Gonfiare le schede carburante è frode fiscale

costituisce reato fiscale gonfiare o comunque falsificare le schede carburante per ridurre il carico fiscale indicando rifornimenti mai effettuati

Con la sentenza n. 18698 del 6 maggio 2014 la III Sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato che costituisce reato gonfiare o comunque falsificare le schede carburanti (nel caso di specie, il contribuente si è avvalso di schede-carburante per rifornimenti mai effettuati).

La difesa dell’imputato

Il contribuente spiega la discrasia rappresentata dalla diversità di date tra le ricevute ed i giorni di rifornimento nei quali la pompa di benzina era chiusa con il fatto che quando il distributore funzionava solo con il self-service, i suoi autisti andavano ugualmente a rifornirsi e, successivamente (quindi anche in data diversa) gli portavano la ricevuta del distributore automatico avendo in cambio la scheda-benzina che, quindi, recava una data diversa rispetto a quella dell’effettivo rifornimento.

La sentenza

Per la Corte, “a prescindere dal rilievo che, come è evidente, la prova di quanto asserito è nelle parole dello steso imputato cui, quindi, si dovrebbe credere per il solo fatto che sia lui ad asserirlo, è, comunque, un fatto che, proprio dal testo delle dichiarazioni del teste V. (riportate a f. 20 del ricorso) si evince, invece, che V. ha sostenuto il contrario e che la emissione della scheda recava ugualmente la data della ricevuta dell’automatico”.

Si ripropone, quindi, quel contrasto di versioni tra la difesa del ricorrente e le affermazioni del titolare del distributore di benzina “che i giudici di merito, avuto riguardo anche a tutte le altre emergenze (acquisizioni documentali, dichiarazioni degli operanti e di altri testi) hanno risolto annettendo credibilità al V. ed affermando la responsabilità dell’odierno ricorrente”.

In particolare, osserva la Corte, “ i giudici di merito hanno dato risalto ai riscontri incrociati eseguiti dalla G.d.F. a seguito dell’esame delle schede carburante relative al rifornimento eseguito presso il distributore di V.V. , delle schede dei mezzi in riparazione ed alle deposizioni del maresciallo R.G. ed a quelle del titolare del distributore V.V.. Ne è emerso che ‘gran parte dei prelievi indicati nelle schede era avvenuta durante i giorni di chiusura dell’impianto di distribuzione’ e che ‘in alcuni giorni indicati sulle schede per il rifornimento di specifici automezzi, tali automezzi, ivi menzionati, si trovavano in realtà in riparazione presso officine e pertanto non potevano avere effettuato rifornimenti’”.

Viene poi posto in risalto, come fatto dalla corte d’appello, che a supporto della impostazione accusatoria opera anche la circostanza che “tutti i pagamenti per i prelievi di carburante – anche per importi notevoli – risulterebbero avvenuti in contante”.

Inoltre, osserva la Corte, in punto di diritto, che è sicuramente suggestiva ma infondata la questione giuridica che il ricorrente pone invocando l’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 3 d.lgs n. 74/2000 (invece di quella dell’art. 2, contestatagli) e, quindi, una declaratoria di non punibilità per mancato superamento delle soglie lì previste.

Al contrario, “come molto bene chiarito da questa S.C. anche di recente, (sez. III 10.11.11, Adtorio, n. 46785, rv. 2516121) il reato di cui all’art. 2 può essere commesso da qualsiasi soggetto obbligato alle dichiarazioni dei redditi o IVA”.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 2, infatti, il reato “si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti … sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.

Inoltre, sempre nella citata pronunzia ed in altre in termini (sez. III, 9.2.11 n. 9673, chen, rv. 249613; sez. III, 7.2.07 n. 12284, Argento, rv. 236812), è stato sottolineato come l’elemento differenziale tra l’ipotesi delittuosa dell’art. 2 e quella dell’art. 3 non sia costituito dal tipo di falsificazione posta in essere (se materiale o ideologica) bensì dalla natura del documento usato per commettere la frode fiscale e, più precisamente, dalla sua efficacia probatoria, vale a dire il carattere più o meno subdolo del mezzo adoperato. Specificando meglio: ai fini dell’art. 2, deve trattarsi di “fatture o altri documenti ad esse equiparati” il cui valore probatorio discende dalla “apparente affidabilità della documentazione contabile corrispondente allo schema normativo, cui la legge collega determinate conseguenze in materia fiscale” (sez. III 10.11.11, cit.), invece, come già si evidenziava in precedenza, per la ricorrenza dell’art. 3, occorrono solo “una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie” ed il fatto di avvalersi “di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento”.

Brevi note

La sentenza che si annota riconosce il reato di dichiarazione fraudolenta nell’ipotesi di schede carburanti gonfiate.

Nel caso specifico occorre ammettere che gli indizi proposti dai verbalizzanti erano veramente pesanti.

La Corte, quindi, conferma l’esistenza del reato di dichiarazione fraudolenta per annotazioni di operazioni inesistenti.

Ricordiamo che con sentenza n. 3947 del 18 febbraio 2011 (ud. del 21 ottobre 2010), la Corte di Cassazione, occupandosi, fra l’altro, delle modalità di compilazione delle schede per carburanti, ha riconosciuto legittimo il rilievo relativo al recupero dei costi di carburante, le cui schede erano prive dati identificativi dell’automezzo, del numero dei km percorsi afine mese e del numero dei km finali rilevabili dal contachilometri. L’adempimento a tal fine disposto non ammette “equipollente alcuno, ed indipendentemente dalla contabilizzazione dell’operazione delle scritture dell’impresa” (cfr., altresì, Cass. trib., 5 novembre 2008 n. 26539).

