Analizziamo le diverse problematiche che riguardano la residenza ai fini fiscali delle persone fisiche ed i collegati obblighi dichiarativi e di versamento.
Il tema della residenza fiscale delle persone fisiche è disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 2 del D.P.R. 917/1986,rubricato “Soggetti passivi”, che dopo aver stabilito al comma 1 che “soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato”, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi
“si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno, nel territorio dello Stato, il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.
Inoltre, l’art. 2, c. 2-bis, del Tuir sancisce la c.d. presunzione della residenza in Italia per i soggetti che hanno trasferito la residenza nei c.d. paradisi fiscali.
È bene tener presente che nel caso in cui una persona fisica dovesse risultare residente in due Stati, in base alle rispettive normative interne (c.d. dual residence), le Convenzioni contro le doppie imposizioni, ove esistenti, consentiranno di stabilire univocamente la residenza in uno solo di essi.
Nel presente intervento, analizzeremo il rapporto tra norme interne e norme convenzionali nella definizione della residenza fiscale delle persone fisiche.
Inoltre, analizzeremo le principali Convenzioni stipulate dall’Italia, verificando, sul tema della residenza fiscale, la conformità o meno al Modello OCSE 2010 che, come noto, rappresenta il prototipo per le Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Esamineremo, inoltre, alcuni casi giurisprudenziali tramite i quali evidenziare gli elementi personali e patrimoniali ritenuti rilevanti dalla giurisprudenza per individuare la residenza fiscale delle persone fisiche.
La residenza di una persona fisica: la norma interna
La necessità di individuare la residenza fiscale di una persona fisica discende dal diverso criterio utilizzato per tassare i soggetti residenti rispetto ai non residenti.
Infatti:
- se una persona fisica è considerata residente in Italia, è tassata sui redditi ovunque prodotti (worldwide principle);
- mentre una persona non residente è tassata esclusivamente sui redditi prodotti in Italia.
RESIDENTI ⇒ Tassati sui redditi ovunque prodotti
NON RESIDENTI ⇒ Tassati esclusivamente sui redditi prodotti in Italia
Il criterio appena descritto, sancito dall’art. 3 del Tuir, comune a molti stati stranieri, determina evidenti fenomeni di doppia imposizione che, a livello internazionale, sono risolti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
Come precedentemente accennato, la norma di riferimento, in tema di residenza delle persone fisiche, è l’articolo 2 del D.P.R. 917/1986.
Di seguito, analizzeremo l’interpretazione del citato disposto normativo, alla luce dei principali interventi di prassi sul tema1.
I criteri
Si ribadisce che l’art. 2, D.P.R. 917/1986, dopo aver stabilito al comma 1 che soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato, dispone al successivo comma 2 che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno, nel territorio dello Stato, il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.
La norma in commento, dunque, qualifica un soggetto come residente in Italia quando lo stesso, per la maggior parte del periodo di imposta, è in possesso di uno dei seguenti requisiti:
- iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente;
- domicilio nel territorio dello Stato;
- residenza nel territorio dello Stato.
Prima di analizzare dettagliatamente i requisiti previsti dalla norma, è bene analizzare il significato da attribuire alla locuzione “maggior parte del periodo d’imposta”.
Il criterio temporale
La definizione puntuale di “periodo d’imposta” è rinvenibile nell’articolo 7, comma 1, del D.P.R. 917/1986, il quale prevede quale periodo di riferimento l’anno solare.
Pertanto, il periodo d’imposta coincide con l’anno solare.
Il criterio che viene dunque adottato è quello di prevalenza temporale; sono quindi considerati residenti i soggetti che si sono trovati in una delle condizioni sopra indicate per almeno 183 giorni in un anno (184 giorni negli anni bisestili).
L’adozione di un simile criterio, come precisato dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 304/E del 2 dicembre 1997, trova giustificazione nella esigenza richiesta dallo stesso legislatore di
“sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione”.
L’iscrizione alle liste anagrafiche della popolazione residente
Il primo requisito previsto dall’articolo 2 del Tuir è l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente.
La sola iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente rappresenta una presunzione assoluta di residenza fiscale italiana che, quindi, non è suscettibile di prova contraria.
Tale dato è evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 9319, del 20 aprile 20062, che precisa per ciò che riguarda l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente quanto segue:
“tale dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta, diversamente da quanto avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative, superabili, come tali, dalla prova contraria. In altri termini in materia fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico.
Una diversa interpretazione dovrebbe inevitabilmente considerare concorrenti, infatti, gli altri due presupposti previsti dall’art. 2 contrariamente al dettato normativo che li prevede invece in via alternativa”.
In sintesi, il disposto della norma interna sancisce che la sola iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è condizione sufficiente per considerare una persona fisica fiscalmente residente in Italia.
Da un punto di vista pratico, pertanto, qualora un soggetto sia stabilmente residente all’estero, ma, per una serie più o meno varie di ragioni, non abbia provveduto agli adempimenti riconducibili alla cancellazione dell’anagrafe della popolazione residente, lo stesso soggetto sarà ugualmente considerato residente in Italia ai fini fiscali.
