  • pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36, c.p.;

  • interdizione dai pubblici uffici.

Il risarcimento del danno

Il risarcimento da parte del professionista del danno patrimoniale sofferto dal cliente in conseguenza delle attività poste in essere nell’ambito del mandato professionale è stato oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione, sezione III, del 26.4.2010, n. 9916.

Nel caso di specie il commercialista aveva esposto in dichiarazione costi non documentati o non di competenza e aveva operato una deduzione ILOR oltre l’ammontare massimo consentito nell’anno di imposta. Da questi errori era derivata una verifica fiscale che aveva comportato l’irrogazione di sanzioni nei confronti del contribuente.

La Corte ha confermato la condanna al risarcimento del danno, affermando che è “preciso obbligo di diligenza del professionista non appostare costi privi di documentazione o non inerenti all’anno della dichiarazione”.

Il commercialista avrebbe quindi dovuto “escludere i costi dalla dichiarazione dei redditi, qualora il cliente non avesse provveduto a fornire la relativa documentazione”.

Al riguardo è stato osservato che il professionista ha comunque un obbligo deontologico di svolgere con diligenza la propria attività nei confronti della clientela, e che non gli potrebbe essere posto a carico un ulteriore obbligo di vigilanza per conto del fisco (esulante dalle sue funzioni e configurabile solo nel caso di apposizione del «visto pesante» o del visto di conformità).

L’obbligo di assicurazione

L’obbligo per i professionisti di assicurarsi contro i danni provocati ai clienti è stato introdotto dall’art. 5 del D.P.R. 07.08.2012, n. 137 (in attuazione di una previsione contenuta nella legge n. 148/2011), a fronte di una giurisprudenza fattasi via via più severa nei confronti di tali situazioni, che colpiscono gli iscritti ad albi e professioni regolamentate.

La disposizione normativa richiamata stabilisce in particolare che “il professionista è tenuto a stipulare, anche per il tramite di convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti, idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale, comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva.

La violazione della disposizione di cui al comma 1 costituisce illecito disciplinare.

Al fine di consentire la negoziazione delle convenzioni collettive di cui al comma 1, l’obbligo di assicurazione di cui al presente articolo acquista efficacia decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto”.

Per poter stabilire quando sorge la responsabilità civile del professionista, che è oggetto di copertura assicurativa, occorre considerare che quella che viene garantita al cliente è un’obbligazione di mezzi e non di risultati.

Il professionista non si obbliga insomma a eseguire una data prestazione per produrre un risultato, ma semmai ad approntare il servizio con la diligenza richiesta. In tale prospettiva occorre verificare che la prestazione sia idonea a soddisfare l’interesse del cliente, per poter ritenere che l’incarico professionale sia stato correttamente eseguito.

Il codice deontologico

L’obbligo di informazione al cliente è disciplinato accuratamente nel codice deontologico dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.

Nell’articolo 21 comma 2, in materia di accettazione dell’incarico, si prevede che: “Alla luce della disamina compiuta e della possibilità o meno di assumere le misure necessarie ad impedire che l’accettazione dell’incarico dia luogo a violazioni da parte del professionista, questo deve informare tempestivamente il cliente della propria decisione di accettare o non accettare l’incarico”.

Successivamente, nella parte che disciplina l’esecuzione dell’incarico, l’articolo 22 comma 3 è previsto che: “Il professionista deve, tempestivamente, illustrare al cliente, con semplicità e chiarezza, gli elementi essenziali e gli eventuali rischi connessi all’incarico affidatogli”.

Sospensione delle sanzioni per il contribuente

L’accertamento della responsabilità della violazione in capo al consulente libera il contribuente dalle sanzioni, ma per ottenere effettivamente tale risultato occorre attivare la procedura prevista dall’art. 1 della legge n. 423 del 11.10.1995, che prevede quanto segue: “1. La riscossione delle sanzioni pecuniarie previste dalle leggi d’imposta in caso di omesso, ritardato o insufficiente versamento è sospesa nei confronti del contribuente e del sostituto d’imposta qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti, in dipendenza del loro mandato professionale.

2. La sospensione è disposta dall’ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente in base al domicilio fiscale del contribuente o del sostituto d’imposta, che provvede su istanza degli stessi, da presentare unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all’autorità giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria e sempre che il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente.

3. Se il giudizio penale si conclude con un provvedimento definitivo di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’ufficio di cui al comma 2 annulla le sanzioni a carico del contribuente e provvede ad irrogarle a carico del professionista ai sensi dell’articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”.

Insomma: fermo restando il recupero di imposta e interessi legali, le sanzioni collegate alle omissioni, ai ritardi e all’insufficienza dei versamenti vengono sospese e quindi temporaneamente non riscosse; l’annullamento delle stesse per il contribuente e la loro irrogazione al professionista può conseguire tuttavia solo a un giudizio di condanna o di applicazione della pena su richiesta. Si tratta quindi di un’ipotesi legata solo a determinate tipologie di violazioni (quelle riguardanti i versamenti, appunto), che può dilungarsi nel tempo dovendo seguire le vicende spesso pluriennali dei procedimenti penali.

Quando la responsabilità è del contribuente

Rispetto alle sentenze brevemente esaminate sopra, relative a situazioni nelle quali di dava per acclarata la responsabilità del professionista, si distingue l’orientamento manifestato dalla Corte nell’ordinanza n. 11832 del 9.6.2016.

In tale situazione, chiamata a giudicare la contesa tra un cittadino e l’Agenzia delle Entrate in merito al pagamento di alcune sanzioni e alla responsabilità del commercialista del contribuente, la Corte ha sposato la posizione dell’Agenzia.

Per quanto infatti il contribuente avesse denunciato il professionista “per il mancato tempestivo deposito delle dichiarazioni dei redditi”, la Corte ha ricordato che gli obblighi tributari “non possono considerarsi assolti da parte del contribuente con il mero affidamento delle relative incombenze ad un professionista” e richiedono invece “un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione”.

Per poter addossare quindi la responsabilità al professionista, deve essere dimostrata un’effettiva forma di negligenza attribuibile esclusivamente a quest’ultimo e prontamente denunciata dal contribuente. Rimane il dubbio, per la generalità dei casi, che i contribuenti, appunto, rivolgendosi a un consulente (professionista, intermediario), intendano assegnare allo stesso tutti quegli adempimenti strumentali che autonomamente non possono o non vogliono effettuare, sia per mancanza di specifiche competenze, sia per carenza di tempo (e ciò induce a una certa prudenza nei confronti del riferito nuovo orientamento della Corte).

26 giugno 2017

Fabio Carrirolo

1 Si rammenta che, a norma dell’art. 110, c.p., quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, fatte salve le disposizioni stabilite dagli articoli seguenti del codice.