Accertamento parziale: il Fisco è sempre libero di agire?

l’accertamento parziale è emesso dall’ufficio senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, in quanto privo di una valutazione complessiva della posizione del contribuente e basato su informazioni precise e certe, raccolte presso soggetti terzi: bastano tali presunzioni per accertare?

Con la sentenza n. 23729 del 21 ottobre 2013 (ud. 17 dicembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’utilizzazione dello strumento dell’accertamento parziale, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, è nella disponibilità degli uffici quando ad essi pervenga una segnalazione della Guardia di finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba (neppure prima delle modificazioni apportate dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311) essere subordinato ad una particolare semplicità della segnalazione pervenuta (Cass. 11057/2006; v. anche Cass. 2761/09) e potendo, quindi, lo stesso essere utilizzato (come nel caso di specie) anche in seguito a verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza”.

 

Nota

L’accertamento parziale, previsto dagli artt. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972, è emesso dall’ufficio senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice, in quanto privo di una valutazione complessiva della posizione del contribuente e basato s informazioni precise e certe, accolte presso soggetti terzi.

La procedura di controllo è stata inizialmente utilizzata dagli uffici finanziari per accertare determinati tipi di reddito (redditi fondiari, redditi di capitale, per esempio).

In pratica, l’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973, ai fini delle imposte sui redditi, e l’art. 54, c. 4, del D.P.R. n. 633/72, ai fini Iva, prevedevano l’utilizzo dello strumento, senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti, in presenza di segnalazioni effettuate dal Centro informativo, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria.

Nel corso degli ultimi anni l’Amministrazione finanziaria ha ampliato, progressivamente, il raggio d’azione.

La prima posizione dell’amministrazione finanziaria risale al 1997, in particolare alla circolare n. 235/E dell’8 agosto 1997, secondo cui “per gli elementi fiscalmente rilevanti evidenziati nei processi verbali conseguenti a verifiche generali della Guardia di finanza può essere utilizzato lo strumento dell’accertamento parziale di cui agli artt.41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, co. 5, del D.P.R. n. 633/1972“, facendo salva, naturalmente, la possibilità e l’opportunità di ricorrere agli ordinari strumenti di accertamento generale “nelle ipotesi in cui risulti evidente la necessità per l’ufficio di svolgere un’ulteriore, autonoma, attività istruttoria“.

Lo stesso documento di prassi ha ritenuto che l’ampliamento delle fonti di provenienza delle segnalazioni poste a fondamento dell’avviso di accertamento parziale e del loro contenuto, evidenziano come le differenze tra l’accertamento generale e quello parziale non siano più da ricercare nel contenuto proprio degli elementi comunicati all’ufficio tributario, ma nella provenienza esterna degli elementi medesimi rispetto all’ufficio e dalla loro immediata utilizzabilità e il termine segnalazioni, secondo i principi generali previsti dall’art.12 delle disp. prel. alle leggi, non può che riferirsi a ogni tipo di elemento dato o notizia comunicato all’ufficio, qualunque sia la forma documentale utilizzata (verifica generale o parziale, comunicazione epistolare…).

Agli uffici, quindi, il compito di trasfondere gli elementi immediatamente utilizzabili che risultano da ogni tipo di segnalazione proveniente dalla Guardia di finanza (inclusi i verbali di constatazione redatti a seguito di verifica generale) in avvisi di accertamento parziale, demandando ad un momento successivo un’eventuale più approfondita e complessiva valutazione della posizione del contribuente, sulla base degli elementi istruttori autonomamente acquisibili.

La giurisprudenza, però, non ha mostrato di condividere l’indirizzo interpretativo assunto, e le critiche piovute da più parti hanno indotto l’Agenzia delle Entrate a riaffrontare la questione con la C.M. n. 65 del 28.6.2001, affermando che “l’ufficio è tenuto a svolgere, in sede istruttoria della posizione fiscale, un esame circostanziato dei complessivi elementi in suo possesso al fine di verificare l’effettiva legittimità dei presupposti impositivi, non rinviando tout court tale disamina alla fase del contraddittorio con il contribuente anche in relazione a poste di recupero per le quali non sussiste un ragionevole convincimento di fondatezza sulla base delle stesse risultanza istruttorie “, in quanto il successivo contraddittorio, in via di principio, si deve tenere su “ nuovi elementi di valutazione rispetto a quelli già conosciuti e quindi valutabili dall’ufficio in dipendenza dell’attività istruttoria svolta“.

