Società a ristretta base proprietaria: è automatica la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili

la notifica di un accertamento contro una società a ristretta base proprietaria può comportare anche un accertamento contro i soci per distribuzione dei presumibili dividendi in nero: il calcolo delle imposte sui divedendi occulti e le opzioni difensive per il socio-contribuente

Con l’ordinanza n. 5327 del 18 marzo 2015 (ud. 19 febbraio 2015) la Corte di Cassazione ha aderito, ancora una volta, all’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti’ (Cass. n. 16885/03, n. 10951/02, n. 7174/02), sicchè ‘è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria e tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente’ (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; Sez. 5, Sentenza n. 1924 del 29/01/2008; n. 20851/05, n. 6780/03, n. 7218/01)”.

 

Nota

La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’art.116 del T.U. n. 917/86, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.

Va rilevato, peraltro, che per effetto dell’art. 2328, c. 1, c.c., e dell’art. 2463, c. 1, c.c., è previsto, sia per le s.p.a. che per le s.r.l., la possibilità di costituire tali società con un unico socio, dove ovviamente (e non potrebbe essere diversamente) tutto il potere decisionale è in capo all’unico socio.

La questione, in assenza di una specifica disposizione normativa che preveda tale forma di tassazione, a differenza di quanto previsto dall’art. 5, del T.U. n. 917/86, per le società di persone, è da anni oggetto di dibattito dottrinario e giurisprudenziale.

Infatti, se nelle società di persone l’imputazione ai soci del reddito societario è svincolata dalla effettiva distribuzione degli utili, nelle società di capitali (indipendentemente dall’esistenza di una ristretta base azionaria) è legato alla effettiva distribuzione.

Detta presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (Cass. n. 7174/2002).

Rimane salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti (Corte di cassazione 8 luglio 2008, n. 18640).

Per comune sentire si intende come società a ristretta base azionaria quella società costituita da un numero esiguo di soci, legati da vincoli non necessariamente di parentela, ove la complicità costituisce la caratteristica principale di un gruppo così composto.

Nei confronti del socio di una società a ristretta base azionaria trova applicazione l’art. 44 del T.U.n.917/86, che disciplina i redditi di capitale, mentre se la partecipazione è detenuta in regime d’impresa il dividendo concorrerà alla formazione del reddito d’impresa, secondo quanto disposto dagli artt. 48 e 59 del T.U.917/86.

Le modalità di tassazione sono, quindi, le seguenti:

  • partecipazione qualificata, detenuta come persona fisica (reddito di capitale, ex art. 47, c. 1, del T.U. n. 917/86): determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%);

  • partecipazione non qualificata, detenuta come persona fisica (non concorre per il percettore, ex art. 3, c. 3, lett. a, del T.U. n. 917/86): il reddito è comunque soggetto alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ex art. 27, del D.P.R.n.600/73, nella misura del 12,50%, e quindi contestato alla società per mancata effettuazione e versamento della prescritta ritenuta. Una volta acclarata la presunzione secondo cui nelle società di capitali a ristretta base sociale i redditi occulti siano stati distribuiti fra i soci, ne discende l’obbligo per la società di provvedere anche alle ritenute alla fonte su tali redditi – sul punto, cfr. Cass. 10982/2007;

  • partecipazione, qualificata e non qualificata, detenuta in regime d’impresa, ex art .59 del T.U. n.917/86: determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%).

 

La legittimità di tale interpretazione presuntiva (imputazione in capo ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società) in presenza di società a base familiare, o comunque a ristretto azionariato, è stata da sempre ritenuta legittima dalla Corte di Cassazione, puntando sulla constatazione che la ristretta base azionaria costituisce, da sola, la prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, capovolgendo così l’onere della prova (cfr. la sentenza n. 4695 del 18.10.2001, depositata il 2.4.2002). Fra i precedenti di rilievo segnaliamo le seguenti sentenze più recenti.

  • Con la sentenza n. 25689 del 26.10.2006 (dep. il 4.12.2006), nel riconfermare l’indirizzo, lo estende di fatto anche in relazione ai proventi illeciti.Per la Cassazione, “gli accertamenti tributari di cui è causa traggono origine da evasione di imposta su vendite di prodotti petroliferi effettuati dalla società partecipata senza contabilizzazione nei libri sociali e dunque di attività di occultamento di ricavi messi in atto dalla stessa società.Non è perciò pertinente il richiamo a redditi che deriverebbero dall’attività delittuosa compiuta solo da taluni soci che non si rifletterebbe sulla posizione degli altri”.

