Il giudicato esterno nel processo tributario

In quali casi ed occasioni può essere utile sollevare l’eccezione di giudicato esterno nel processo tributario? Affrontiamo tante questioni: qualifica, rilevabilità e ratio dell’eccezione di giudicato esterno; limiti alla capacità espansiva; valutazione delle prove in ordine a diverse annualità; tributi diversi; abuso del diritto: il giudicato esterno non vincola le controversie in tema di IVA; giudicato ultrattivo; obiter dicta; onere di provare il passaggio in giudicato; giudizio di rinvio e giudicato esterno preveniente e non sopravvenuto alla sentenza di rinvio della cassazione.

Giudicato e giusto processo

appello nel processo tributarioIl giudicato va considerato un valore imprescindibile dell’ordinamento giuridico, che si ricollega anche al principio di cui all’art. 111 Cost. in tema di giusto processo, in quanto funge da presidio essenziale per la sua ragionevole durata.

Il giudicato rappresenta l’aspetto terminale della vicenda processuale (che è evidentemente destinato a produrre effetti sul piano sostanziale) a cui viene assegnato valore vincolante ed immutabile.

L’assegnazione di un valore stabile al giudicato corrisponde innanzitutto all’interesse generale e superiore della giustizia, oltre che a quello precipuo delle parti in causa, e comunque dà attuazione ad una serie di principi di diretta derivazione costituzionale (artt. 24 e 111 Cost.). Esso consente di dare effettiva applicazione al principio del giusto processo, assegnando stabilità, certezza, rapidità e coerenza agli accertamenti giudiziali, aspetti imprescindibili nell’esercizio di una dignitosa funzione giurisdizionale.

Il giudicato dà attuazione alla regola del ne bis in idem, secondo la quale, da un lato, ogni giudice non può giudicare una lite già definita (funzione negativa del giudicato) e, dall’altro lato, il giudice di una controversia connessa o logicamente dipendente da un’altra decisione passata in giudicato non può giudicare sui fatti già decisi, ma deve assumere questi fatti come presupposto per la sua decisione (funzione positiva del giudicato).

Il giudicato, quindi, oltre a garantire la certezza del diritto, consente anche di realizzare il principio di economia processuale che è proprio di ogni sistema giurisdizionale. Il giudicato non deve essere incluso nel fatto, ma è da assimilarsi, per natura ed effetti, agli elementi normativi: l’interpretazione del giudicato deve essere quindi considerata alla stregua dell’interpretazione di norme e non di fatti, negozi o atti giuridici. Per cui non solo i comportamenti (successivi) delle parti devono adeguarsi al giudicato, ma anche i giudici in seguito aditi devono subire la forza vincolante del giudicato.

 

 

Qualifica, rilevabilità e ratio dell’eccezione di giudicato esterno

Attraverso l’eccezione di giudicato esterno si mira a condizionare l’esito di un procedimento giudiziario, impedendo un nuovo accertamento su quei presupposti fattuali già oggetto di giudizio in una precedente sentenza passata in giudicato (relativa ad una controversia connessa).

L’eccezione di cosa giudicata esterna è considerata secondo una precisa ricostruzione ermeneutica eccezione in senso stretto, mentre secondo altra impostazione trattasi di eccezione in senso lato, poiché è indisponibile l’interesse all’autorità dei giudicati.

L’eccezione di giudicato esterno1 è un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio2, in ragione della funzione, riconosciuta alla res judicata, di indispensabile presidio pubblicistico della giurisdizione, stante la sua efficacia preclusiva (o conformativa) in successivi giudizi tra le stesse parti.

 

L’exceptio rei iudicatae

Si discute sulla natura processuale o di merito dell’exceptio rei iudicatae.

La cd. exceptio rei iudicatae si atteggia di natura processuale in quanto nel caso di sua fondatezza impedisce al giudice di esaminare il merito della causa; il divieto del ne bis in idem, inteso come effetto negativo del giudicato che impedisce in un nuovo e futuro processo una pronuncia di merito sullo stesso effetto giuridico, opera se la parte resistente nei due processi non è diversa ossia se c’è identità di soggetti; essa è reputata di merito, viceversa, poiché il suo accoglimento determina il mero rigetto della domanda.

