la pervasività delle banche dati fiscali sembra ignorare il diritto alla privacy dei contribuenti: ecco come privacy e poteri del Fisco si coniugano
Dati fiscali e diritto alla privacy – Aspetti generali
Il diritto alla riservatezza, oltre a essere oggetto di uno specifico testo normativo di riferimento (D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, c.d. codice della privacy), è espressione di diritti inviolabili incardinati nella nostra Costituzione.
Tale diritto può essere sottoposto a limitazioni solo in ragione di rilevanti situazioni di interesse pubblico, tra le quali rientrano quelle che sono oggetto delle attività di accertamento dei tributi.
Naturalmente, di fronte a un bene giuridico così rilevante e delicato, l’attività del fisco deve comunque seguire un percorso preciso, verificabile, in grado di garantirne la tutela…
Il codice della privacy
Il codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. «codice della privacy») è stato introdotto con il D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, il cui art. 1 prevede che «chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano», mentre l’art. 3 dispone che i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e identificativi.
I diritti dell’interessato al trattamento dei dati sono di seguito indicati in tabella.
Diritti ordinariamente spettanti all’interessato dal trattamento |
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Norme di riferimento |
Diritti |
Art. 7, co. 1, «codice» |
ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo ri- guardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in for- ma intelligibile |
Art. 7, co. 2, «codice», lettere a) – e) |
ottenere la conferma dell’origine dei dati personali |
essere informato delle finalità e modalità del trattamento |
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essere informato sulla logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici |
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essere informato sugli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato |
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essere informato sui soggetti o sulle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscen- za in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di re- sponsabili o incaricati |
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Art. 7, co. 3, «codice», lettere a) – c) |
ottenere l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, se vi ha interesse, l’in- tegrazione dei dati |
ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è neces- saria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati |
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ottenere l’attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato |
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Art. 7, co. 4, «codice», lettere a) – b) |
opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano, anche se pertinenti allo scopo della raccolta |
opporsi al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ri- cerche di mercato o di comunicazione commerciale |
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opporsi al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di ma- teriale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mer- cato o di comunicazione commerciale |
Secondo l’art. 11 del codice, il soggetto che gestisce i dati personali rilevanti deve:
- trattarli in modo lecito e secondo correttezza;
- raccogliere e registrare gli stessi per scopi determinati, espliciti e legittimi, e utilizzarli in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;
- assicurarsi che i dati siano esatti e, se necessario, aggiornati;
- assicurarsi che i dati siano pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati;
- conservare i dati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.
I soggetti pubblici, con esclusione degli enti pubblici economici, devono osservare nella gestione dei dati personali le ulteriori regole fissate nel capo II del codice; in particolare, l’art. 18 del testo normativo dispone che qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito solamente per lo svolgimento delle funzioni istituzionali.
Secondo l’art. 22 del codice, inoltre, i soggetti pubblici hanno l’obbligo di conformare il trattamento dei dati sensibili e giudiziari a modalità volte a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato.
La privacy nelle attività tributarie e doganali
A norma dell’art. 66 del codice, sono posti specifici principi riguardanti il settore tributario e quello doganale.
In particolare, sono considerate attività di rilevante interesse pubblico quelle svolte dai soggetti pubblici e finalizzate all’applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti, ai sostituti d’imposta, ai responsabili d’imposta, nonché in materia di deduzioni e detrazioni, e per l’applicazione delle disposizioni la cui esecuzione è affidata alle dogane.
Sono incluse nell’area del «rilevante interesse pubblico» le attività dirette, in campo impositivo, alla prevenzione e alla repressione delle violazioni degli obblighi e all’adozione dei provvedimenti previsti da leggi e regolamenti, o dalla normativa comunitaria, nonché al controllo e all’esecuzione forzata dell’esatto adempimento degli obblighi fiscali, all’effettuazione dei rimborsi e alla destinazione di quote d’imposta.
La privacy e i controlli fiscali
Il trattamento di dati effettuato nell’ambito delle indagini in campo fiscale – consentito, secondo il predetto art. 18, c. 2, del codice, solamente per lo svolgimento istituzionale di tale funzione, si sottrae all’obbligo della preventiva notifica al Garante per la privacy.
Nel corso dei controlli fiscali, inoltre, gli organismi verificatori possono accedere alle informazioni senza il consenso del controllato, secondo le norme specificamente disciplinanti le attività ispettive e, anche qualora fossero richieste informazioni sui rapporti intercorsi con altri soggetti, non potrà essere invocata la normativa sulla privacy per sottrarsi al dovere di fornire risposta.
