Accertamento anticipato e contraddittorio: analisi della recente giurisprudenza di Cassazione

la questione del contraddittorio fra Fisco e contribuente sta suscitando molte discussioni: in questo articolo puntiamo il mouse sui casi di accertamento anticipato, obbligo o meno di contraddittorio, la differenza fra tributi armonizzati e non, il contrasto fra giurisprudenza, comportamento del Fisco e principi dello Statuto del contribuente

cassazione-corte-2Due recenti pronunce della Corte di Cassazione (ordinanza 15527 del 27 luglio 2016 e ordinanza 14861 del 20 luglio 2016) nel soffermarsi sulla vexata questio del c.d. accertamento anticipato e, quindi, sulla legittimità dell’avviso di accertamento notificato prima del decorso del termine di sessanta giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione ex art. 12, c. 7 della Legge n. 212/2000 – consentono di porre in evidenza due importanti principi di diritto in tema di contraddittorio endoprocedimentale nel diritto tributario, nonché con riguardo ai presupposti di fatto legittimanti l’urgenza idonea a giustificare l’accertamento ante tempus.

In particolare, la Suprema Corte, con la richiamata ordinanza n. 15527 del 27 luglio 2016, ha statuito che la pericolosità fiscale del contribuente, reo, tra l’altro, di aver commesso alcuni illeciti tributari è tale da poter legittimare, se adeguatamente motivata, l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo, in deroga al termine previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente.

A tale riguardo, occorre preliminarmente osservare che la menzionata disposizione statutaria, come peraltro enunciato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 244 del 24 Luglio 2009, deve necessariamente essere inserita in un complesso quadro normativo dalla cui analisi interpretativa deriva la possibilità di ritenere invalido l’avviso di accertamento notificato antecedentemente allo spirare dei suddetti termini qualora lo stesso sia privo di una adeguata motivazione sulla “particolare urgenza”; quanto precede tenuto conto:

  • del generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 7, c. 1, della Legge n. 241/1990, la cui inosservanza è espressamente sanzionata, in termini di invalidità dell’atto, dal successivo art. 21-septies che prevede tale conseguenza giuridica per il provvedimento amministrativo privo di un elemento essenziale, quale è la motivazione, come, tra l’altro, previsto dagli artt. 42, cc. 2 e 3, del D.P.R. n. 600/1973 e 56, c. 5, del D.P.R. n.633/1972 che impongono l’obbligo di motivare, a pena di nullità, l’avviso di accertamento in relazione ai relativi presupposti di fatto e di diritto;

  • della ratio sottesa alla norma in esame, volta a garantire i principi di contraddittorio e di collaborazione fra Amministrazione finanziaria e contribuente sottoposto a verifica fiscale, prevedendo, nell’ambito del procedimento di accertamento, che l’ufficio proceda all’emanazione dell’atto impositivo solo dopo avere acquisito le eventuali osservazioni del contribuente in ordine al contenuto del processo verbale di constatazione redatto a conclusione della verifica fiscale (Sezioni Unite della Corte di Cassazione sentenza 29 luglio 2013, n. 18184).

Ciò premesso, la Corte di Cassazione (nella recente ordinanza, in linea con consolidato orientamento giurisprudenziale) chiarisce la latitudine concreta del presupposto dell’urgenza, affermando che la stessa sussiste, in relazione al contribuente ed al rapporto tributario controverso, qualora sia dimostrata una pericolosità fiscale del contribuente tale da rendere necessario il mancato rispetto dello spirare del termine statutario di 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione. In merito, la stessa Corte, con l’ordinanza 24 giugno 2014, n. 14287, aveva già avuto modo di evidenziare che, in presenza di un particolare quadro di risultanze processuali (connotato da condotte di omessa dichiarazione dei redditi, contrabbando aggravato, trasferimento fraudolento di valori) l’urgenza dell’atto impositivo si profila di tutta evidenza anche allo scopo di infrenare per tal verso una condotta, che appare di patente e grave violazione continuata degli obblighi fiscali. Nella stessa direzione si pone la sentenza della Cassazione del 5 febbraio 2014, n. 2587, con la quale si afferma che “il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, una indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, tanto più nel quadro della situazione, emersa dal verbale di verifica, della supposta partecipazione della società contribuente ad una organizzata frode ai danni dell’Erario”.