 

Pluralità di giudicati

Va precisato, che ove sulla medesima questione si siano formato due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione (Cass. Civ., sez. Tributaria, 16-03-2007, n. 62; Cass. n. 2082/1998; v. anche Cass. nn. 10169/1990; 833/1993; 6406/1999).

 

 

Giudicato esterno in sede di giudizio di legittimità

Il giudicato esterno, formatosi successivamente alla conclusione del giudizio di merito (o dopo il deposito del ricorso per cassazione), è deducibile e rilevabile nel giudizio di legittimità.

La relativa attestazione può essere prodotta, a seconda dei casi, con il deposito del ricorso o fino all’udienza di discussione, non operando qui la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c3., il quale vieta nel giudizio di legittimità il deposito di atti o documenti non prodotti nei precedenti gradi.

Una volta accordata all’eccezione di giudicato esterno la natura di eccezione in senso lato, la res judicata sopravvenuta alla chiusura del giudizio di merito (o al deposito del ricorso per cassazione) deve considerarsi (documento) attinente all’ammissibilità del ricorso stesso.

 

Limiti alla capacità espansiva del giudicato tributario

Il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (i.e. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente, cosicché la situazione già accertata nel precedente giudizio non può formare oggetto di valutazione diversa, ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti, mentre non può chiedersene l’ultrattività per un’annualità diversa quando questa postula l’accertamento di ulteriori presupposti di fatto (Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza n. 17668 del 6 agosto 2014).

 

Valutazione delle prove in ordine a diverse annualità

Nell’ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità non è possibile applicare il giudicato, non potendo precludersi per ogni giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono offerte dalle parti che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti. Tale principio è stato statuito dalla Cass. civ. Sez. V, con sentenza del  06 agosto 2014, n. 17668.

 

Tributi diversi

Nel processo tributario l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino (come nella specie) tributi diversi, stante la diversità strutturale tra le imposte, oggettivamente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui “medesimi presupposti di fatto” ovvero scaturisca “dalla medesima indagine di fatto” (Cass. 10-09-2014 n.19044 sez. T)4.

La Cassazione con sentenza n. 235 del 9 gennaio 2014 ribadisce il consolidato orientamento secondo il quale non ricorre l’efficacia estensiva del giudicato esterno, per quanto qui interessa, allorchè siano oggetto dei separati giudizi tributi diversi (quali IVA ed IRPEF), stante la diversità strutturale delle due imposte, oggettivamente differenti, ancorchè la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto (Cass. nn. 3756/2013, 802/2011, 3706/2010 e 25200/2009).

 

Abuso del diritto: il giudicato esterno non vincola le controversie in tema di IVA

abuso del dirittoLe controversie in materia di IVA sono annoverabili fra quelle che richiedono il rispetto di norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria, come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema comunitario di imposta. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza n. 13029/12; depositata il 24 luglio).

La Corte di Giustizia europea, con la sentenza C. 2/08, ha stabilito che l’art. 2909 c.c. che impedisce di accertare due volte gli stessi elementi in caso di pronunce successive tra le medesime parti e sugli stessi fatti può essere disapplicato se impedisce l’attuazione del diritto comunitario.

L’intervento della Corte di Giustizia ha riguardato il cosiddetto giudicato esterno, cioè l’estensione della cosa giudicata, formatasi in una controversia, ad altri procedimenti relativi al medesimo soggetto e al medesimo oggetto, non ancora decisi in via definitiva.

Secondo la Corte di Giustizia va affermata l’inapplicabilità del codice civile ogni volta che la sua attuazione mina in maniera assoluta la possibilità di fare ricorso al diritto comunitario (si pensi al vincolo di decisioni precedenti che compromette la lotta all’abuso del diritto) ed in tal caso spetta al giudice nazionale provvedere a disapplicare l’art. 2909 c.c..

Secondo la Corte di Giustizia applicare le statuizioni di una sentenza definitiva con riferimento a una annualità diversa impedisce al giudice di prendere in considerazione le norme di contrasto degli abusi e di correggere eventuali errori di interpretazione delle norme comunitarie che riguardano pratiche abusive in materia di iva in contrasto con il diritto comunitario.

