Indagini finanziarie su imprenditore individuale artigiano: come difendersi?

non sono imponibili i ricavi, i prelevamenti e gli addebiti sul conto corrente non giustificati dall’imprenditore artigiano: analizziamo quali utili spunti difensivi si possono trarre in caso di accertamento basato su indagini finanziarie

Non sono imponibili i ricavi i prelevamenti e gli addebiti sul conto corrente non giustificati dall’imprenditore artigiano. Con innovativa sentenza n. 18/13/2016, depositata il 22 gennaio scorso, i Giudici di C.T.P. Venezia estendono il principio giuridico stabilito dalla Consulta (sentenza n. 228/2014) che esclude la correlazione tra prelievo/addebito uguale ricavo che, seppur riferito ai lavoratori autonomi riguarderebbe anche alcune categorie di imprenditori.

Indagini finanziarie: ambito applicativo

Per indagine finanziaria si deve intendere l’attività posta in essere al fine di acquisire informazioni, notizie e dati relative ad un rapporto, continuativo o anche occasionale – intrattenuto dal soggetto verificato con una Banca, con Poste Italiane o con un qualsiasi altro istituto finanziario.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 29/09/1973, articolo 32, c. 1, n. 2, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. Sentenza 12 luglio 2013, n. 17250).

In materia IVA la disposizione di riferimento è l’articolo 51 del D.P.R. n. 633/1972, mentre per quanto concerne l’IRAP, l’articolo 25 del D.lgs. n. 446/1997 rinvia, salvo eccezioni, alle norme del D.P.R. n. 600/1973.

Le disposizioni in commento istituiscono quindi una presunzione legale relativa, per cui il contribuente si trova a dover dimostrare che:

  • i movimenti trovano giustificazione nella contabilità;

  • concernono fatti fiscalmente irrilevanti.

Il contribuente può quindi fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice che è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. Sentenza 30 novembre 2011, n. 25502).

Soltanto dopo che il contribuente abbia esaurientemente ottemperato alla richiesta di chiarimenti, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di contestarne in modo specifico la completezza, la veridicità, l’idoneità probatoria, la qualificazione giuridica del fatto rappresentato e, più in generale, la correttezza in termini di effettiva deducibilità dei costi documentati. E successivamente l’adempimento di tale onere di contestazione, può sorgere, in capo al contribuente, l’onere di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’ufficio (Cass. Sentenza 5 maggio 2011, n. 9892).

Le statuizioni della Consulta per i lavoratori autonomi

E’ arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo sia, a sua volta, produttivo di un reddito.

Sono queste le conclusioni raggiunte dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 228 depositata il 6/10/2014, che ha dichiarato illegittima l’applicazione della presunzione al lavoratore autonomo per quanto inerente ai compensi da esso percepiti.

Tale applicazione è stata ritenuta dalla Consulta lesiva tanto del principio di ragionevolezza quanto di quello di capacità contributiva, posto che secondo la Corte Costituzionale era arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conto corrente bancario, effettuati da un lavoratore autonomo, fossero destinati ad un investimento nell’attività professionale da quello esercitata (a sua volta in grado di generare un successivo reddito).

In definitiva è stata ritenuta incostituzionale la norma (articolo 32 comma 1, numero 2, secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973), nella parte in cui estendeva la presunzione, ai maggiori compensi per professionisti e lavoratori autonomi. Secondo la Corte, anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo siano per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dall’articolo 32, in base al quale il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe a un costo a sua volta.

Indagini finanziari e ditte individuali: alcuni spunti difensivi

Ci si chiede se le statuizioni della Corte Costituzionale riferite ai professionisti ed ai lavoratori autonomi possano essere applicate, in via interpretativa, anche agli accertamenti bancari effettuati dal fisco nei confronti di ditte individuali che, seppur titolari e produttivi di reddito d’impresa, sviluppano la loro attività in modo quasi indipendente dal sostenimento di costi, al pari dei lavoratori autonomi.

In altri termini occorre verificare se la presunzione di maggiori ricavi ex art. 32, D.P.R. n. 600/73, possa trovare giustificazione – in ogni caso – per (tutti) i titolari di redditi di impresa, in quanto i prelevamenti non giustificati siano da considerare sintomatici di acquisti di beni in nero (successivamente rivenduti pure in nero).

Uno soluzione negativa a tale interrogativo è stata offerta dalla pronuncia di C.T.P. Venezia, n. 18/13/2016, depositata il 22/01/2016, che ha esteso il principio stabilito per i lavoratori autonomi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 228/2014 anche a talune categorie di titolari di reddito d’impresa che possiamo definire <marginali> o <microimprese>.

In tale ottica, nel caso specifico per un artigiano, (esercente attività di riparazione di autoveicoli) la produzione di ricavi non sarebbe direttamente legata al sostenimento di costi, per cui dovrebbe escludersi la correlazione prelievo= costo=ricavo, così come avviene nel caso di lavoratori autonomi e professionisti1.

Per tutti coloro che operano attraverso ditte individuali <minimali> e che producono ricavi in base quasi esclusivamente alle proprie capacità e prestazioni personali – e non in funzione del sostenimento di un costo – sarebbe quindi irragionevole, secondo i Giudici veneti, presumere che i prelievi ingiustificati possano dar adito ad un maggior reddito, mancando quella correlazione che invece è consona per un’attività imprenditoriale fortemente strutturata ed operativa in funzione delle dotazioni patrimoniali, in termini di impianti ed attrezzature, necessarie per lo svolgimento dell’attività. In linea teorica, il ragionamento enunciato dal Collegio veneziano riguardante l’attività di carrozzeria, si presterebbe ad essere applicato ad una vastissima platea di titolari di reddito d’impresa che sviluppano la propria redditività in modo quasi del tutto indipendente dal sostenimento di costi (ad esempio, impiantisti, idraulici, manutentori, eccetera).

Altra doglianza di parte, sotto altro profilo di eccezione, si ricava dalla parte motiva della sentenza di C.T.R. Lombardia, n. 76/32/20132, secondo cui le indagini finanziarie sul titolare di ditta individuale non possono fondare un recupero a tassazione se le dichiarazioni rese dai beneficiari e dagli emittenti degli assegni escludono la riferibilità degli stessi all’attività commerciale. Secondo i Giudici lombardi gli assegni bancari “… fanno parte di un unico contesto negoziale … che non fanno capo ad un terzo…” e le dichiarazioni delle controparti contrattuali a essi riferiti “… fanno piena prova di tali negoziazioni anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria…”. In sostanza, il principio dell’inversione dell’onere della prova è stato interpretato secondo canoni di ragionevolezza non potendo quest’ultimo tradursi in una probatio diabolica ed a fronte delle dichiarazioni prodotte in relazione agli assegni, l’ufficio non può limitarsi a negarne la rilevanza a meno che non ne dimostri la falsità.

Abbiamo elaborato un facsimile di ricorso contro le indagini finanziarie su imprenditore individuale

1 aprile 2016

Attilio & Antonino Romano

1 B. FUOCO, c/c artigiani, in salvo, Italia Oggi, 27/01/2016.

2 G. BOCCALATTE, Indagini finanziarie con via d’uscita, Il Sole 24 Ore, 2013.