A norma dell’art. 24, c. 1, lett. a, del codice, infatti, il consenso non è necessario quando si tratti di adempiere ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria
In linea generale, comunque, il trattamento dei dati da parte dei «controllori» fiscali impone, oltre che il rispetto delle norme sui controlli (incardinate soprattutto nei D.D.P.R. n. 600/1973 e n. 633/1972), anche l’osservanza delle disposizioni poste a presidio del diritto alla riservatezza.
Come evidenziato in dottrina, l’elevato grado di «invasività» dei controlli fiscali, nell’ambito dei quali è gestita una massa enorme di informazioni «grezze» (il cui utilizzo «mirato» può richiedere la previa disamina di moltissimi dati e notizie di scarsa rilevanza per l’istruttoria), avrebbe forse richiesto un più stringente coordinamento normativo con la tutela della privacy.
Privacy e anagrafe tributaria
Nella sua attuale configurazione, il sistema informativo dell’anagrafe tributaria si presenta come una vasta banca dati, strutturata per «comparti» ed accessibile ai soggetti abilitati (dipendenti dell’Amministrazione finanziaria – DPF ed Agenzie Fiscali, appartenenti al Corpo della G.d.F., etc.) mediante interrogazioni su singole posizioni tributarie di persone fisiche, imprese, etc., che, potenzialmente, conducono a un’istruttoria «stellare», potendo estendersi, ad esempio, dalle proprietà del soggetto (attraverso un’interrogazione sui dati degli atti stipulati) all’identificazione e all’esame della posizione dei suoi aventi causa, o dai redditi percepiti al soggetto erogante.
Facilmente, inoltre, la disamina delle posizioni tributarie delle imprese può condurre dalla società «X» ai soci, amministratori e managers della stessa, ovvero alle partecipazioni dalla stessa detenute, e quindi alle società controllate e collegate, etc.
È evidente che l’anagrafe tributaria non contiene altro che i dati comunicati dai contribuenti, o dagli altri soggetti obbligati (ad es., i sostituti d’imposta), attraverso dichiarazioni, comunicazioni, etc., in esecuzione di obblighi di legge: essa rappresenta insomma un coacervo di informazioni che, nel loro complesso, forniscono una «fotografia» anagrafica, reddituale, patrimoniale e più strettamente fiscale, del cittadino, identificato attraverso il codice fiscale e/o la partita IVA.
L’incremento dimensionale delle banche dati e delle informazioni in esse contenute, che in linea generale «potenzia» le possibilità di controllo attraverso l’aumentata disponibilità di materiali istruttorii, presenta alcuni aspetti critici; in particolare, è stato evidenziato che:
- l’ampliamento delle informazioni da gestire «rappresenta una sfida e un rischio per l’anagrafe tributaria», poiché è necessario (per i soggetti coinvolti) predisporre correttamente le informazioni grezze, attuarne l’acquisizione sistematica, effettuare i controlli di coerenza e gli incroci con altre banche dati, etc.; inoltre, è opportuno promuovere la «qualità di utilizzo» delle informazioni da parte degli operatori, nell’ottica della maggior efficacia dei controlli attivati ;
- per le grandi banche dati in generale, tra le quali quella dell’anagrafe
tributaria, esisterebbe «un’emergenza di sicurezza interna», forse affrontabile approntando «sistemi di allarme in grado di segnalare gli accessi anomali»: tali osservazioni sono rese dal presidente del Garante della privacy, che richiede la «non proliferazione» delle banche dati, pur riconoscendone la funzione strategica per combattere delle «anomalie tutte italiane, come l’evasione fiscale».
L’anagrafe dei rapporti e le indagini finanziarie
L’«anagrafe dei rapporti» è stata introdotta a seguito dell’integrazione normativa apportata dall’art. 37, c. 4, D.L. n. 223/2006, che ha previsto in capo agli intermediari finanziari, alle banche e alla società Poste Italiane S.p.a. l’obbligo di comunicare i dati sui rapporti con i clienti ed altri soggetti (in via telematica, secondo le previsioni dell’art. 7, co. 11, D.P.R. 605/1973) .
