L'accertamento parziale: limiti e conseguenze del suo impiego

Si tratta non di un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633/72, bensì di una modalità procedurale che ne segue le stesse regole; da qui la massima ricorrente che l’accertamento parziale può basarsi anche sul metodo induttivo
Esploriamo come tale modalità di accertamento rientra e convive con le altre tipologie consentite nel sistema normativo italiano.

L’accertamento parziale: definizione e natura

Rilevanza della distinzione dall’accertamento ordinario

accertamento parzialeSecondo i principi di unicità e globalità dell’accertamento, che hanno costituito due tra i criteri guida della legge delega (n. 825/1971) di riforma tributaria degli anni ‘70[1], la consumazione del potere accertativo si determina con il primo atto emanato in relazione a ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta.

In tal modo si intendeva istituire un significativo effetto preclusivo all’esercizio dei poteri concessi all’Amministrazione finanziaria, tenuta a far confluire in unico atto tutti gli elementi istruttori disponibili, e si tutelava il contribuente dalla reiterazione dei provvedimenti d’imposizione, che rende particolarmente difficoltoso l’approntamento di una strategia difensiva unitaria[2].

Oggi l’esistenza del principio trova un’indiretta conferma nell’art. 43, comma 3 (ex comma 4), del D.R.P. n. 600/1973, che ricollega la possibilità di integrazione o modifica del (primo) avviso di accertamento allo specifico presupposto della «sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi» di fatto, da enunciare nel nuovo atto, insieme alle fonti di conoscenza, espressamente e a pena di nullità[3].

La frammentazione dell’attività accertativa è un fenomeno – per quanto indesiderabile dal punto di vista del contribuente – ineliminabile, giacché ogni preclusione assoluta all’operato dell’Amministrazione, a prescindere dalle concrete ragioni che hanno impedito di muovere il rilievo già nel primo atto, si porrebbe in tensione con il principio di capacità contributiva e con la facoltà della P.A. di reperire le risorse necessarie al funzionamento dell’apparato statale.

Si tratta pertanto di bilanciare i principi di certezza del diritto, di legittimo affidamento e del giusto processo[4], con quelli di capacità contributiva e di buon andamento, il quale ultimo sarebbe leso ove l’Amministrazione fosse obbligata ad emettere l’avviso solo una volta che abbia ricostruito globalmente il presupposto d’imposta[5].

Oltre all’accertamento integrativo, il principio di unicità dell’accertamento conosce ulteriori e ampie deroghe: si pensi alle rettifiche “cartolari” della dichiarazione, che scaturiscono dalla liquidazione automatizzata[6] e/o dal controllo formale[7], agli accertamenti in base agli studi di settore[8], o ancora agli “atti di recupero”, introdotti con l’art. 1 comma 421 della L. 311/2004, mediante i quali si contesta l’illegittima fruizione in compensazione dei crediti d’imposta[9], e all’abuso del diritto[10].

La rettifica delle dichiarazioni in base a controlli automatizzati e formali è applicabile solo nei casi tassativamente previsti, che sono (specialmente per il controllo ex art. 36-bis) connotati dall’assenza di valutazioni giuridiche e/o di fatto, da limitati poteri istruttori[11] e da una altrettanto limitata (se non proprio assente) interlocuzione con il contribuente.

Ciò non esclude, tuttavia, che il recupero delle maggiori imposte possa avvenire anche attraverso l’accertamento “ordinario”.

Ad esempio, l’articolo 38 del D.P.R. n. 600/1973 prevede che la rettifica della dichiarazione possa essere eseguita quando «non sussistono o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni indicate nella dichiarazione».

È tuttavia da rilevare che l’Amministrazione, utilizzando un accertamento “ordinario” per (ad es.) negare una detrazione per ristrutturazione edilizia la cui non spettanza emerge già dalla sola documentazione offerta dal contribuente, potrebbe avvalersi del maggior termine previsto dall’art. 43 (31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione) rispetto a quello previsto dall’art. 25, lett. b) del D.P.R. 602/73 (31 dicembre del quarto anno successivo), e potrebbe applicare la sanzione per dichiarazione infedele (90%) anziché quella del 30%, ridotta al 20% nel caso di pagamento entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione di irregolarità (art. 3, D.Lgs. 462/97).

Insomma, in tanto l’accertamento ordinario è equivalente a quello che scaturisce dai controlli formali, in quanto è emesso nei medesimi termini e non applica un trattamento più penalizzante per il contribuente[12].

Ritornando all’ambito degli avvisi di accertamento emessi ai sensi degli artt. 37 e ss. del D.P.R. n. 600/73, cioè agli accertamenti in rettifica e – in caso di dichiarazione omessa – d’ufficio, la principale deroga al tradizionale principio di globalità dell’accertamento è rappresentata dall’accertamento parziale[13], il quale viene emesso «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’articolo 43».