E’ altresì necessaria (sentenza 19 ottobre 2007 n. 21941) l’apposizione della firma sulla scheda da parte l’esercente l’impianto di distribuzione, perchè la stessa, “avendo una funzione, definita dallo stesso legislatore, di ‘convalida del rifornimento’, costituisce elemento essenziale senza del quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge“.

La natura “essenziale” di tutti gli elementi richiesti nella normativa affinchè ogni scheda carburanti possa “assolvere alla finalità prevista dalla legge” (ovverosia rappresentare un costo deducibile, allo stesso modo e con gli stessi effetti di una fattura) viene, quindi, ribadita essendo evidente la finalità antielusiva perseguita dal legislatore, nel senso (rilevante anche nella fattispecie) di consentire sempre una pronta verifica documentale sia della riferibilità (con l’indicazione della targa o, “per quelli per loro natura privi di targa perchè non destinati alla circolazione stradale (carrelli e macchine operataci, di cui al T.U. circ. strad. approvato con D.P.R. n. 393 del 1959, artt. 30 e 31)“, con la “individuazione del veicolo mediante annotazione del numero di matricola apposto dalla casa costruttrice (v. rispettivamente CM 39/362701 del 13.7.1977 e R.M. 363799 del 19.12.1977, entrambe della Dir. Gen. Tasse)” – cfr., Cass. n. 21769/2005, cit.) del costo ad un automezzo di pertinenza del contribuente, anche quanto ai quantitativi di carburante che si assumono acquistati in riferimento al concreto consumo di ogni automezzo, intuitivamente verificabile solo in base all’annotazione dei chilometri di percorrenza.

Ricordiamo, ancora, che con sentenza n. 21769 del 16 giugno 2005 (dep. il 9 novembre 2005) la Corte di Cassazione aveva ancora subordinato la deduzione delle spese per il carburante utilizzato dagli autoveicoli aziendali alla annotazione dei rifornimenti sulla scheda mensile prevista dal D. M. 7 giugno 1977, contenente gli estremi identificativi dei mezzi, tra i quali è essenziale l’indicazione del numero di targa.

Successivamente, con sentenza n. 21941 del 4 luglio 2007, dep. il 19 ottobre 2007, la Corte di Cassazione ha ribadito che gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali da parte di soggetti tenuti al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto debbono essere documentati attraverso un’apposita annotazione sulla scheda di cui ogni veicolo deve essere munito e tale annotazione deve essere convalidata attraverso la sottoscrizione apposta, all’atto di ogni rifornimento, dall’addetto alla distribuzione. La sottoscrizione costituisce poi elemento essenziale, senza del quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge, e quindi legittimare la detrazione dell’Iva assolta sull’acquisto di carburante. Inoltre, “l’addetto alla distribuzione di carburante indica nella scheda di cui all’articolo 2 all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto, nonché, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso”.

Ed ancora con sentenza n. 7272 del 26 marzo 2009 (ud. del 20 febbraio 2009) la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’inattendibilità delle schede carburante gonfiate produce, di fatto, l’inattendibilità della contabilità.

E da ultimo, con la sentenza n. 912 del 13 gennaio 2012 (ud. 1 dicembre 2011) la Corte di Cassazione Penale, Sez. III, si è occupata della sussistenza del reato di cui all’art. 2, del D.Lgs. n. 74/2000, concretatosinell’utilizzazione, al fine di evadere le imposte sui redditi ed il valoreaggiunto, di fatture e documenti per operazioni inesistenti o comunqueaumentate nell’importo (nel caso specifico, schede carburanti) e la conseguente indicazione, nella dichiarazionedei redditi e nelle dichiarazioni annuali relativeall’imposta sul valore aggiunto, di elementi passivi fittizi. La Corte rileva, innanzitutto, che la sentenza impugnata, mediante un legittimo richiamo per relationem alla decisione di primo grado, i cui contenuti ha fatto propri, ha chiaramente indicato gli incontestabili dati fattuali sui quali il giudice di prime cure è pervenuto all’affermazione di penale responsabilità nei confronti del ricorrente. “Si tratta, contrariamente a quanto indicato in ricorso, di dati obiettivi acquisiti attraverso ‘controlli incrociati’ della documentazione fiscale e non di mere presunzioni del personale di polizia giudiziaria operante. Evidenziano infatti i giudici del gravame che detti accertamenti avevano permesso di accertare che gran parte della documentazione utilizzata per giustificare l’esistenza di costi portati in deduzione e relativi ad acquisto di carburanti era risultata falsa. In particolare, specificava la Corte territoriale, nelle ‘schede carburante’ non risultavano riportati i chilometri percorsi con la vettura che il ricorrente aveva venduto, ostacolando ogni possibile verifica; l’esame documentale attestava la percorrenza di 1,73 chilometri per litro di gasolio, mentre il consumo medio dichiarato dalla casa costruttrice della vettura era di 15,60 chilometri per litro; i tre soci dell’impianto di distribuzione carburante ed unici gestori dello stesso avevano disconosciuto le sigle e firme apposte sulle schede e la calligrafia con la quale erano stati indicati gli altri dati obbligatori; la documentazione riportava rifornimenti effettuati in date nelle quali l’impianto di distribuzione, privo di erogatori ‘selfservice’, era invece chiuso”. Quindi, conclude la sentenza, emerge chiaramente la presenza “di dati incontrovertibili che i giudici del gravame hanno correttamente valutato anche con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, certamente inquadrabile nell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, stante l’oggettiva ed accertata inesistenza delle operazioni documentate e non anche nella residuale ipotesi di cui all’art. 3, applicabile fuori dei casi previsti dal menzionato art. 2”.

9 giugno 2014

Roberta De Marchi