I vizi che possono invalidare un avviso di accertamento

il contenzioso tributario si basa sempre sui vizi che affliggono l’avviso emesso dal Fisco; prospettiamo le principali casistiche di vizio riscontrabili, partendo dai principi dello Statuto del contribuente in tema di motivazione ed arrivando alle particolarità degli ‘accertamenti esecutivi’

L’avviso di accertamento: aspetti generali

avviso di accertamento come difendersiL’avviso di accertamento è un atto dell’Amministrazione finanziaria (allo stato rappresentata, per i maggiori tributi erariali, dall’Agenzia delle Entrate a seguito della riforma amministrativa attuata con il D.Lgs. n. 300/1999), che a causa della sua suscettibilità a incidere sulla situazione giuridica dei cittadini,  ma anche in  quanto provvedimento amministrativo, deve possedere una serie di requisiti a pena di invalidità.

Una delle prime distinzioni che occorre fare al riguardo è quella tra procedimento di accertamento (che è un’attività della PA) e atto (avviso) di        accertamento,    che    per    l’appunto    è    un    atto    (provvedimento) amministrativo, emesso a seguito di tale procedimento e che deve essere necessariamente fondato in diritto, dal punto di vista motivazionale, e formato secondo quanto stabilito dalla normativa a fini di tutela sia delle ragioni erariali, sia dei diritti dei contribuenti.

In particolare, guardando al contenuto necessario dell’atto, si impone qualche chiarimento relativamente alle motivazioni dell’atto (che in punto fattuale e giuridico dovrebbero dare atto della situazione riscontrata e delle conseguenze previste dall’ordinamento), nonché relativamente alla sottoscrizione e alle sue possibili criticità.

Occorre inoltre evidenziare quali sono i nuovi requisiti introdotti in seno al c.d. accertamento esecutivo.

I requisiti dell’avviso di accertamento

Attraverso l’atto – o avviso – di accertamento (sostanzialmente le disposi- zioni IVA e IRAP di riferimento si allineano in materia a quelle valevoli per le imposte sui redditi – l’Agenzia delle Entrate in rettifica la dichiara- zione fiscale presentata dal contribuente o, nel caso di sua mancanza, ne ricostruisce d’ufficio la situazione reddituale.

Se non tempestivamente impugnato, l’avviso di accertamento diviene de- finitivo, oltre che direttamente esecutivo a seguito delle innovazioni inter- venute nel 2010.

L’art. 42 del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, ai fini delle imposte sui redditi, pre- scrive a pena di nullità che gli avvisi di accertamento e rettifica «portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sotto- scritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato», devono recare le seguenti indicazioni:

  • presupposti di fatto;
  • imponibile o imponibili accertati;
  • aliquote applicate e imposte liquidate, al lordo e al netto delle de- trazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta;
  • motivazione della pretesa e ragioni giuridiche che lo hanno determinato, in relazioni alle norme applicate, distintamente per i singoli redditi delle varie categorie, con la specifica indicazione «dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allega- to all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale»;
  • sottoscrizione

L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione e ad esso non è allegata la predetta documentazione.

L’art. 56 del D.P.R. n. 633/1972, ai fini IVA, impone che nelle rettifiche analitiche delle dichiarazioni, di cui all’art. 54 del citato D.P.R. n. 633/1972, notificati ai contribuenti

«devono essere indicati, specificata- mente, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indi- cazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori. Per le omissioni e le inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indi- cati i fatti certi che danno fondamento alla presunzione».

Gli avvisi relativi ad accertamenti induttivi devono contenere, oltre all’imponibile determinato, l’aliquota e le detrazioni applicate, anche le ragioni per le quali sono state ritenute applicabili le norme che li consentono.

Anche ai fini Iva, a pena di nullità,

«la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».

Si rinvia all’ultimo paragrafo del presente articolo per quanto attiene agli ulteriori requisiti introdotti in attuazione del c.d. accertamento esecutivo.

La motivazione è obbligatoria

L’obbligo di motivazione deve essere soddisfatto da ogni amministrazione pubblica nel momento in cui si accinge a incidere sugli interessi legittimi e sui diritti soggettivi dei cittadini; detto obbligo è tanto più stringente – in funzione di garanzia – quanto più vengono toccate posizioni giuridiche importanti, tutelate in modo «forte» dall’ordinamento.