Sul punto, inoltre, si reputa interessante richiamare le posizioni giurisprudenziali esistenti in merito alla sussistenza o meno dell’obbligo (per l’Amministrazione Finanziaria) di delineare e motivare nell’atto di accertamento ante tempus le ragioni dell’urgenza legittimanti il mancato rispetto dei termini di cui al comma 7 dell’articolo 12 dello Statuto. Nella citata sentenza n. 2587 del 2014 si legge che “Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio. Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine: spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e ‘particolare’ – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento”. Ex pluribus, secondo quanto statuito dalla Cassazione nella sentenza n. 11944 del 13 luglio 2012,l’effetto derogatorio dell’urgenza sussiste ex se senza che sia a tal fine necessario che il fatto che la determini sia enunciato nell’atto impositivo, il quale, a norma del menzionato art. 7 dello Statuto del contribuente, deve indicare esclusivamente le ragioni della pretesa tributaria. Resta da aggiungere che la sussistenza del predetto requisito può esser dimostrata dall’Ufficio e, viceversa, esser contestata, unitamente alle ragioni di merito, tanto in via amministrativa, col ricorso in autotutela, quanto in via giudiziaria, entro il termine ordinario previsto dalla legge nel corso del giudizio”.

Con riguardo al tema del contraddittorio endoprocedimentale nel diritto tributario, la Corte di Cassazione (con l’ordinanza 14861 del 20 luglio 2016) torna ad affermare che, nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale, benché, come noto, lo Statuto del Contribuente di cui alla Legge n. 212/2000 abbia introdotto principi volti ad assicurare che i rapporti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria siano improntati al principio della collaborazione e della buona fede, prevedendo altresì specifici diritti e garanzie in capo al cittadino sottoposto a verifiche fiscali, non vige una disposizione generale che obblighi la predetta Amministrazione ad instaurare, a pena di illegittimità degli atti successivi, un contraddittorio nella fase accertativa, salvo i casi espressamente individuati dal legislatore; pertanto, tenuto conto del brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, l’illegittimità dell’avviso di accertamento è ipotizzabile solo nei casi in cui la mancata instaurazione del preventivo contraddittorio si sia verificata in tassative ipotesi normative.

Sul punto, infatti, il medesimo Organo, con l’ordinanza n. 14290/2014 (nel richiamare le precedenti posizioni giurisprudenziali di cui alle sentenze 02-12-2005, n. 262931 e 23-03-2001, n. 42732) aveva avuto modo di sostenere che il contradittorio preventivo non è presupposto necessario per la validità dell’atto impositivo, rappresentando uno strumento eventuale che gli organi accertatori possono utilizzare per acquisire elementi utili a supporto dei rilievi in corso di inserimento nel provvedimento conclusivo, anche in un’ottica deflattiva del contenzioso.

D’altra parte, occorre evidenziare la sussistenza di orientamenti di senso contrario. Per tutte la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 18 settembre 2014 n. 19667 laddove viene affermato che è priva di qualsiasi ragionevolezza l’escludere dalla partecipazione il soggetto d’imposta, statuendo che “la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una ‘decisione partecipata’ mediante la proposizione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) nella ‘fase precontenziosa’ o ‘endoprocedimentale’, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibiliIl diritto al contradditorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.” In conclusione, secondo tale sentenza, anche sul fronte dei tributi non armonizzati, ovvero dell’imposizione diretta, il principio del contraddittorio trova il suo fondamento, anche in difetto di una espressa previsione normativa, come principio immanente dell’ordinamento, negli artt. 24 e 97 Cost..

Di senso contrario, si segnala la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 9 dicembre 2015, n. 24823, la quale afferma che, anche dopo l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, non sia possibile ritenere esistente un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale. In particolare, a detta della Corte, differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

Ciò premesso, la Corte di Cassazione (con la richiamata ordinanza n. 14861 del 20 luglio 2016) ha ribadito l’insussistenza, nell’ordinamento nazionale, di un principio generale, immanente che impone l’osservanza del contraddittorio endoprocedimentale in rapporto a qualsiasi atto dell’amministrazione fiscale lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, indipendentemente dal fatto che tale necessità sia puntualmente sancita da una norma positiva.

Pertanto, richiamando la già citata sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 2015, afferma che, in tema di tributi non armonizzati, le garanzie fissate nell’articolo 12, comma 7, della legge 212/2000 (Statuto del contribuente) e, quindi, il divieto per l’ufficio di emettere l’avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; “ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (Cass.n.15010/14; 9424/14, 5374/14, 20770/13, 10381/14), rilevando che nel senso indicato militano univocamente il dato testuale della rubrica (“Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e, soprattutto, quello della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 1 (coniugato con la circostanza che l’intera disciplina contenuta nella disposizione risulta palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive subite in loco) che, esplicitamente si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attivita’ commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali“.

27 settembre 2016

Nicola Monfreda