L’anagrafe dei rapporti è concepita come una sezione dell’anagrafe tributaria specificamente dedicata ad accogliere gli estremi identificativi dei rapporti instaurati dai contribuenti con gli operatori finanziari, i quali dovranno essere «immagazzinati» affinché gli uffici, la G.d.F. e i concessionari della riscossione (ovvero, a decorrere dalla sua attivazione, avvenuta l’1.10.2006, la società Riscossione S.p.a. e le società da essa partecipate) possano attingervi per l’avvio di un’istruttoria sulla posizione dei soggetti controllati.
L’attivazione della banca dati è subordinata all’emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, ma (ciò nonostante) essa raccoglierà tutte le informazioni sui rapporti decorrenti dal 1° gennaio 2005, con l’indicazione dei dati anagrafici dei titolari dei rapporti stessi, compreso il codice fiscale.
Come è stato evidenziato nei paragrafi 3.3.1 e 4.2 della circolare n. 32/E del 2006, l’accesso all’anagrafe dei rapporti da parte degli organismi procedenti è subordinato alla preventiva autorizzazione dell’organo gerarchicamente sovraordinato (direttore regionale, comandante regionale, direttore centrale dell’accertamento),
«in quanto il suo utilizzo avviene esclusivamente ai sensi e per gli effetti di cui ai numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972».
L’autorizzazione concessa
«varrà anche per l’inoltro delle richieste agli intermediari individuati attraverso detta anagrafe e, naturalmente, anche per tutti gli altri intermediari che per necessità istruttorie dovessero essere coinvolti».
La medesima circolare n. 32/E chiarisce, al par. 4.6, che, per il segreto bancario e per la «segretezza fiduciaria», non esiste una specifica tutela approntata dall’ordinamento giuridico, ma, sulla base della prassi consolidata, il dovere di riservatezza è ritenuto «subordinato alla superiore esigenza, garantita dall’articolo 53 della Costituzione, dell’accertamento dell’illecito tributario», dato che la tutela del segreto non può ostacolare l’adempimento
«dei doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva di ciascuno».
Una volta acquisiti, i dati devono però rimanere riservati: a tale proposito, è rammentato che l’art. 18, c. 5, L. 30.12.1991, n. 413, ancora vigente, prevede – oltre all’eventuale azione disciplinare – la sanzione amministrativa – da € 516,00 a € 5.165,00 -, da irrogare «nei confronti di chiunque, senza giusta causa, rivela tali dati o notizie, ovvero li impiega a profitto altrui o ad altrui danno», salvo che il fatto costituisca reato di rivelazione di segreti d’ufficio a norma dell’art. 326, c.p.
Di conseguenza, i «soggetti titolari del potere autorizzatorio» devono
«ribadire agli uffici richiedenti, nell’atto di autorizzazione, l’osservanza delle necessarie cautele sia nella fase acquisitiva dei dati con riferimento a tutta la normativa sopra commentata e sia nella fase del trattamento dei dati medesimi in virtù del decreto legislativo sopravvenuto» (cioè del codice della privacy).
Ai sensi del secondo comma dell’art. 11 del D.L. 6.12.2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 23.12.2011, n. 214, gli operatori finanziari sono tenuti a comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria, a partire dal 1° gennaio 2012, tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari già oggetto di specifici obblighi di evidenziazione e comunicazione, ai sensi del sesto comma del citato articolo 7 del D.P.R. n. 605/1973.
Tali dati e informazioni possono essere utilizzati in funzione di preventiva programmazione e pianificazione dei controlli, che vengono a concentrarsi sui contribuenti a maggior rischio di evasione.
Si rammenta a tale riguardo che il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 37561 del 25.3.2013, che ha ottenuto l’assenso del Garante della privacy, ha dato attuazione alla previsione normativa sopra richiamata, di cui al secondo comma dell’art. 11 del D.L. n. 201/2011, stabilendo che gli operatori finanziari devono comunicare, con riferimento alla tipologia di rapporti contenuti nell’allegato 1 al medesimo provvedimento, attivi nel corso dell’anno di riferimento:
- i dati identificativi del rapporto, compreso il codice univoco del rapporto, riferito al soggetto persona fisica o non fisica che ne ha la disponibilità, inclusi procuratori e delegati, e a tutti i cointestatari del rapporto, nel caso di intestazione a più soggetti;
- i dati sui saldi del rapporto, distinti in saldo iniziale al 1° gennaio e saldo finale al 31 dicembre, dell’anno cui è riferita la comunicazione;
- per i rapporti accesi nel corso dell’anno il saldo iniziale alla data di apertura, per i rapporti chiusi nel corso dell’anno il saldo contabilizzato antecedente la data di chiusura;
- i dati sugli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere
per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua.