  • Con la sentenza n. 10982 del 3.4.2007, dep. il 14.5.2007, una volta acclarata la presunzione secondo cui nelle società di capitali a ristretta base sociale i redditi occulti siano stati distribuiti fra i soci, ne fa discendere l’obbligo per la società di provvedere anche alle ritenute alla fonte su tali redditi. Del resto, prosegue la Corte, “ex art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 597/1973 i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, che hanno nel territorio dello stato la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale dell’attività, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. E nella specie si tratta appunto di redditi accertati nei confronti della società resistente a seguito di maggior redditi accertati in capo a società in accomandita semplice di cui la F. resistente era compartecipe in varia misura”; nello stesso senso vd. anche Cass. n. 20851/2005, con il conseguente obbligo di effettuazione della ritenuta. Del resto, prosegue la Corte, “ex art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 597/1973 i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, che hanno nel territorio dello stato la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale dell’attività, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. E nella specie si tratta appunto di redditi accertati nei confronti della società resistente a seguito di maggior redditi accertati in capo a società in accomandita semplice di cui la F. resistente era compartecipe in varia misura”.

  • Con la sentenza n. 21415 del 28.9.2007, dep. l’11.10.2007, ha ritenuto legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, non ricorrendo il divieto di presunzione di secondo grado. La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, “atteso che la sentenza impugnata è stata resa in violazione del principio elaborato da questa Corte (sentenza n. 7174/2002) e secondo il quale, nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Pertanto, ove, come nella specie, si versi dinanzi ad una società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, attesa la mancanza (trattandosi di utili occulti) di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti (Cass. n. 7564/2003).

  • Con la sentenza n. 3972 del 19 febbraio 2009, udienza del 19 novembre 2008, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, “è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti”.

  • Con la sentenza n. 9519 del 22 aprile 2009 (ud. del 20 marzo 2009), ha ritenuto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10/2005, n. 16885 del 2003)”. Inoltre, nota la Corte, che “in tema di imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, nella specie la V.R., ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinché, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio – del resto non contestato da S. e G. – sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (V. pure Cass. Sentenze n. 7564 del 15/05/2003, n. 7174 del 2002, n. 4695 del 2002)”.

  • Con la sentenza n. 20721 del 6 ottobre 2010 (ud. dell’11 maggio 2010) la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti” (Corte di cassazione 8 luglio 2008, n. 18640).

  • Con la sentenza n. 9849 del 5 maggio 2011 (ud. del 20 settembre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che “la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso di diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza, nonchè nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica dell’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare” (Cass. n. 13338/2009; conformi Sezioni Unite 30055/08; 22.04.2009 n. 9519; 08.07.2008 n. 18640; 16.03.2007 n. 6197; 26.10.2005 n. 20851; 15.05.2003 n. 7564 ; 05.05.2003 n. 6780). In pratica, la Corte di Cassazione, oltre a ribadire la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base azionaria, ha fatto rientrare l’ipotesi in questione nel più ampio concetto di abuso del diritto, dando rilevanza all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica che viene assunta.

  • Con la sentenza n. 29607 del 29 dicembre 2011 (ud. 6 dicembre 2011) la Corte di Cassazione ribadisce il principio ripetutamente affermato (Cass., trib., 24 luglio 2009 n. 17358, che ricorda le precedenti sentenze n. 2390 del 3 marzo 2000 e n. 3254 del 20 marzo 2000) per il quale “nel caso di una società di capitali, pur non sussistendo, a differenza di quanto previsto per le società di persone, una presunzione legale di distribuzione dell’utile ai soci, l’appartenenza della società ad una stretta cerchia familiare può costituire, sul piano degli indizi, elemento di prova dell’avvenuta distribuzione degli utili in questione“.Nell’ipotesi di “società di capitali a ristretta base azionaria quindi (Cass., trib., 22 aprile 2009 n. 9519) è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nemmeno la eventuale mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cfr. anche Cass., sentenze n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10 n. 16885 del 2003)“.La “presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati“, inoltre (sentenza n. 9519 del 2009, cit.), “non viola il divieto presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto“, diversamente da quanto affermato dalla ricorrente (che lo identifica nel “maggior utile imponibile” accertato in capo alla società partecipata), “non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società … ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale“.La Corte, inoltre, smonta gli esempi di irrilevanza di non distribuzione degli utili formulati dalla società; “tali esempi, peraltro ed all’evidenza, non scalfiscono il principio atteso che gli utili presuntivamente distribuiti sono sempre e solo quelli non risultati dalla contabilità per cui (1) l’ipotesi di accantonamenti a fondo rischi superiori a quanto consentito dalle norme fiscali è evidentemente estranea perchè siffatti accantonamenti debbono comunque risultare iscritti nella contabilità e (2) il mancato riconoscimento a fini fiscali (di) spese fatte o (di) costi sostenuti implica che quei costi e quelle spese, ai fini fiscali (gli unici rilevanti, anche nei confronti dei soci), non sono stati mai nè sostenuti nè fatte”.