Secondo la Corte di Giustizia occorre affermare il primato del principio di effettività del diritto comunitario rispetto alla tutela della certezza del diritto con riguardo all’abuso del diritto; da ciò ne consegue che l’efficacia del giudicato esterno si esaurisce quando il suo effetto si scontra con un ulteriore principio di derivazione comunitaria.

Secondo la Corte di Giustizia poiché l’iva svolge un ruolo importante nella costituzione delle risorse proprie della Comunità europea essa deve essere soggetta alle regole del diritto comunitario in cui le sentenze della Corte di giustizia hanno carattere vincolante e definitivo.

In definitiva, il principio dell’intangibilità del giudicato esterno espresso con la sentenza n. 13916/2006 si incrina (come già è successo per il principio della formazione del giudicato di cui all’art. 2909 c.c. con sentenza della Corte di giustizia del 18 luglio 2007, in causa C. 119/05, Lucchini s.p.a.) di fronte al principio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno, con la conseguenza che troverà di nuovo spazio il principio dell’autonomia dei singoli periodi d’imposta, non solo per quanto riguarda i tributi armonizzati (cd. principio di effettività del diritto comunitario).

 

Giudicato ultrattivo

Quando l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato vuol esser fatto valere al di fuori del procedimento nel quale è reso, e cioè in un ulteriore procedimento, si parla di giudicato esterno o di ultrattività del giudicato.

Con il concetto di giudicato esterno, si ipotizza che il giudicato possa espandere i suoi effetti oltre il procedimento nel quale è reso e segnatamente in un differente, ma connesso, procedimento giudiziario.

L’affermazione della rilevanza del giudicato esterno presuppone il contemperamento di alcuni canoni/valori di livello generale: da un lato il principio del cosiddetto ne bis in idem ed il principio di economia processuale; dall’altro il principio del libero convincimento del giudice, nonché il problema di impedire ad un’eventuale sentenza ingiusta di propagare i suoi effetti in altri procedimenti.

Il giudicato esterno si scontra inevitabilmente con il principio del libero convincimento del giudice (art. 116 c.p.c.). Il giudicato esterno, la cui ratio è la stabilità dei rapporti e la risoluzione o prevenzione delle liti, consiste nell’autorità di giudicato che una sentenza della C.T. produce in un altro processo ex art. 2909 del cc.. L’indagine sui limiti oggettivi della cosa giudicata riguarda il che cosa e’ coperto dagli effetti della sentenza. La questione è quella di valutare quand’è che una causa fra gli stessi soggetti possa dirsi identica a quella già decisa e, pertanto, impedita dal giudicato.

La cosa giudicata è l’affermazione indiscutibile di una volontà concreta di legge che riconosce o disconosce un bene della vita ad una delle parti; essa è l’esistenza di una volontà di legge nel caso concreto La cosa giudicata non è altro che il bene della vita riconosciuto o disconosciuto dal giudice con sentenza. la quale materialmente si compone del dispositivo e della motivazione. Suscettibile di passare in giudicato è la sentenza che decide nel merito, attribuendo o negando il bene della vita, oppure decide su questioni processuali ex art. 279, c. 2, c.p.c..

 

Obiter dicta

Il giudicato non si forma sulle questioni esaminate incidenter tantum e non si forma sugli obiter dicta; in altri termini, il giudicato non si forma sulle enunciazioni incidentali e sulle considerazioni estranee alla controversia.

Le affermazioni, estranee alla logica del decisum, devono considerarsi obiter dicta non suscettibili di passare in cosa giudicata e pertanto, anche sotto questo ulteriore profilo, deve escludersi un interesse dei contribuenti all’impugnazione in esame (Cass., Sez. Trib., sent. n. 6366/2006).

L’efficacia vincolante della sentenza è limitata alla sola ratio decidendi, ossia agli argomenti essenziali addotti dal giudice per giustificare la decisione del caso a lui sottoposto Le rimanenti parti della sentenza, ossia le argomentazioni non essenziali per la decisione, costituiscono i cosiddetti obiter dicta (sing. obiter dictum), ai quali non è riconosciuta efficacia vincolante, ma solo persuasiva in ragione della solidità delle argomentazioni sui quali sono fondati.

Gli obiter dicta sono affermazioni parentetiche prive di rilevanza argomentativa specifica. Sono pensieri del giudice che non riescono ad attingere la dignità di argomenti.