Il redditometro
Come è noto, l’accertamento sintetico è uno strumento accertativo presuntivo, previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, attraverso il quale la situazione reddituale delle persone fisiche può essere ricostruita valorizzando alcuni elementi di fatto, costituiti dalla disponibilità di determinati beni ritenuti in grado di comprovare una maggior capacità contributiva rispetto a quella dichiarata.
A seguito della revisione dello strumento presuntivo (avvenuta a opera del D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122), la ricostruzione della situazione reddituale dei contribuenti può avvenire in modo diretto, in base agli elementi di spesa riscontrati e presunti come indicatori di redditi (accertamento sintetico puro), ovvero in modo indiretto, valorizzando il possesso di determinati beni o l’acquisto di servizi in base a una ricostruzione di tipo percentuale, attraverso un software analogo a quello impiegato per gli studi di settore, nel presupposto che la gestione di determinati beni privati richieda una certa capacità di spesa, non testimoniata dalle evidenze «dichiarative» (accertamento sintetico redditometrico).
Il redditometro si è tradotto in disposizioni attuative «a regime» con la pubblicazione del D.M. 24.12.2012.
La metodologia presuntiva di determinazione del reddito – rivolta in particolare alle persone fisiche – si fonda principalmente:
• sulle spese sostenute dai contribuenti che risultano in anagrafe tributaria;
• sui consumi medi divisi per tipologia di contribuente risultanti dalle in- dagini ISTAT;
• sugli incrementi patrimoniali valutati al netto dei disinvestimenti.
Giacché l’applicazione dello strumento si fonda su dati di tipo statistico, è stato osservato che le presunzioni da esso generate dovrebbero essere «semplici» e non legali relative, analogamente a quanto accade per gli studi di settore.
Il decreto si compone di cinque articoli, nonché di un «allegato 1» e delle tabelle A e B. L’allegato è relativo al contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva, mentre la tabella A elenca i valori relativi ai KW medi per tipo di nucleo familiare relativi ai mezzi di trasporto, e la tabella B riporta e classifica le varie tipologie di nuclei familiari e le aree geografiche di appartenenza (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole).
Secondo quanto è posto il luce nell’art. 1 del decreto attuativo:
- il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva è determinato tenendo conto della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente; tale contenuto induttivo corrisponde alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel programma statistico nazionale (art. 13, D.Lgs. 6.9.1989, n. 322), effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti a 11 tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree ter- ritoriali.
- il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva è determinato considerando le risultanze di analisi e studi socio economici, anche di settore (anche ciò fa pensare a una particolare sintonia tra il redditometro e gli studi di settore);
- fatto salvo quanto previsto dall’art. 4 del decreto, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, in presenza di spese indicate nella tabella A, si considera l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risul- tante dalle informazioni presenti in anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’ISTAT o da analisi e studi socio economici, anche di settore;
- ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, l’Agenzia delle Entrate può anche utilizzare elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A, qualora siano disponibili dati relativi alla spesa sostenuta per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento, nonché valorizzare la quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.
Il successivo art. 2 del decreto stabilisce che, salvo quanto previsto dall’art. 4:
- le spese per beni e servizi si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni pre- senti in anagrafe tributaria. Si considerano, inoltre, sostenute dal contribuen- te, le spese relative ai beni e servizi effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico;
- non si considerano sostenute dalla persona fisica le spese per beni e servizi relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività di impresa o profes- sionale, se ciò risulta da idonea documentazione (si pone pertanto un proble- ma di prova, che potrà incontrare differenti risoluzioni nei vari casi specifici).
Secondo l’art. 3 (fatto salvo quanto stabilito al successivo art. 4), il reddito complessivo «sintetico» viene determinato dall’Agenzia delle Entrate sulla base:
1) dell’ammontare delle spese, anche diverse rispetto a quelle indicate nel- la tabella A che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria (SIAT), risultano sostenute dal contri- buente;
2) della quota parte, attribuibile al contribuente, dell’ammontare della spesa media ISTAT riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza, determinata:
- nella percentuale corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente e il totale dei redditi complessivi attribuibili ai componenti del nucleo familiare;
- in assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra le spese sostenute dal contribuente e il totale delle spese dell’intero nucleo familiare, risultanti dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel SIAT;
3) dell’ammontare delle ulteriori spese riferite ai beni e servizi, presenti nella tabella A, nella misura determinata considerando la spesa rilevata da analisi e studi socio economici;
4) della quota relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente impu- tabile al periodo di imposta, nella misura determinata con le modalità indica- te nella tabella A;
5) della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.