  • Con l’ordinanza n. 1867 dell’8 febbraio 2012 (ud. dell’11 gennaio 2012) la Corte di Cassazione Civile ha affermato che la questione posta va esaminata “tenendo conto dell’ormai pacifico principio, secondo cui la sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ. si applica anche al processo tributario e ricorre qualora risultino pendenti davanti a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati. Nel caso in specie, il giudice di appello, riconoscendo effetti decisivi alla sentenza della CTR, non definitiva, che aveva annullato l’accertamento, relativo allo stesso anno, nei confronti della società e non disponendo la sospensione del giudizio nei confronti del socio, in attesa della definizione del reddito della società a ristretta compagine sociale sembra essersi discostata dal citato orientamento giurisprudenziale”.

  • Con la sentenza n. 441 del 10 gennaio 2013 (ud. 4 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che “è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti” (Cass. 6197/2007; 2214/2011).Osserva, ancora, la Corte che, ove (come nel caso di specie), il reddito nei confronti della società risulti accertato in maniera definitiva, il giudizio nei confronti del socio, per quanto attiene all’esistenza degli utili extracontabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa.Non ricorrendo l’ipotesi del litisconsorzio necessario, “il provvedimento di accertamento e rettifica del reddito sociale di una società di capitali va notificato solo alla società e non anche ai soci, i quali, in quanto tali, sono privi di legittimazione processuale nel distinto giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale; correttamente, pertanto, nella fattispecie in esame, l’avviso di accertamento del reddito della R. srl è stato notificato solo al l.r. prò tempore della detta società (e, precisamente, al curatore fallimentare della stessa) e non anche al socio, sicchè quest’ultimo nulla può eccepire al riguardo”.

  • Con l’ordinanza n. 14484 del 7 giugno 2013 (ud. 13 marzo 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che gli utili neri della società possono essere imputati ai soci.Per la Corte, quanto (eventualmente) prelevato alla società non entra a comporre il reddito dei soci, senza accertare che tale prelievo sia stato effettuato.Non si tratta cioè di un’applicazione del divieto di “doppia imposizione” ma più semplicemente della considerazione secondo cui gli utili vanno computati al netto.Se è vero che nella normalità dei casi le società non versano le imposte sugli utili “in nero” e quindi tutto quanto evaso perviene ai soci, resta ferma la possibilità per i soci di dimostrare che la società ha versato imposte sulle somme realizzate “in nero“.

  • Con la sentenza n. 15334 del 19 giugno 2013 (ud. 24 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto ancora una volta legittima la presunzione di distribuzione degli utili cd. extrabilancio ai soci. La Corte si è adeguata al principio costantemente ribadito secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci” (sentenza n. 18640 del 08/07/2008; ordinanza n. 17928 del 18/10/2012; sentenza n. 9519 del 22/04/2009). In particolare, è stato ritenuto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, “è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (così Cass. n.29605 del 29/12/2011)”.