Si tratta – come ha chiarito a più riprese la Cassazione – non di un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600/73 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633/72, bensì di una modalità procedurale che ne segue le stesse regole; da qui la massima ricorrente che l’accertamento parziale può basarsi anche sul metodo induttivo[14].

Qualora si avvalgano dell’accertamento parziale (il quale, quanto a motivazione, modalità di notifica, termini di decadenza etc. in nulla differisce da quello ordinario), gli uffici godono di piena libertà nell’emissione di (uno o più) successivi accertamenti, parziali o ordinari, non essendo condizionati al rispetto dei requisiti ai quali si è fatto cenno e su cui si tornerà nel prosieguo[15].

Lo stesso è a dirsi in relazione all’accertamento con adesione: mentre con riferimento agli accertamenti ordinari l’intangibilità dell’accordo[16] è derogabile solo qualora sopravvenga la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito che sia al contempo superiore al 50% del – maggior[17] – reddito definito e a € 77.468,53[18], l’adesione a un accertamento parziale non comporta alcuna preclusione[19].

In linea di massima, l’accertamento “parziale” ben potrebbe rimanere l’unico atto emesso in relazione a un dato periodo d’imposta, e pertanto in nulla differire da un accertamento ordinario.

Censurare in sede giudiziale un avviso di accertamento per il solo fatto che l’Ufficio ha – come sovente accade – dichiarato di accertare “ai sensi dell’art. 41-bis” costituisce sicuramente un comportamento prudente, alla luce del divieto di integrazione dei motivi di ricorso, ma che potrebbe risolversi in un nulla di fatto.

Infatti, l’interesse a lamentare un eventuale utilizzo dell’accertamento ex art. 41-bis al di fuori dei suoi presupposti potrebbe sorgere solo in sede di emissione di un eventuale ulteriore avviso; qualora ciò non avvenga prima della sentenza, il giudice a rigore dovrebbe dichiarare il motivo di ricorso inammissibile per difetto di interesse ad agire (condizione dell’azione che, in quanto tale, deve sussistere al momento della sentenza).

Come afferma Cassazione Sez. V, 1 ottobre 2018, ord. n. 23685, in un caso in cui:

«era pacifico ed incontestato che a quell’accertamento parziale non era seguita alcuna integrazione, sicché restava l’unico atto di controllo della materia imponibile», «il mancato rispetto delle prescrizioni previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, e dall’art. 43, comma 3 del medesimo decreto, può determinare l’illegittimità dell’accertamento successivo e non di quello già esplicato»[20].

Tuttavia, a seguito dell’introduzione (con efficacia dal 1/7/2020) dell’invito obbligatorio, di cui all’art. 5-ter del D.Lgs. n. 218/97, che esclude dalla procedura proprio gli avvisi di accertamento cd. parziali, l’esigenza di un’actio finium regundorum torna alla ribalta, e la natura dell’avviso parziale deve essere attentamente valutata di volta in volta.

 

 [N.d.R.: quanto riportato qui sopra  rappresenta l’introduzione all’importante tema degli accertamenti parziali da parte dell’Agenzia Entrate, la cui trattazione integrale è contenuta nel n. 3 del Magazine Diellepì, predisposto ad uso interno dallo Studio Deotto Lovecchio & Partners (del quale anche tu puoi far parte se vuoi! Vedi apposita pagina)
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NOTE

[1] Il principio può rinvenirsi nella previsione dell’art. 10, comma 2, n. 2:

«dovranno essere in particolare stabiliti […] l’adeguamento della disciplina formale dell’accertamento al principio di oggettiva unitarietà e interdipendenza della base imponibile dei vari tributi, anche ai fini della semplificazione e della concordanza degli accertamenti».

[2] Sul fondamento del principio v. E.M. Bagarotto, La frammentazione dell’attività accertativa ed i principi di unicità e globalità dell’accertamento, Giappichelli, 2014, p. 7 ss.

[3] In tema di IVA, v. l’analogo art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/72.

[4] Riconoscere indiscriminatamente a favore dell’A.F. la possibilità di correggere motivazioni “errate”, quando al contribuente è invece preclusa quella di modificare/ampliare i motivi di ricorso, significherebbe violare il principio di parità delle parti. Cfr. E.M. Bagarotto, La frammentazione, cit., pp. 59 ss.

[5] Sui diversi principi coinvolti, sinteticamente, G. Melis, Manuale di diritto tributario, Giappichelli, 20213, p. 402.

[6] Artt. 36-bis del D.P.R. n. 600/73 e 54-bis del D.P.R. n. 633/72.

[7] Art. 36-ter, D.P.R. n. 600/73.

[8] Cfr. l’art. 70 della L. n. 342/00 («gli accertamenti basati sugli studi di settore […] sono effettuati senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice con riferimento alle medesime o alle altre categorie reddituali nonché con riferimento ad ulteriori operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto»). Sul tema v. S. Capolupo, Accertamento parziale: nuove modifiche, in il fisco, 2011, pp. 545-547.