Nel quadro di una «prova vincolata», finalizzata alla disapplicazione dell’accertamento redditometrico, il contribuente ha la facoltà di dimostrare, ai sensi dell’art. 4 del decreto:
a) che il finanziamento delle spese è avvenuto:
- con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta;
- con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o, co- munque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile;
- da parte di soggetti diversi dal contribuente;
b) il diverso ammontare delle spese attribuite al medesimo.
L’art. 5 del decreto è relativo all’efficacia temporale del redditometro, che si intende operante per la determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni di imposta a decorrere dal 2009 (si tratta di periodi di imposta non ancora scaduti, giacché il relativo termine per l’accertamento decadrà: 1) in caso di dichiarazione infedele, il 31.12.2014; 2) in caso di dichiarazione omessa, il 31.12.2015.
Gli orientamenti del Tribunale di Napoli
In epoca recente, di fronte al nuovo redditometro, il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 250 del 21.2.201, si è pronunciato sull’azione inibitoria promossa da un contribuente, sostenendo che il procedimento di determinazione sintetica del reddito lede i diritti dei contribuenti, con specifico riferimento alla riservatezza.
In particolare, il contribuente lamentava l’eccessiva ampiezza dell’archivio costituito dall’Agenzia in attuazione del decreto, nonché il carattere definitivo (permanente) dello stesso.
Secondo il Tribunale decidente, la questione verteva manifestamente in materia di diritti fondamentali della personalità, e non già di meri interessi di fatto come aveva sostenuto l’Avvocatura dello Stato, e la questione rientrava nella giurisdizione ordinaria, «posto che il ricorrente né direttamente, né indirettamente ha impugnato alcun provvedimento amministrativo, chiedendo esclusivamente emanarsi una pronunzia di accertamento e tutela inibitoria dei propri diritti fondamentali».
Il Tribunale ha altresì ricordato che in materia di riservatezza è esplicitamente prevista la giurisdizione del giudice ordinario (art. 152, D.Lgs. n. 196/2003, come interpretato dalla Corte di Cassazione – SS.UU. civili, sentenza 14.4.2011, n. 8487).
L’Organo decidente faceva poi richiamo al principio di legalità, immanente nell’ordinamento democratico, e alla stessa Costituzione quale presidio dei diritti inviolabili della persona, secondo gli orientamenti espressi dalla Consulta, nonché alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
In relazione alla normativa controversa e alle disposizioni attuative in materia di redditometro, ha osservato il Tribunale che la determinazione sintetica, per poter essere legittimamente operata, ha quali presupposti, secondo la norma primaria:
- la prova liberatoria sempre concessa in capo al contribuente;
- la possibilità di considerare qualsiasi spesa di qualsiasi genere;
- la stima basata su campioni significativi di contribuenti, differenziati tra loro anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza.
A questo riguardo, il Tribunale ha affermato che il decreto ministeriale «è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi dell’art. 21-septies legge n. 241/1990 per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria, atteso che il c.d. redditometro utilizza categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva, che richiede la identificazione di categorie di contribuenti, laddove – per come si vedrà – il D.M. non individua tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente – visto l’ampiezza dei controlli e il riferimento ai nuclei familiari – a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare (si pensi all’acquisto di un medicinale per il congiunto malato oppure del libro di lettura)».
