I rischi connessi alla contabilità in nero

Se il Fisco ritrova documenti extracontabili nella disponibilità del contribuente (la cosiddetta ‘contabilità in nero’), allora può pacificamente procedere ad accertamento induttivo.

Con l’ordinanza n. 22265 del 21 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che

“è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011; Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, Cass. n. 8625/2012, Cass. n. 27456/2013; Cass. n. 4126/2013; Cass. n. 20492/13)”.

 

Accertamento induttivo in presenza di contabilità nera – Le nostre riflessioni

La sentenza che si annota, in pratica, pone in risalto, fra l’altro, la legittimità dell’accertamento induttivo in presenza di contabilità nera.

Sul punto proprio perché ormai la giurisprudenza della Suprema Corte ha assunto una posizione univoca (ribadita da ultimo dalla sentenza della Cassazione n. 25101/2008) offriamo al Lettore una carrellata delle sentenze più significative.

  • Con la sentenza n. 2217/06 depositata in data 1° febbraio 2006 la Corte ha affermato che la documentazione “… legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, quand’anche risolventesi in annotazioni personali, costituisce elemento probatorio, ancorché meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento IVA, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e di inadempimenti di obblighi di legge”.

  • Con la sentenza n. 6949 del 30.01.2006 (dep. il 27.03.2006), la Corte ha conferito piena valenza probatoria ad un brogliaccio (ma anche ad agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini Iva, sostenendo che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale ed autorizza l’Amministrazione finanziaria a procedere induttivamente.

  • Con la sentenza n. 27059 del 06.11.2006, dep. il 18.12.2006, la Suprema Corte ha affermato che il mero ritrovamento di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta, legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo, ed è onere del contribuente dimostrare che le indicazioni dei registri irregolari non hanno alcun rapporto con l’attività di commercio (nel caso di specie di gioielleria) da lui esercitata.

  • Con la sentenza n. 3222 del 14 febbraio 2007, la Corte ha ritenuto che “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, oltre che agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, costituisce un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportanti nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo”.

  • Con la sentenza n. 14218 del 9 maggio 2007, dep. il 19 giugno 2007, la Cassazione ha sostenuto che costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni, agende o block-notes, costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.

  • Con la sentenza n. 1400 del 08.11.2007 (dep. il 23.01.2008) la Corte ha affermato che “ladocumentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorchéconsistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elementoprobatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede diaccertamento, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolaritànella tenuta della contabilità (ex plurimis, Cass. nn. 2217, 6949 e 19329del 2006)”.

  • Con la sentenza n. 14716 del 18 aprile 2008, dep. il 4 giugno 2008, la Corte dà conto del rinvenimento, da parte della Guardia di Finanza, “di una borsa di cuoio custodita nel bagagliaio dell’autovettura del sig. M.A., rappresentante legale della società, nella quale era contenuto un bilancio extra-contabile il cui contenuto coincideva in parte con quanto dichiarato dalla società ed in più conteneva operazioni economiche non transitate nelle scritture contabili ufficiali della ditta”. Aggiunge, poi, che i successivi controlli sulle contabilità di altre società di gruppo avevano consentito di ricostruire i reali volumi d’affari della società, “ben più elevati di quelli risultanti dalla contabilità ufficiale”, e che erano state altresì reperite 20 pagine di un’agenda “nella quale erano indicati pagamenti in nero effettuati nei confronti di persone delle quali la società si avvaleva per l’effettuazione delle prestazioni rese alla clientela”).

  • Con la sentenza n. 20264 del 4 giugno 2008 (dep. il 23 luglio 2008), la Corte di Cassazione ritiene che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 cod. civ. e segg., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 25610 del 01/12/2006, n. 19329 del 2006,n. 19598 del 2003)”.

  • Con la sentenza n. 19902 del 9 giugno 2008 (dep. il 18 luglio 2008) la Corte di Cassazione ha affermato che “il ritrovamento da parte dell’amministrazione finanziaria di una contabilità parallela a quella tenuta ufficialmente legittima, di per sé ed a prescindere dalla sussistenza di qualsiasi altro elemento, la rettifica della dichiarazione ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, restando impregiudicata la verifica in sede contenziosa della concreta riscontrabilità, nella cennata documentazione, dei requisiti suscettibili di configurare i presupposti per l’esercizio, da parte dell’amministrazione medesima, del potere di accertamento”. E che “ove, come nella specie, si versi dinanzi ad un complesso di elementi dimostrativi della disponibilità di somme non contabilizzate da parte dell’impresa, ossia di una contabilità non corrispondente alle reali movimentazioni finanziarie svolte dalla società, è legittima la presunzione dell’esistenza di disponibilità di ricchezza, come tale imponibile, più ampia e consistente di quella dichiarata, attesa la mancanza d’una dimostrazione della diversa allegazione svolta della contribuente, riguardante il presunto versamento del contante da parte dei soci (o dell’amministratore) in via temporanea e salvo restituzione; che, del resto, la legittimità della utilizzazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di tali elementi presuntivi di una disponibilità finanziaria è pienamente legittima e logicamente fondata sul fatto della erogazione di somme, con finalità estintive di debitorie, non aventi base contabile”.