[9] Agli atti di recupero la giurisprudenza riconosce natura accertativa e non meramente liquidatoria: cfr. già Cass. Sez. V, 7 aprile 2011, n. 8033, che ne stabilì l’impugnabilità ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/92, e Cass. Sez. V, 31 marzo 2017, n. 8429 (più di recente richiamata da Sez. V, 17 marzo 2021, ord. n. 7436) sull’applicabilità dell’accertamento con adesione. Anche l’Agenzia delle Entrate, con la Circ. n. 6/E/2019, riconoscendone esplicitamente (cfr. § 2.3) la natura di “atti impositivi”, ha ammesso la definibilità delle liti relative a tali atti.

[10] V. l’art. 10-bis, comma 6, della L. 212/00. Il tema del rapporto tra contestazioni di abuso del diritto e accertamento parziale è indagato da P. De’ Capitani Di Vimercate, Sulla natura dell’avviso di accertamento antielusivo ex art. 10-bis e il suo rapporto con il principio di unitarietà dell’accertamento, in Dir. prat. trib., 2016, I, pp. 1870 ss., secondo il quale l’accertamento ex 10-bis non deve essere necessariamente contenuto in un atto separato e, se successivo ad accertamento “ordinario”, deve rispettare i requisiti dell’accertamento integrativo.

[11] Ad es., è stato affermato che non è possibile disconoscere la spettanza di un’agevolazione, e quindi la compensazione di un credito d’imposta, mediante cartella di pagamento a seguito di controllo cartolare (Cass. Sez. V, 21 marzo 2019, n. 7960), né riscuotere tramite iscrizione a ruolo l’importo indicato dal contribuente quale risultato del test di operatività ai fini della disciplina delle società di comodo (Sez. V, 29 dicembre 2021, n. 41840).

[12] Negli stessi termini anche E.M. Bagarotto, La frammentazione, cit., pp. 137 ss., il quale argomenta anche in base all’inciso «escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter», presente nell’art. 41-bis e che a maggior ragione dovrebbe valere anche per gli avvisi “ordinari”.

Si pensi poi, mutatis mutandis, a quanto recentemente affermato dalla Corte di Cassazione (Sez. V, 16 novembre 2021, nn. 34443/4/5) in merito ai riflessi, in punto di termini di decadenza, della qualificazione dei crediti d’imposta come “inesistenti” o meramente “non spettanti”.

[13] A. Carinci – T. Tassani, Manuale di diritto tributario, Giappichelli, 20214, p. 293, si esprimono in termini, più che di deroga, di «esplicita negazione».

[14] Sez. V, 7 novembre 2019, ord. n. 28681.

[15] «[L’accertamento parziale] può essere integrato da un successivo accertamento, senza che sia necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo d.P.R»: così, in motivazione, Cass. Sez. V, 22 gennaio 2021, ord. n. 1303.

[16] «L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio»: art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218/97. Sulla non vincolatività, rispetto agli anni d’imposta successivi, della qualificazione data a una determinazione operazione economica (cessione o conferimento di partecipazioni), e ciò specie – ma si tratta di considerazione metagiuridica – quando si sia in presenza di abuso del diritto, v. Cass. Sez. V, 24 maggio 2022, n. 16675.

[17] E.M. Bagarotto, La frammentazione, cit., p. 219.

[18] Sul tema v. A. Aimar, Sul principio di unicità e globalità dell’accertamento, anche in relazione all’autotutela, in Dir. prat. trib., 2022, pp. 531 ss.

[19] Cfr. art. 2, comma 4, lett. f) del D.Lgs. n. 218/97.

Sul tema v. da ultimo G. Antico, Accertamento parziale: i rapporti fra l’atto di adesione e l’ulteriore azione accertatrice, in il fisco, 2022, p. 1307 ss.

Altra importante eccezione all’intangibilità dell’accordo è quella della definizione con adesione di un accertamento che imputi per trasparenza i redditi delle società di persone; in tal caso – come correttamente riconosce la Circ. n. 235/E/1997 – l’accertamento integrativo dovrà riguardare redditi diversi da quelli di partecipazione.

[20] Così anche Cass. Sez. V, 1 maggio 2021, ord. n. 9070.

Di diverso avviso D. Stevanato, Abuso dell’accertamento parziale, vizi formali e tutela del contribuente, in Dial. trib., 2011, pp. 491 ss., per il quale, poiché il secondo giudice non potrebbe conoscere il primo atto per la regola dell’impugnabilità solo per vizi propri, l’atto viziato e da eventualmente annullare è l’accertamento (qualificato) parziale.

Sul delicato tema dei riflessi processuali dell’avviso di accertamento “parziale” ove seguito da un nuovo avviso, anche in termini di rapporto tra giudicati, v. E.M. Bagarotto, La frammentazione, cit., pp. 288-302.

 

A cura di Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

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Lunedì 20 giugno 2022