In particolare, gli atti a contenuto impositivo – mediante i quali trova attuazione la fase dell’accertamento della pretesa tributaria – sono idonei a costituire un obbligo cogente in capo ai contribuenti (soprattutto dopo le recenti innovazioni in materia di immediata esecutività dell’atto).

In tale prospettiva, le risultanze della verifica fiscale effettuato dagli organismi di controllo (la G.d.F., ovvero l’amministrazione civile stessa) non possono in sé e per sé integrare la motivazione dell’atto, senza essere filtrati attraverso un vaglio logico-critico, in grado di esplicitare le ragioni in base alle quali l’ufficio accertatore le ha utilizzate o meno, e in quale misura.

La motivazione per relationem non è esclusa a priori: essa però deve consentire al contribuente di predisporre una adeguata difesa. Il criterio guida è che tale tipo di motivazione non deve porre il contribuente in una posizione più sfavorevole rispetto a chi riceva un avviso di accertamento motivato sul riscontro di atti ispettivi che lo hanno interessato direttamente1.

Tale forma di motivazione, in quanto consentita in modo condizionato, deve altresì coordinarsi con l’art. 7 dello Statuto del contribuente, che – affermando la necessità di una motivazione adeguata – richiama l’art. 3 della legge generale sul provvedimento amministrativo n. 241/1990.

Quando l’atto può essere motivato per relationem?

Secondo una costante linea giurisprudenziale, la funzione di informazione della motivazione deve intendersi rispettata anche nel caso della motivazione per relationem, quando questa rinvia ad un precedente processo verbale di constatazione, se tale atto è in possesso del contribuente ed è idoneo ad illustrare le ragioni della rettifica, in quanto descrive chiaramente tutti i passaggi logici che conducono all’accertamento e consente, pertanto, «l’esercizio del sindacato di legittimità»2.

La stessa Corte di Cassazione ha da tempo ammesso la possibilità di motivare l’atto di accertamento per relationem a un pvc della Guardia di Finanza o di altri organi verificatori.

Secondo i Supremi Giudici3, la legittimità della motivazione per relationem è riscontrabile in tutti quei casi in cui il pvc sia conoscibile, anche se in concreto non conosciuto dal destinatario dell’avviso per propria colpa (verbalizzazione del rifiuto di ricevere copia del pvc).

Tale pensiero risulta confermato in successive pronunce con le quali è stata ribadita la necessità dell’obbligo di notificazione del pvc, ai fini della validità della motivazione per relationem, per consentire al contribuente di esercitare pienamente il diritto di difesa4.

Per l’efficacia delle conclusioni espresse, si richiama la sentenza della Cassazione n. 11994 dell’8.8.2003 (18.11.2002) secondo cui

«in tema di avviso di accertamento, la motivazione per relationem non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza, ma è idonea (se i documenti richiamati siano allegati o conosciuti dal contribuente) ad indicare le ragioni di fatto e di diritto della pretesa impositiva: condividendo le argomentazioni e conclusioni della Guardia di Finanza, l’Ufficio realizza semplicemente una economia di scrittura, tale da non arrecare alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio con il contribuente ed ai diritti di difesa di quest’ultimo».

Proseguendo nell’esame della giurisprudenza della S.C., possono essere segnalate le seguenti pronunce.

1. Cassazione n. 14498 dell’11.10.2002
  1. secondo la cui massima

«l’accertamento compiuto nei confronti della società di persone è destinato a riverberare i suoi effetti sui soci, i quali, tuttavia, ove non abbiano preso parte (come nella specie) al giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale, promosso dalla sola società, possono impugnare – sono tenuti a farlo, qualora intendano contestarlo – l’accertamento del loro reddito personale,  facendo valere i propri diritti a prescindere dalle sorti dell’accertamento indirizzato alla società, e ancorché esso sia divenuto definitivo, esercitando il diritto di difesa a ciascuno di essi garantito dall’art. 24 della Costituzione.

L’atto di accertamento individuale emesso nei confronti del socio è, infatti, atto distinto, per cui su di esso non spiega effetti l’impugnazione dell’accertamento nei confronti della società, ove non sia effettuata anche dal socio».

La Corte ha accolto le doglianze dell’Amministrazione finanziaria in quanto

«l’atto di accertamento individuale emesso nei confronti dei soci è un atto autonomo che, per non diventare definitivo (in tutta la sua portata), deve essere impugnato nelle forme di legge, non essendo previsto da nessuna norma che la voce di reddito di partecipazione in esso contenuta resta sospesa solo perché la società ha impugnato l’accertamento effettuato nei suoi confronti».