  • Con la sentenza n. 25101 del 19 giugno 2008 (dep. il 13 ottobre 2008) la Corte ha affermato che costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale la regolare tenuta della contabilità non osta all’adozione dell’accertamento con metodo induttivo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
    Del pari, il rinvenimento di documenti e dati extracontabili costituisce indizio munito dei caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da rendere complessivamente inattendibile la contabilità ufficiale, consentire la rettifica ed invertire l’onere della prova a carico del contribuente. “Infatti, la decisione della CTR fa leva su un principio di diritto che si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dai Collegio. Secondo i giudici di merito, il rinvenimento di appunti ed annotazioni contenenti nominativi e cifre, ma non anche le annotazioni degli avvenuti pagamenti, non consentirebbe di superare il dato formale della regolare tenuta delle scritture contabili.
    A parte l’incongruenza di pretendere che le scritture extracontabili siano redatte con criteri di completezza simili a quelli previsti per le scritture ufficiali, la CTR ha escluso ogni valore probatorio alla documentazione acquisita, soltanto perché sulla base della stessa non era possibile ricostruire analiticamente i ricavi occultati.
    In realtà, il rinvenimento delle scritture extracontabili costituisce indizio che le operazioni in esse annotate siano state effettivamente portate a termine sulla base dei prezzi mediamente praticati dall’impresa controllata, salvo che il contribuente non fornisca la prova contraria.
    L’errore commesso dalla CTR è di aver escluso ogni valore probatorio della contabilità parallela soltanto perché non era stata tenuta in maniera completa e con diligenza”. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la cd. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 25610/2006; conf. Cass., nn. 19598/2003, 11459/2001, 7045/1999)”.
    In altri termini, il rinvenimento della documentazione non ufficiale della attività di impresa rende inattendibile di per sé le scritture contabili ufficiali, le quali perciò non possono più costituire un valido scudo fiscale da opporre agli organi di controllo e questi possono procedere ad accertamento induttivo, anche valutando analiticamente le singole operazioni sottratte alla registrazione ufficiale.

  • Con sentenza n. 5947 del 12 marzo 2009 (ud. del 12 febbraio 2009) la Corte di Cassazione ha osservato “che, se il verbale, che il giudice tributario aveva il diritto di esaminare, non era stato allegato all’atto impositivo dall’Ufficio, che ne aveva il dovere, il giudice stesso avrebbe potuto chiederne l’esibizione, dall’altro, rilevava che i dati emergenti dagli appunti, dalle agende e dai brogliacci non rappresentassero elementi gravi, precisi e concordanti che legittimassero la rettifica dei ricavi”.
    Per la Corte, il ricorso dell’Amministrazione fiscale si rivela manifestamente fondato, dovendosi confermare il consolidato orientamento, secondo cui gli “appunti riportati su agende” costituiscono adeguato mezzo di prova. Infatti, “la cosiddetta contabilità ‘in nero’, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dell’art. 39 d.p.r. n. 600 del 1973 (sentenze n. 17627 del 2008; n. 1987 del 30 gennaio 2006; 6 settembre 2001 n. 11459). Deve ritenersi, cioè, che tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 seguenti vanno ricompresi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta”. Inoltre, ribadisce la Cassazione, “spetta al contribuente fornire prove in senso contrario (Cass. 1° dicembre 2006 n. 25610; Cass. 8 settembre 2006 n. 19329; Cass. 20 dicembre 2003 n. 19598).
    Nel caso di specie, gli elementi posti a base dell’accertamento, legittimamente effettuato a norma dell’art. 39 d.p.r. n. 600/73, sono stati ritualmente portati a conoscenza della contribuente attraverso la notifica del p.v. di verifica; mentre la sussistenza e la natura di detti elementi comportavano che incombeva alla contribuente fornire la prova contraria, con conseguente rispetto dei requisiti dell’atto impositivo e della disciplina dell’onere probatorio”.