 

 

Onere di provare il passaggio in giudicato

La parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendo la sentenza stessa, ma anche corredandola di idonea 5certificazione (art. 124 disp. att. c.p.c.) dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere nè che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, nè che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza. nel processo tributano. (Cass. civ. Sez. V, Sent., 17-10-2014, n. 22019).

Nel processo tributano, il principio ritraibile dall’art. 2909 c.c. (secondo cui il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma l’oggetto – petitum mediato -, a prescindere dal tipo di sentenza adottato – petitum immediato -) è applicabile anche nel caso in cui gli atti tributari impugnati in due giudizi siano diversi, purchè sia identico l’oggetto del giudizio medesimo, riferito al rapporto tributario sottostante.

Nel processo tributario, il principio ritraibile dall’art. 2909 c.c. (secondo cui il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma l’oggetto – petitum mediato -, a prescindere dal tipo di sentenza adottato – petitum immediato -) è applicabile anche nel caso in cui gli atti tributari impugnati in due giudizi siano diversi (nella specie, un avviso di accertamento ed una cartella di pagamento), purchè sia identico l’oggetto del giudizio medesimo, riferito al rapporto tributario sottostante (Cass. civ. Sez. V, 22-09-2011, n. 193106).

 

 

Giudizio di rinvio e giudicato esterno preveniente e non sopravvenuto alla sentenza di rinvio della cassazione

In ragione della natura chiusa del giudizio di rinvio, è inammissibile l’eccezione di giudicato esterno sollevata in tale sede, allorché la cosa giudicata sia preveniente e non sopravvenuta alla sentenza di cassazione. Nel giudizio di rinvio, infatti, il divieto per le parti di formulare nuove conclusioni e, quindi, di prospettare nuove tesi difensive, trova deroga solo nel caso in cui si faccia valere la sopravvenuta formazione del giudicato esterno, il quale, facendo stato ad ogni effetto tra le parti, deve essere preso in considerazione dal giudice del rinvio se intervenuto (come fatto impeditivo, estintivo o modificativo della pretesa azionata) in un momento successivo a quello della sua possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali.(Cassazione sentenza n. 14706 del 27 giugno 2014 sez. V).

L’eccezione di giudicato esterno è nel giudizio di rinvio deducibile se, e solo se, il medesimo sia sopravvenuto alla chiusura della fase di cassazione, ove esso è ritenuto rilevabile con possibilità per la parte di produzione del relativo documento

 

19 dicembre 2014

Ignazio Buscema

 

NOTE

1 Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento cosi compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo. In altri termini, il giudicato esterno funge da motivazione precostituita che può essere riutilizzata in caso di replica della stessa controversia. Pertanto il giudice al quale si pone il problema del giudicato esterno, deve procedere alla comparazione delle fattispecie (quella sub iudice e quella definita) per verificarne la corrispondenza ed individuare le eventuali statuizioni vincolanti. Ma se manca la motivazione precostituita perché la sentenza passata in giudicato si limita ad affermare apoditticamente la spettanza di un’esenzione fiscale non si può fare riferimento ad essa per decidere (rectius non decidere) la nuova controversia. Richiamare una motivazione inesistente equivale a non decidere o, comunque, a decidere in base ad una motivazione altrettanto inesistente, e la corte di cassazione non può abdicare alla propria funzione, pronunciando una sentenza che avrebbe il senso della denegata giustizia. Una sentenza con motivazione apodittica non costituisce giudicato esterno (Cass. 05-10-2012 n.16996 sez. T).

2 L’eccezione di giudicato è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in sede di legittimità, e quindi in appello non è soggetto alle limitazioni imposte dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 concernenti il divieto di proposizione di questioni nuove. Il Giudice infatti è tenuto a pronunciare sulla esistenza di un giudicato esterno, oltre che interno, ogni qualvolta questa emerga dagli atti di causa, comunque prodotti, anche prescindere da espressa istanza di parte qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi è stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto (Cass. 29-07-2011 n.16675).

3 I documenti che riguardano l’inammissibilità del ricorso possono essere prodotti unitamente al ricorso per Cassazione se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione o nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione.(Cass. 25-11-2011 n.24928 sez. T).