La circolare prosegue precisando che l’ulteriore attività istruttoria si rende necessaria ed opportuna, nei casi di dubbia fondatezza della pretesa tributaria, fermo restando che eventuali rilievi, privi di fondatezza, non devono pertanto costituire oggetto di contraddittorio .

La Finanziaria 2005 (legge n. 311/2004), ha apportato delle sostanziali modifiche all’impianto normativo, disponendo che l’utilizzabilità degli elementi che provengono “dagli accessi, ispezioni e verifiche nonché dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali“ (i.e. verifiche delle Dogane, per esempio). L’impiego dello strumento parziale, inoltre, è stato esteso alle ipotesi in cui dalle segnalazioni emerga, ai fini delle imposte sui redditi, “l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36-bis e 36-ter“ e ai fini Iva “l’esistenza di imposta” ovvero “ l’imposta o la maggiore imposta non versata, escluse le ipotesi di cui all’art.54-bis”.

Da ultimo, con il precipuo intento di rafforzare le attività di controllo fiscale, l’art. 1, c. 17, della legge n. 220 del 13 dicembre 2010, è intervenuto sull’art. 41-bis del D.P.R.n.600/73 e sull’art. 54, c. 4, del D.P.R. n. 633/72.

Per effetto delle modifiche apportate i due testi, a far data dal 1° gennaio 2011, risultano i seguenti.

 

Accertamento parziale ex art. 41-bis del D.P.R.n.600/73

Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 32, primo comma,numeri da 1) a 4), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Non si applica la disposizione dell’art. 44.

 

Accertamento parziale ex art. 54, comma 4, del D.P.R.n.633/72

Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’articolo 57, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 51, secondo comma,numeri da 1) a 4), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l’imposta o la maggiore imposta non versata, escluse le ipotesi di cui all’articolo 54-bis, anche avvalendosi delle procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218.

 

L’ampliamento delle norme determina l’utilizzazione dello strumento per accertare tutti quegli elementi che derivano da attività istruttoria interna ed esterna, e cioè: accessi, ispezioni e verifiche; inviti in genere; indagini finanziarie; questionari; segnalazioni varie.

Ricordiamo che di recente, con la sentenza n. 20496 del 6 settembre 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento parziale, ex art. 41-bis, del D.P.R.n.600/73, a vasto raggio. Con tale atto, sulla base di segnalazione della Guardia di finanza, la quale, nel corso di indagini bancarie svolte in sede penale nei confronti del contribuente per i reati di estorsione e usura impropria, aveva verificato i conti correnti a lui intestati, ed erano stati ritenuti i versamenti solo in parte giustificati dai redditi dichiarati, rilevandosi una differenza configurante redditi di capitali, come tali imponibili ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, c. 4. Osserva la Corte che “l’accertamento parziale non è dunque circoscritto all’accertamento del reddito d’impresa o solo a talune delle categorie di redditi di cui all’art. 6 del T.U.I.R., nè, del resto, è richiesto all’ufficio di fornire la ‘prova certa’ del maggior reddito, prova che può invece essere raggiunta anche con le presunzioni di cui alla fonte legale (qualora ‘risultino elementi che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarata, gli uffici possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibile’), fatta sempre salva la possibilità per il contribuente di fornire specifica prova contraria, che il giudice d’appello ha accertato non essere stata offerta (‘prove acquisite in sede di accertamento tributario, e in particolare per quanto riguarda gli accertamenti bancari, peraltro non contraddette da specifiche prove contrarie da parte dell’appellante…’)”.

 

9 dicembre 2013

Roberta De Marchi