  • Con la sentenza n. 20806 dell’ 11 settembre 2013 (ud 11 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato, in presenza di società a ristretta base azionaria, l’imputazione ai soci degli utili extracontabili.In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva … la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi contabilizzati, non risultando nè accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci”. Tale principio sussistente “nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 5076/2011, 8954/2013), ma la sua declinazione decisoria impone il riscontro, conseguente ad un accertamento sulle movimentazioni finanziarie ovvero gli atti giuridico-economici di una società ovvero dei suoi soci, che vi sia stata formazione di utili non contabilizzati, da tale circostanza scattando la citata presunzione distributiva e la correlata tassazione individuale prò parte”. Nel caso specifico, da un lato “l’accertamento sintetico dell’Ufficio, condotto sui redditi dei soci-contribuenti, poggiava D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4 e 5, su due circostanze (possesso di autoveicoli e spese per incrementi patrimoniali) e, dall’altro, che solo su una di esse venne sostenuto l’appello da parte di Agenzia dell’Entrate (che circoscrisse il gravame al capo con cui la C.T.P. negava la riconducibilità ai soci stessi, e non invece a società-terze, dei versamenti a favore della F. s.r.l.). La questione dei versamenti dei soci alla società, nella potenziale veste di contribuzioni dirette ad incremento patrimoniale, trovò, al pari del possesso di autovetture, accertamento di insussistenza presso la C.T.P.; essa fu però la sola questione oggetto di censura avanti alla C.T.R.; tale residua circostanza e comunque la riconosciuta sua estraneità all’ambito dei fatti indizianti del riaccertamento reddituale non hanno rinvenuto però alcuna valorizzazione probatoria presso la sentenza qui impugnata, che si limita – come detto – a fare applicazione del principio presuntivo citato e non fa menzione dei presupposti dell’accertamento originario dell’Ufficio”.

  • con la sentenza n. 25148 dell’ 8 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati. Per costante e condiviso principio giurisprudenziale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa (quale quella in questione, costituita da due soci), “è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti” (Cass. 5607/2011; v., tra le tante, anche Cass. 18640/2008 e 17358/2009). Siffatta presunzione, prosegue la Corte, “non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cassazione civile sez. trib., 22 aprile 2009, n. 951; v. anche Cass. 5607/2011)”.

 

A fronte della legittimità della presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimane “salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando é accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci” (Cass. n. 18640/2008).

In ordine alla problematica della sospensione dell’atto presupposto rileviamo che con la sentenza n. 20870 dell’8 ottobre 2010 (ud. del 7 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato, secondo principi già enucleati precedentemente (Cass. nn. 18640/2009, 13338/2009, 9519/2009) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi“. Tuttavia, osserva la Corte, che “perchè la presunzione semplice di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati possa operare occorre non solo che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, ma anche che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. Nel caso di specie, oltre a mancare qualsiasi accertamento sulla esistenza di una ristretta base familiare e/o sociale, manca altresì un accertamento definitivo sul dato presupposto, posto che nella sentenza impugnata si fa riferimento solo ad una coeva sentenza (di secondo grado) che, in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha determinato il reddito imponibile della società di capitale, ai fini Irpeg ed Ilor per l’anno 1993, ricostruendolo con metodo induttivo nell’8% dei ricavi lordi”.

Detta sentenza, quindi, ritiene atto presupposto la definitività dell’accertamento in capo alla società, per procedere nei confronti dei soci. Definitività che potrebbe derivare da acquiescenza, da sentenza non più impugnabile, da atto di adesione o conciliazione, o comunque da un atto che ha reso definitiva la posizione della società.

Da un punto di vista pratico ciò è però difficilmente praticabile, in particolare nel caso in cui la sentenza definitiva intervenga quando magari sono già scaduti i termini per procedere all’accertamento nei confronti della persona fisica/socio.

Diversamente, in caso di adesione societaria è, invece, sicuramente possibile ancorare la posizione del socio al reddito definito in adesione.

E quindi costituendo l’accertamento societario atto presupposto per l’accertamento nei confronti del socio, il giudice, ai sensi dell’art. 295 del C.p.c., deve disporre la cd. sospensione necessaria, prevista “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa1, applicabile in virtù del fatto che ci trova in presenza di rapporti tra processi tributari e non tra processi diversi (tributario e non, per il quale invece trova applicazione l’art. 39 del D.Lgs. n. 546/92) cfr. anche Cass. n. 2211/2011).

 

22 aprile 2015

Gianfranco Antico

 

1 Cfr. il pregevole intervento di CESAREO, Sull’accertamento ai soci di società di capitali a ristretta base sociale si delinea un nuovo orientamento della Suprema Corte, in “ Finanza&Fisco”, n. 20/2011, pag. 1582.