la Legge di stabilità ha apportato alcune novità alla tassazione IRPEF degli sportivi professionisti: le novità in tema di rapporti con gli agenti e premi partita
L’attività dell’atleta professionista può rientrare tra le fattispecie di lavoro dipendente o di lavoro autonomo, a seconda delle caratteristiche che la prestazione assume. In particolare, costituisce oggetto di contratto di lavoro autonomo (secondo quanto previsto dall’art. 3, c. 2, della legge n. 91 del 1981), l’assenza di vincolo alla frequenza di sedute di preparazione od allenamento, lo svolgimento dell’attività nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo, nonché una durata della prestazione non superiore a otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni ogni anno.
Qualora l’atleta abbia un rapporto di lavoro subordinato, il trattamento fiscale dei proventi è disciplinato dagli articoli da 49 a 52 del TUIR, in virtù dei quali deve essere assoggettato a tassazione tutto il reddito percepito dall’atleta, sia esso in denaro che in natura (c.d. fringe benefits). Nello sport professionistico, è ora considerata fringe benefit, una quota parte dell’importo corrisposto dalle società sportive al procuratore dell’atleta professionista per l’assistenza da questi prestata per l’ingaggio del proprio assistito. Sul punto, si rammenta che, in merito al corretto trattamento impositivo di detti importi, si è assistito, in passato, ad un acceso contenzioso tra le società sportive professionistiche e l’Erario: i rilievi mossi dagli uffici dell’Amministrazione Finanziaria, negli ultimi anni, sono stati, infatti, di due tipi. Un primo rilievo contestava che il 50% delle somme pagate ai procuratori fosse in realtà un fringe benefit (e quindi dovesse andare nella busta paga dell’atleta con l’aliquota Irpef massima da applicare). Un secondo rilievo, invece, era quello di sostenere che la società potesse dedurre solo il 50% (e non il 100%) del costo sostenuto presumendosi, in capo alla società, anche l’accollo delle spese di intermediazione che sarebbero state, invece, di competenza dell’atleta. In altre parole, l’intento dell’Amministrazione Finanziaria era sostanzialmente quello di evitare che, pagando una quota dell’ingaggio pattuito con l’atleta (non direttamente a quest’ultimo sotto forma di stipendio), ma come corrispettivo al suo procuratore, la società potesse risparmiare una quota supplementare di imposte da trattenere nel “cedolino paga” dell’atleta professionista.
A fare chiarezza sul corretto regime impositivo di tali somme è intervenuta la Legge di Stabilità 2014 (Legge 27.12.2013, n.147) stabilendo che il 15% dei compensi versati dai club agli agenti dei atleti professionisti rappresenta una parte dello stipendio dell’atleta. Nello specifico, mediante l’inserimento del co. 4 bis nell’art. 51 del TUIR, è ora previsto che: “ai fini della determinazione dei valori di cui al comma 1, per gli atleti professionisti si considera altresì il costo dell’attività di assistenza sostenuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto le prestazioni sportive degli atleti professionisti medesimi, nella misura del 15 per cento, al netto delle somme versate dall’atleta professionista ai propri agenti per l’attività di assistenza nelle medesime trattative“. Pertanto, per un compenso pagato dal club ad un procuratore di € 200.000 (senza che l’atleta abbia versato alcunché al proprio agente per l’attività prestata), la società che ha elargito detto compenso, per poter continuare a dedurre il 100% di tali somme, dovrà tassare nel cedolino paga dell’atleta, a titolo di fringe benefit, la somma di € 30.000 ( € 200.000*15%).
Sempre in materia di fringe benefit, un discorso particolare deve essere effettuato con riferimento ai beni assegnati agli atleti in virtù di contratti con gli sponsor, quali le divise ufficiali del club di appartenenza fornite da case di moda, gli autoveicoli forniti da case automobilistiche da utilizzare per raggiungere il centro sportivo o il luogo della manifestazione sportiva, gli accessori da indossare o da esibire durante le occasioni ufficiali. Secondo quanto chiarito dalla recente circolare 37/E del 20 dicembre 2013 il valore di tali beni rientra tra i redditi da lavoro dipendente, a meno che non sia contrattualmente previsto l’obbligo di utilizzo e di restituzione degli stessi. In caso di mancata restituzione del bene, il valore normale dello stesso sarà assoggettato a tassazione. Ad ogni modo, non rientrano, nel computo del reddito di lavoro dipendente, ma devono essere ritenuti comunque imponibili alcuni proventi quali, ad esempio, i premi e le erogazioni in natura corrisposti da altri enti. E’ il caso tipico dei c.d. “premi partita” dell’ambiente calcistico, i quali sono corrisposti in connessione al raggiungimento di un certo risultato sportivo. Tali proventi non rientrano nel reddito da lavoro dipendente, posto che non afferiscono al rapporto di lavoro con la società sportiva di appartenenza: tali redditi devono essere inquadrati, invece, nell’ambito del lavoro autonomo con applicazione della ritenuta prevista per i relativi redditi.
28 febbraio 2014
Sandro Cerato