Pertanto,

«i due atti di accertamento (quello emesso nei confronti della società e quello emesso nei confronti di un singolo socio, a titolo individuale e personale) sono distinti e separati, per cui l’impugnazione del primo, ove non effettuata anche dal socio, è ininfluente nel caso di mancata impugnazione dell’altro (da parte del socio)».

2. Cassazione n. 4271 del 24.3.2003

la quale ha affermato che il reddito accertato ai fini ILOR in capo alla società di persone non può far ritenere come accertato anche il reddito di partecipazione del socio ai fini IRPEF, che resta ancora suscettibile di autonoma impugnazione avverso la contestazione del relativo atto personale.

La controversia traeva origine da un avviso di accertamento ai fini IRPEF, notificato per il reddito di partecipazione in qualità di socio accomandante di una società in accomandita semplice, senza che l’ufficio notificasse gli accertamenti della società ai singoli soci. In pratica, gli avvisi personali si limitavano ad indicare, genericamente, che l’accertamento derivava dalla rettifica in capo alla società, senza ulteriore motivazione.

Il ricorso del contribuente veniva accolto sia in primo grado che nel secondo grado di giudizio e, avverso tale ultima sentenza, l’Amministrazione proponeva ricorso per Cassazione.

3. Cassazione n. 4271 del 23.3.2003

che non ha ritenuto fondato il ricorso dell’Amministrazione in quanto gli avvisi di accertamento notificati al socio erano

«nulli perché non motivati, se non in modo soltanto apparente: a questo fine appare decisiva ed insuperabile la considerazione che gli avvisi di accertamento notificati al socio dovevano contenere indicazioni concrete che spiegassero le ragioni per cui l’ufficio aveva ritenuto che sussistesse quel certo reddito in capo alla società, e perciò pro-quota anche in capo al socio e che non era sufficiente l’indicazione dell’entità del reddito accertato alla società».

L’avviso al compartecipe, in pratica, riportava

soltanto la circostanza che era stato effettuato un accertamento a carico della società di cui il contribuente era socio accomandante e l’indicazione dell’entità del reddito così accertato, mentre mancava completamente una motivazione di merito».

Secondo un indirizzo più recente,

«in tema di accertamento dell’IVA, è legittimo l’avviso di rettifica motivato per relationem a un processo verbale di constatazione riferito a documenti rinvenuti presso terzi e resi conoscibili al contribuente, mediante l’allegazione del relativo prospetto riepilogativo»,

alla luce dei principi di economicità ed efficienza dell’attività amministrativa, nonché delle norme specifiche che regolano l’istruttoria e la motivazione degli atti impositivi, consentendo all’amministrazione di avvalersi delle attività di altri organi (Cass., sez. Tributaria, 11.6.2009, n. 13486).

I rapporti tra lo Statuto e la legge sul provvedimento

Una pronuncia particolarmente illuminante per circoscrivere la portata della norma dell’art. 7 dello Statuto, laddove viene «riecheggiato» l’art. 3 della L. n. 241/1990 in materia di motivazione, è la sentenza della sezione Tributaria 15.2.2008, n. 3896 (ripresa anche dalla successiva sentenza 13.5.2009, n. 10961), secondo la quale

«in materia tributaria la motivazione ob relationem comporta l’allegazione dell’atto richiamato e non soltanto, come accade in via generale, la sua indicazione e la sua accessibilità».

La pronuncia si spinge poi a commentare le disposizioni del legislatore delegato (del D.Lgs. n. 32/2001), laddove questo ha previsto la possibilità

– in luogo dell’allegazione dell’atto – di indicarne il contenuto essenziale, osservando che la parola «contenuto» non deve essere intesa nel suo significato tecnico giuridico,

«perché, se così fosse, l’autorità tributaria non potrebbe raggiungere lo scopo che il legislatore le impone di perseguire. Infatti, se la motivazione per relationem ha per scopo l’economia dell’azione amministrativa realizzata attraverso l’impiego di una motivazione di un’altra, e precedente, dichiarazione, ciò che dev’essere riprodotto nella decisione amministrativa tributaria non è il contenuto essenziale di un’altra dichiarazione, ma tutte quelle parti della dichiarazione richiamata che sono necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto della decisione adottata».