  • Con la sentenza n. 15536 del 2 luglio 2009 (ud. del 29 aprile 2009) la Corte di Cassazione ha confermato i principi finora espressi in precedenti pronunce sul valore indiziario dei brogliacci. La Corte dà conferma che “la presenza di una contabilità formalmente regolare non impedisce l’accertamento in rettifica dell’Ufficio operato in base a metodo logico induttivo quando in virtù di valutazioni di congruità fondato su presunzioni gravi precise e concordanti la suddetta contabilità risulti affetta da incompletezze, inesattezze, infedeltà tali da giustificare il motivato uso del potere di rettifica (Cass. nn. 5977/07, 2613/07)”.
    A supporto, richiama l’art. 62-sexies della L. n. 427 del 1993, norma che nel prevedere che gli accertamenti possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore, autorizza espressamente l’ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità (Cass. n. 8643/07). E qui proclama il punto di maggiore interesse: “senza ancora dire che il rinvenimento di una contabilità informale riportata su un brogliaccio in uno ad agende – calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari etc. rappresenta un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo (Cass. n. 6949)”.
    La stessa Corte ammette che “non è il principio di diritto qui in discussione” ma la “insindacabile valutazione di merito espressa dalla Commissione regionale sul contenuto del documento informale rinvenuto nei locali dell’azienda il cui valore contabile gestionale è stato escluso possa essere da chiunque riconosciuto, quanto ivi riportato difettando di qualsivoglia valore probatorio in quanto incerto e di dubbia interpretazione.
    Questa statuizione fondata su motivata constatazione di fatto sul documento e la sua funzione certificativa nel contesto di cui è causa non è stata censurata dall’Amministrazione nel suo ricorso introduttivo contrassegnato da astratte considerazioni in diritto e generici riferimenti a risultanze penali delle quali non è dato neppure sapere in che termini siano state richiamate nei precorsi gradi di merito. Né tali lacunose critiche possono essere supplite da deduzioni e precisazioni riportate nella memoria difensiva depositata a sensi dell’art. 378 c.p.c., che ha solo lo scopo di illustrare e non integrare gli iniziali (e carenti) motivi di gravame”.

  • Con la sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione aveva avuto modo di ribadire che il rinvenimento di documenti, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva: “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).

  • Con l’ordinanza n. 12944 del 14 giugno 2011 (ud. del 19 maggio 2011), la Corte ha ritenuto che la c.d. contabilità in nero rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

  • Con lasentenza n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud 5 ottobre 2011) la Corte dà ancora una volta conferma della legittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità nera.
    Per la Suprema Corte, “non può revocarsi in dubbio che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Nella nozione di ‘scrittura contabile’, che – a norma dell’art. 2709 c.c. – fa prova contro l’imprenditore, devono ritenersi, per vero, ricompresi – ad avviso della Corte – tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, o che comunque siano suscettibili di rappresentare adeguatamente la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.
    Da ciò ne consegue che la predetta “contabilità in nero”, per il “suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, incombendo al contribuendo, a fronte degli elementi fortemente presuntivi desumibili da detta contabilità informale ed ufficiosa, l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. 25610/06, 19598/03, 11459/01)”. Nel caso di specie, osserva la Corte, “la CTR ha, perciò, tratto del tutto legittimamente, per le ragioni suesposte, elementi di convincimento dai brogliacci e dai quaderni della società, nonchè dall’altro documentazione extracontabile reperita dalla Guardia di Finanza, dalla quale poteva desumersi – come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente (v. p. 4 del ricorso) – che il T. negli anni 1994-1998 era stato uno dei principali collaboratori della M.G. s.r.l., e che al medesimo era stata corrisposta una rilevante parte degli incassi della società. A fronte di tali elementi – di innegabile rilevanza sul piano probatorio – l’odierno ricorrente non era, per contro, in grado di fornire, come si rileva dall’impugnata sentenza, alcun elemento di prova convincente, idoneo a giustificare la consistente situazione patrimoniale riscontrata in capo ai vari componenti della sua famiglia”.

  • Con la sentenza n.2890 del 7 febbraio 2013 la Corte di Cassazione, in assenza dell’annotazione in contabilità dell’acquisto di una azienda, ha legittimato l’accertamento induttivo utilizzato dall’ufficio. Nel caso di specie, il dato della regolarità formale della contabilità di impresa, ove sussistente, non è in ogni caso preclusivo dell’accertamento di genere induttivo, atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venir mai accertate se non per diversa risultanza documentale. “Inoltre, l’Amministrazione procedente aveva dedotto, nel merito, l’esistenza di gravi incongruenze e comunque presunzioni, aliunde desunte, dell’inattendibilità della contabilità nel suo complesso, quali l’omessa contabilizzazione dell’acquisto di un’azienda alimentare, l’utile lordo inferiore alla media del settore, l’esistenza di “ricavi extragestionali non contabilizzati”‘ (dato questo deducibile, per quanto emerge dal ricorso, dal raffronto tra la percentuale di ricarico dichiarata e quella risultante dalla fattura di acquisto di n. 157 prodotti, maggiore fornitore della (X))”.

  • Con la sentenza n. 15318 del 19 giugno 2013 (ud. 9 gennaio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di conti neri. Nell’accertamento delle imposte sui redditi, infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta.
    “Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. n. 24051 del 2011, n. 25610 del 2006)”.

  • Con l’ordinanza n. 27456 del 9 dicembre 2013 (ud. 28 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di una contabilità in “nero”. Nel caso specifico, l’accertamento si fondava su dei prospetti rinvenuti in sede di accesso, sui quali eranostati riportati dei dati significativi in ordine al maggior ricaricoapplicato al costo delle merci ed alle prestazioni. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita “da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta.
    Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011)”.

 

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12 novembre 2014

Roberta De Marchi