Creazione di holding, società controllate o filiali in mercati esteri: profili fiscali

La continua internazionalizzazione del sistema produttivo ha fatto nascere una serie di norme volte a scoraggiare il possesso da parte di contribuenti italiani di holding e società estere al solo scopo di ridurre la pressione fiscale; con tali norme si scontrano quotidianamente tutti quei soggetti che devono operare con proprie consociate estere.

Profili fiscali connessi alla creazione di holding, società controllate (subsidiary) o filiali (branch) in mercati esteri

Il diritto tributario italiano è articolato in un corpo legislativo di norme e di principi positivi che stabiliscono le modalità di tassazione e non sono suscettibili di interpretazioni analogiche se non su esplicito richiamo di legge. In tale architettura normativa trovano spazio fenomeni evasivi ed elusivi di carattere internazionale, oggetto di contesa da parte del legislatore.

Il termine evasione fiscale indica un comportamento diretto a non pagare, totalmente o parzialmente, i tributi, mediante l’occultamento di proventi o la deduzione di costi inesistenti e rappresenta un inadempimento che il soggetto passivo assume nei confronti della pretesa tributaria

L’elusione fiscale, invece, rappresenta un sistema di aggiramento delle norme fiscali, una fattispecie negoziale e giuridica complessa, apparentemente lecita, mirata a ridurre o annullare gli oneri fiscali, approfittando delle imperfezioni normative.

La normativa tributaria italiana, di volta in volta, prende in esame singole problematiche giuridiche di applicazione e stabilisce dei limiti alle scelte economiche con specifiche norme.

I gruppi di imprese a vocazione internazionale, di conseguenza, nell’ambito dello sviluppo delle politiche industriali o commerciali, dovranno valutare attentamente quale struttura utilizzare nel mercato di riferimento.

  1. L’inserimento in un mercato straniero ed il principio di tassazione del reddito mondiale.

La tassazione in Italia avviene secondo il “worldwide taxation principle” in virtù del quale tutti i soggetti residenti nel nostro Paese tassano in Italia tutti i redditi ovunque prodotti, per il solo fatto che questi siano ad essi riferibili. In maniera differente i soggetti non residenti sono tassati secondo il principio della territorialità o della fonte, in base al quale i redditi sono tassati in Italia se ivi prodotti.

L’adozione nei diversi Stati di norme fiscali che applicano i medesimi principi e cioè, l’utile mondiale per i residenti e la territorialità per i non residenti, crea inevitabilmente il rischio di doppie imposizioni.

 

Tutti gli Stati, in proposito, hanno assunto iniziative finalizzate ad evitare le ipotesi di doppia imposizione internazionale, per evitare che si creino distorsioni nel mercato. In linea di massima i rimedi individuati dai vari ordinamenti tributari consistono in misure di tipo unilaterale, previste da ciascun ordinamento, con effetti limitati al suo interno, quali, ad esempio, la possibilità di detrarre l’imposta assolta all’estero dal tributo dovuto nel Paese di residenza, oppure la previsione di aliquote ridotte per i redditi di fonte estera, nonché l’adozione di trattati internazionali, denominati convenzioni contro le doppie imposizioni i cui effetti si producono direttamente all’interno dei singoli ordinamenti interessati1.

L’esigenza di approdare su nuovi mercati esteri dove collocare gli output della produzione, l’opportunità di delocalizzare alcuni assets in Paesi con bassa fiscalità e minor costo del lavoro, dotati di legislazioni efficienti e sistemi giudiziari celeri, nonché la possibilità fruire di piazze finanziarie gradite agli investitori, spingono le imprese a strutturarsi in gruppi articolati tra holding, subholding o controllate varie.

Nel dettaglio, un imprenditore italiano che intende operare in un nuovo mercato estero ritenuto di interesse o che, comunque, se già operante, intende riorganizzazione le proprie società in Italia e all’estero può farlo attraverso…

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