Per quanto è stato affermato dalla Cassazione:

  1. «se è necessario, si devono riprodurre, non solo il contenuto in senso tecnico, ma anche quelle parti che riguardano l’oggetto e i destinatari della dichiarazione richiamata e l’oggetto, i destinatari e il contenuto, statico e dinamico, della motivazione della dichiarazione richiamata»;
  2. potrebbe tuttavia non rispondere al criterio dell’economicità dell’azione amministrativa richiamare indiscriminatamente tutto l’atto, anziché le sue parti rilevanti: «l’autorità decidente deve, invero, guardarsi bene dal richiamare nella sua interezza un determinato atto, perché, se esso fosse eccedente rispetto alla decisione e la sua dimensione e la sua articolazione fossero tali da impedire alla motivazione, anche per relationem, di svolgere la sua funzione garantistica di pubblicità dell’azione amministrativa a favore del destinatario, l’allegazione dell’atto richiamato non salverebbe la decisione dall’invalidità derivante da quella che paradossalmente potrebbe chiamarsi “insufficienza di motivazione per eccesso di motivazione”».

«Essenziale», insomma, vuol dire «rilevante», nel senso di «necessario e sufficiente», e deve quindi essere evitata una scelta di allegazione integrale (o comunque eccedente rispetto allo scopo), che richieda «una guida alla lettura dell’atto richiamato» (anche se, seguendo la logica della Corte, dovrebbe ritenersi ammissibile una allegazione

«esorbitante», rispetto alla quale l’amministrazione abbia fornito – al contribuente e ai giudici – una «mappa» idonea a rintracciare gli elementi essenziali).

In definitiva, secondo la Corte, «se la motivazione del provvedimento amministrativo d’imposizione tributaria è redatta con rinvio ad un’altra dichiarazione amministrativa:

  1. questa dev’essere allegata, oppure
  2. della dichiarazione richiamata e non allegata si devono riprodurre gli elementi – oggetto, contenuto e destinatari – necessari e sufficienti per la motivazione del provvedimento rinviante».

La sottoscrizione dell’accertamento

La sottoscrizione dell’avviso di accertamento o rettifica è stata esaminata soprattutto in relazione alla questione dell’istituto della delega di firma, che consente appunto di apporre la sottoscrizione a soggetti che, pur non essendo i titolari dell’organo amministrativo, sono tuttavia formalmente delegati da quest’ultimo.

Secondo l’art. 10, primo comma, dello Statuto del contribuente, la delega di firma deve essere esplicitata attraverso l’atto di accertamento, con l’ob- bligo di confermarne, nello stesso atto, la validità.

Il medesimo Statuto (artt. 5, secondo comma e 7, primo comma) richiede di portare a conoscenza il contribuente con tempestività l’attribuzione della delega, la quale dovrebbe essere motivata contenendo i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la volontà dell’Am- ministrazione finanziaria.

La delega di firma non può essere generale e permanente, ma rilasciata di volta in volta per incarichi specifici.

L’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 ha previsto la delega per le ipotesi di as- senza o impedimento del titolare, in conformità a quanto disposto dal- l’art. 3, comma 129, della L. n. 662/1996, in ordine alle reggenza degli uf- fici dirigenziali.

L’art. 2, primo comma, della L. 15.7.2002, n. 145, ha quindi aggiunto il comma 1-bis all’art. 17 del D.Lgs. 30.3.2001, n. 165/2001 (TU del pubbli- co impiego), in materia di funzioni dei dirigenti, che consente la delega, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, in ordine alla gestione degli uffi- ci.

La delega – negozio unilaterale che si perfeziona con la manifestazione di volontà del delegante, senza che occorra il consenso del destinatario, è in generale ammessa solamente nei casi in cui la legge ne conferisca la pote- stà all’autorità dotata della competenza primaria5.

La delega di firma non implica una delegazione fra organi, bensì una so- stituzione nell’attività di sottoscrizione nell’ambito dello stesso ufficio.

La possibilità di subdelega viene esclusa in ragione del carattere personale e fiduciario del potere rappresentativo.

Come visto sopra, l’accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di un altro impiegato della carriera direttiva da lui dele- gato.

La medesima condizione è prescritta anche con riferimento all’accerta- mento con adesione in forza dell’art. 7, primo comma, del D.Lgs. n. 218/1998.