4 Affinché possa manifestarsi l’efficacia di giudicato, è necessario non solo l’identità soggettiva ma anche quella oggettiva tra il rapporto definito e quello da definire; pertanto, se del rapporto controverso mutano alcuni elementi, con conseguente venir meno dell’originaria causa petendi, il pregresso giudicato cessa di operare (Cassazione sentenza n. 4531 del 19/4/2000). Affinché una lite possa dirsi coperta dall’efficacia di giudicato di una precedente sentenza resa tra le stesse parti è necessario che il giudizio introdotto per secondo investa il medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del primo; in difetto di tale presupposto, nulla rileva la circostanza che la seconda lite richieda accertamenti di fatto già compiuti nel corso della prima, in quanto l’efficacia oggettiva del giudicato non può mai investire singole questioni di fatto o di diritto; in applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che la sentenza passata in giudicato, con la quale il giudice tributario aveva riconosciuto il diritto del di una fondazione bancaria di godere della riduzione dell’IRPEF previste dall’art. 6, c. 1, lett. b, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 per un determinato anno d’imposta, facesse stato nella controversia promossa dal medesimo contribuente, e relativa alla invocabilità dell’esonero delle ritenute d’acconto sui dividendi azionari previste dall’art. 10 bis della legge 29 dicembre 1962, n. 1745 per un diverso anno d’imposta, trattandosi di benefici fiscali diversi, il secondo dei quali dipende non già dalla natura dell’ente, ma dall’attività concretamente svolta in ciascun periodo d’imposta (Cass. civ. Sez. V Sent., 18 giugno 2007, n. 14087). Il giudicato esterno può operare nel giudizio in cui si discute dell’atto con cui è stata formulata la richiesta tributaria (quindi in sede di impugnazione dell’atto impositivo) e non in sede di impugnazione di un atto che è consequenziale a sentenza emessa nella controversia in cui si discute il merito della pretesa tributaria (Sent. n. 1604 del 20 settembre 2007 dep. il 25 gennaio 2008 della Corte Cass., Sez. tributaria). Il giudicato formatosi circa l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro non può avere effetti preclusivi sulla controversia che ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’Invim avendo questo, per la rilevata diversità del presupposto del tributo, causa petendi e petitum del tutto diversi dal giudizio afferente l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro medesima (Sent. n. 4904 del 19 dicembre 2006 dep. il 2 marzo 2007 della Corte Cass., Sez. tributaria). La sentenza, divenuta definitiva, che abbia accolto il ricorso proposto avverso l’iscrizione a ruolo delle imposte sul reddito relative ad una determinata annualità, dichiarando la nullità di un’istanza di condono presentata dal contribuente ai sensi del D.L. 5 novembre 1973, n. 660, convertito in legge 19 dicembre 1973, n. 823, e riconoscendo il diritto dello stesso a beneficiare dell’esenzione decennale prevista dall’art. 8 della legge 22 luglio 1966, n. 614, spiega efficacia di giudicato nel successivo giudizio avente ad oggetto l’imposta di ricchezza mobile relativa ad altre annualità, iscritta a ruolo senza tener conto della medesima agevolazione e dell’istanza di condono, in quanto, pur non riguardando un punto comune alle due controversie, colpisce l’unico fatto costitutivo dell’intero rapporto giuridico tributario dedotto in lite, rappresentato dalla nullità o inefficacia dell’istanza di condono, precludendo il riesame di tale punto della controversia, la quale, nonostante la diversità del petitum, è caratterizzata da un’identica causa petendi (Cass. civile, sez. Tributaria, 31-03-2008, n. 8214).

5 Perchè il giudicato esterno, rilevabile anche d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere dall’eccipiente provata attraverso la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. dell’intervenuto passaggio in giudicato (Cass. 30-04-2010 n. 10561 sez. T; Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 2/4/2008, n. 8478; Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., 3/11/2006, n. 23567).

6In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto facesse stato, ex art. 2909 c.c., la sentenza irrevocabile di annullamento dell’avviso di accertamento, con cui era stato rettificato il reddito per una certa annualità e disconosciute le perdite di esercizio, nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento con cui l’Amministrazione aveva ridotto i crediti di imposta, maturati in relazione alle perdite oggetto dell’accertamento, poi annullato.