L’asserita illegittimità del decreto
In particolare il decreto ministeriale, secondo la sentenza in esame:
• non porrebbe alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti, come è invece richiesto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, operando invece una differenziazione tra tipologie familiari (e non di
«contribuenti») suddivise per cinque aree geografiche (il riferimento al nucleo familiare e all’area territoriale sono criteri aggiuntivi che dovrebbero presupporre un cluster di riferimento già di per sé individuato in base a caratteristiche proprie);
• utilizza come parametro per determinare le spese medie delle famiglie quelle di cui al Programma statistico nazionale (ISTAT),
«che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria che deve indirizzare la sua indagine alla ricostruzione specifica di individualizzati profili di contribuenti e non già alla ricostruzione di macrocategorie funzionali ad analisi macroeconomiche e sociologiche che proprio per questo sono del tutto eterogenee rispetto al concetto di contribuente»;
• violerebbe gli artt. 2, 13 della Costituzione e gli artt. 1, 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, poiché prevede la raccolta e la conservazione non già di questa o quella voce di spesa diverse tra loro per genere (come previsto dall’art. 38), bensì di tutte le spese poste in essere dal soggetto (dalla famiglia),
«che viene, quindi, definitivamente privato del diritto ad avere una vita privata, di poter gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell’utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e all’educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale»;
• conferisce all’Agenzia delle Entrate un potere che oltrepasserebbe quello dell’ispezione fiscale «consentito astrattamente dall’art. 14, 3°comma Cost. che in via eccezionale e manifestamente tassativo non richiede la riserva di giurisdizione; infatti, è previsto dal regolamento ministeriale un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere che nulla ha a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l’autorità giudiziaria penale che pure è destinataria di potere non di controllo generalizzato e indiscriminato ma sempre con riferimento ad indagini riferite a specifici reati ipotizzati»;
• violerebbe il diritto alla difesa ex art. 24 Cost., il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, in quanto renderebbe impossibile fornire la prova di aver speso di meno di quanto risultante dalle medie ISTAT (giacché non è ipotizzabile la gestione di una «contabilità analitica domestica»);
• accomunerebbe situazioni territoriali differenti
«in quanto altro è la grande metropoli altro è il piccolo centro e altro ancora è vivere in questo o quel quartiere»;
• violerebbe i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità: in particolare, il contribuente economicamente meno «robusto» sarebbe gravato di una (fittizia) maggiore spesa, mentre quello più abbiente avrebbe una maggior facilità a sottrarsi alle presunzioni evitando di acquistare la merce con sistemi tracciabili telematicamente e potendo quindi
«spendere nella realtà molto di più di quanto, invece, in assenza di costi tracciabili, gli sarà presuntivamente imputato»;
• accentuerebbe le discriminazioni, «anche in considerazione della insufficiente differenziazione geografica effettuata, anch’essa modellata – coerentemente con indagine di tipo statistico funzionali a riflessioni macroeconomiche e a ricostruzioni di tendenze di massima della società – su ampie categorie», inidonee a tener conto delle reali differenziazioni locali;
• si porrebbe in contrasto con l’art. 47 Cost. secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;
• sarebbe in contrasto con i principi fondamentali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, nonché con il principi di leale collaborazione procedimentale volta ad assicurare uno scambio di informazioni in una logica non di antitesi ma collaborativa, in quanto il diritto al contraddittorio del contribuente verrebbe svuotato di effettività (in ragione del carattere inquisitorio e sanzionatorio del procedimento, nonché della «fortissima asimmetria» del rapporto tra contribuente e amministrazione, in considerazione peraltro dell’«oggettivo conflitto di interessi» dell’Agenzia delle Entrate, il cui operato è vincolato al raggiungimento di obiettivi e di risultati,
«sicché ha filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi, anche in ragione della sua partecipazione alla società di riscossione»).
Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ha ordinato, con riferimento al ricorrente, all’Agenzia delle Entrate «di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione, o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati relativi a quanto previsto dall’art. 38, quarto e quinto comma, del D.P.R. n. 600/1973 e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente», nonché di
«comunicare formalmente al ricorrente se è in atto un’attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell’applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione a parte ricorrente».
Senza voler in nessun modo adottare un approccio critico nei confronti della pronuncia del Tribunale di Napoli, si osserva che in verità lo sforzo nell’elaborazione del redditometro è stato tale da escludere i timori di arbitrarietà che potevano accompagnare la precedente versione dello strumento (D.M. 10.9.1992); sotto il profilo della tutela della riservatezza, tuttavia, la pronuncia (si ritiene) riflette una preoccupazione diffusa in ordine alla quantità e qualità dei dati amministrati dalle grandi banche dati, tra le quali quella del fisco ha ormai assunto un ruolo preponderante.
In considerazione della funzione antievasione dello strumento, ma senza intenderlo come sostitutivo rispetto ai controlli di tipo tradizionale, cioè affiancandolo ad ulteriori elementi e fonti informative, esso andrebbe certamente mantenuto, pur con i correttivi necessari a garantirne un utilizzo coerente con il quadro normativo nazionale, sovranazionale e costituzionale.
Leggi anche l’aggiornamento: Privacy tributaria: controlli, accesso, regolamento GDPR
9 luglio 2013
Fabio Carrirolo