Secondo quanto è stato puntualizzato dalla Corte di Cassazione nella sen- tenza n. 14195 del 27.10.2000, gli accertamenti devono considerarsi nulli se non sottoscritti dal capo dell’ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva6 (addetto a detto ufficio) validamente delegato.

Gli incaricati di funzioni dirigenziali

Allo stato, a causa della carenza del personale che, secondo le disposizioni sull’ordinamento del personale della PA, possa definirsi dirigente – in quanto vincitore di specifico concorso -, l’Agenzia delle Entrate, così come le altre Agenzie fiscali, si avvale della possibilità di nominare (in via transitoria) propri funzionari di terza area quali incaricati di funzioni dirigenziali.

Tale possibilità è prevista dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia stessa.

Sulla questione si è formato un contenzioso che ha condotto dapprima alla sentenza del Tar del Lazio n. 6884/2011 – che aveva ritenuto le circa 800 posizioni dirigenziali ricoperte da funzionari di terza area -, e quindi alla sospensione da parte del Consiglio di Stato (appellato dall’Agenzia delle Entrate), il quale con ordinanza 5619 del 26.11.2013 ha rinviato alla Corte Costituzionale il giudizio sull’art. 8, comma 24 del D.L. n. 16/20127. Tale disposizione normativa era intervenuta in corso di contenzioso amministrativo per fare salvi gli incarichi dirigenziali già attribuiti.

Ancorché la sorte degli incarichi dirigenziali appaia sospesa alle decisioni della Consulta sulla normativa del 2012, in attesa dell’esito di una nuova procedura concorsuale per l’accesso alla dirigenza dell’Agenzia (bandita nel 2014), si ritiene che gli atti già formati e sottoscritti rimangano in ogni caso salvi da eventuali (adombrati) rischi di invalidità.

A tale riguardo l’Agenzia, nel rispondere a un’interrogazione parlamentare, ha puntualizzato che gli atti impositivi devono essere sottoscritti dal «capo dell’ufficio» o da un funzionario appartenente alla carriera direttiva da questi delegato.

Nessun riferimento è fatto dalla norma riguardo alla qualifica che il capo dell’ufficio deve possedere secondo l’ordinamento del personale della PA e della stessa Agenzia delle Entrate: trattasi, peraltro, di disposizioni normative assai precedenti rispetto alla stessa enucleazione di una distinta carriera dirigenziale nelle Amministrazioni pubbliche.

A tale riguardo va anche rammentato che, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, l’annullamento giurisdizionale dell’atto di nomina di un funzionario non travolge, in linea di principio, gli atti da  questo adottati nell’esercizio della sua funzione e riguardanti soggetti diversi da quelli che hanno impugnato l’atto di nomina8.

L’accertamento immediatamente esecutivo

Per quanto disposto dall’art. 29 del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla

  1. 30.7.2010, n. 122, («Concentrazione della riscossione nell’accertamento»), con decorrenza dal 1° luglio 2011 (data successivamente portata al 1° ottobre dello stesso anno dal D.L. n. 70/2011) l’avviso di accertamento ha assunto la veste di titolo esecutivo al momento della notifica al contribuente.

Ciò significa che, per i rilievi degli uffici relativi ai periodi dal 2007 in poi, l’atto impositivo deve contenere già l’obbligo di corrispondere l’importo indicato.

Ciò ha comportato, ai fini che qui interessano (cioè per la verifica dei requisiti che l’atto deve possedere per non incorrere in ipotesi di invalidità) la necessità di aggiornare e integrare il contenuto obbligatorio dell’avviso di accertamento. Il termine entro cui occorre provvedere al pagamento degli importi richiesti a titolo di imposta, sanzioni e interessi è quello per la presentazione del ricorso, cioè gli ordinari 60 giorni, fatto salvo però il caso in cui venisse presentata istanza di adesione (in tale situazione, il termine rimane sospeso per ulteriori 90 giorni).

L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate (cioè la direzione provinciale o regionale – nel caso di soggetti di grandi dimensioni – territorialmente competente) deve chiedere all’agente della riscossione (ADR), attraverso l’iscrizione a ruolo, di incassare il proprio credito, e quest’ultimo si rivale sul contribuente mediante la cartella di pagamento.

Con il decorso di 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, come sopra individuato, se il contribuente non paga l’ufficio acquista titolo per delegare l’agente della riscossione a procedere.

In presenza di ricorso alla CTP, la richiesta corrispondeva alla metà delle imposte pretese; in presenza però di un pericolo per la riscossione, può essere richiesto l’importo integrale, con la possibilità per il concessionario di procedere a esecuzione forzata sulla base dell’avviso di accertamento.

Per effetto delle modifiche apportate all’art. 15 dall’art. 7 del D.L. 13.5.2011, n. 70, convertito dalla L. 12.7.2011, n. 106, le imposte, i contributi e i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per 1/3 (e non più per metà) degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.

Il contenuto dell’avviso di accertamento esecutivo

A pena di nullità, l’avviso di accertamento notificato al contribuente deve contenere:

  • l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati
  • l’indicazione delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei cre- diti d’imposta
  • i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato

A seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, l’atto deve altresì contenere:

  • l’intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all’obbligo di versamento delle somme richieste
  • l’indicazione degli importi da pagare a titolo provvisorio in caso di proposizione del ricorso, secondo quanto stabilito dall’art. 15 del
    D.P.R. n. 602/1973
  • l’avvertimento che, decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il paga- mento, la riscossione delle somme richieste – in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo – sarà affidata ad Equitalia, ai fini dell’esecuzione forzata

Nel nuovo contesto normativo, la riscossione, quindi, deve avvenire secondo la sequenza procedimentale:

  • avviso di accertamento
  • affidamento del credito all’agente della riscossione
  • eventuale intimazione ad adempiere
  • pignoramento

Poiché l’atto impositivo acquisisce il carattere dell’esecutività, il contri- buente può evitare il rischio dell’esecuzione forzata solamente procedendo al pagamento (senza che si renda necessaria alcuna cartella esattoriale).

Poiché l’atto impositivo acquisisce il carattere dell’esecutività, il contri- buente può evitare il rischio dell’esecuzione forzata solamente procedendo al pagamento (senza che si renda necessaria alcuna cartella esattoriale).

  • affidamento del credito ad Equitalia con modalità determinate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate (se l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate dispone di ulteriori elementi utili ai fini dell’efficacia della riscossione, li fornirà al momento dell’affidamento)
  • sulla base del titolo esecutivo (che è costituito dall’avviso di accertamento) l’agen- te della riscossione – senza la preventiva notifica della cartella – procede con l’espropriazione forzata, ai sensi del D.P.R. n. 602/1973 (l’espropriazione, in ogni caso, dovrà essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo)

L’art. 29 co. 1 lett. a), del D.L. n. 78/2010, prevede che l’intimazione ad adempiere al pagamento è altresì contenuta nei successivi atti da notifica- re al contribuente, anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

Ciò avviene in tutti i casi in cui siano stati rideterminati gli importi dovuti in base agli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’I- VA (mancato pagamento anche di una sola delle rate dovute a seguito di accertamento con adesione; pagamento del tributo in pendenza di processo; esecuzione delle sanzioni amministrative).

In tali ipotesi, il versamento delle somme deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento della raccomandata.

6 ottobre 2014

Fabio Carrirolo

NOTE

1 Cfr. Cass., sezione Tributaria, n. 2268 del 6.2.2004.

2 Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 9.1.1973, n. 1.

3 Cfr. Cass., sez. I, 17.5.1990, n. 4290.

4 Si veda a tale riguardo anche la sentenza della Corte di Cassazione, Sez.trib., n. 12394 del 21 febbraio-22 agosto 2002, che ha ritenuto valida la doppia motivazione per relationem se è possibile individuare la pretesa tributaria.

5 Cfr. Cerulli Irelli, Principi del diritto amministrativo. In giurisprudenza, sul punto specifico, cfr. Cass. sent, n. 7672 del 5 agosto 1998.

6 Nell’attuale ordinamento dell’Agenzia delle Entrate, il riferimento alla «carriera direttiva» potrebbe intendersi rivolto all’intera area dei funzionari (terza area del vigente CCNL delle Agenzie fiscali).

7 Secondo il citato art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia, per inderogabili esigenze di funzionamento, le vacanze nella titolarità degli uffici possono essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, e ciò fino all’esperimento delle procedure (concorsi) di accesso alla dirigenza.

8 Cfr. sentenza TAR Lazio n. 1379 del 14.2.2011 e sentenza Consiglio di Stato n. 992 del 10 marzo 2005.

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