Ciò comporterà pertanto l’applicazione in capo a tale soggetto del principio di tassazione dell’utile mondiale (World wide income taxation), costituendo l’iscrizione all’interno delle anagrafi della popolazione residente una presunzione assoluta di residenza nel territorio dello Stato e, in quanto tale, non contrastabile con alcun mezzo di prova contraria da parte del contribuente3.
In sostanza, chi decidesse di trasferire la propria residenza fiscale all’estero, dovrebbe, in primis, iscriversi all’AIRE, ovvero all’anagrafe della popolazione residente all’estero.
Si rende necessario stabilire, tuttavia, se l’iscrizione all’AIRE costituisca condizione sufficiente affinché un soggetto possa essere considerato residente all’estero.
La C.M. n.304/E/1997 ha correttamente evidenziato che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato.
Infatti, come avremo modo di evidenziare dettagliatamente in seguito, l’aver stabilito il domicilio in Italia, ovvero l’aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato, sono condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente.
Anche la giurisprudenza ritiene non sufficiente l’iscrizione all’AIRE a far perdere lo status di ‘residente’ sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto mantenga nel territorio nazionale i propri interessi.
Di conseguenza, se un soggetto si iscrive all’AIRE, ma è spesso nel nostro Paese (dimora) o ha in Italia moglie e figli (centro di affari e interessi), sarà considerato fiscalmente residente in Italia; come detto, il Legislatore ha legato infatti la residenza sia ad elementi formali (iscrizione all’Anagrafe) sia ad elementi sostanziali come il centro degli affari ed interessi e la reale presenza fisica nel territorio dello Stato.
La residenza
Per la definizione di residenza l’art. 2 del Tuir richiama l’art. 43 del c.c.
secondo cui “la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Di fatto, il legislatore ha legato la residenza sia ad elementi formali (l’iscrizione all’anagrafe) che a elementi sostanziali (la dimora o il domicilio inteso come centro di affari e interessi).
Di conseguenza, anche un soggetto non iscritto all’anagrafe della popolazione residente potrà essere considerato fiscalmente residente in Italia se ha in Italia la residenza, come precedentemente definita.
Sul tema è intervenuta l’Amministrazione Finanziaria.
In particolare, nella C.M. n. 304/E del 1997 l’Agenzia ha chiarito che la
“residenza è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi”.
Inoltre,
“affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività. Cosicché l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del Comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali.
La residenza, dunque, non viene meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago”.
Il citato documento di prassi, confermando l’orientamento della giurisprudenza prevalente, ha precisato che la “dimora abituale” è caratterizzata da due elementi, uno oggettivo e l’altro soggettivo:
- la permanenza in un dato luogo (elemento oggettivo);
- la volontà di stabilirsi in quel luogo (elemento soggettivo).
Il domicilio
In base all’art. 43 del codice civile il domicilio è definito come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
L’Amministrazione Finanziaria, nella C.M. n. 304/E del 1997, ha accolto una nozione ampia di domicilio; il citato documento di prassi, infatti, chiarisce che
“la locuzione affari ed interessi di cui al citato art. 43, comma 1 deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona”.
Il domicilio consiste quindi in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi.
Tale ultimo e importante aspetto è stato ribadito in varie pronunce della Suprema Corte di Cassazione.
Recentemente, nella sent. n. 12259 del 19 maggio 2010, la Cassazione, in tema di residenza fiscale afferma che
“il centro degli interessi e affari – e quindi il domicilio – prescinde dalla presenza fisica in Italia del soggetto passivo d’imposta, essendo sufficiente la volontà di stabilire e conservare nel territorio statale la sede principale dei propri affari ed interessi, non solo patrimoniali ma anche morali, sociali e familiari secondo criteri quantitativi (per gli interessi economici) e qualitativi (per gli interessi di natura non economica”.
L’alternatività delle condizioni
Come si evince dal tenore letterale della norma e dalle indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. n. 304/E del 1997 i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti.
Sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia.
Le modalità di accertamento del centro degli interessi vitali
Quanto alle modalità di accertamento effettivo dell’eventuale residenza fiscale delle persone fisiche, la C.M. n. 304/E del 1997 fornisce alcune indicazioni di carattere operativo in base alle quali gli Uffici devono indirizzare la propria attività di verifica e analisi.
Secondo le indicazioni fornite dalla circolare ai fini dell’anzidetto accertamento, gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria possono intraprendere le seguenti azioni:
- reperire notizie certe sulla posizione storico-anagrafica risultante presso il comune dell’ultimo domicilio fiscale in Italia; si ricorda che presso ciascun comune e presso il Ministero dell’Interno sono tenuti schedari che raccolgono le schede individuali e le schede di famiglie cancellate dall’Anagrafe delle popolazioni residenti in dipendenza del trasferimento permanente all’estero delle persone cui si riferiscono;
- acquisire tutte le informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria;
- acquisire copia degli atti concernenti donazioni, compravendite, costituzione di società di persona e/o di capitale anche a stretta base azionaria, conferimenti in società;
- valutare attentamente i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei suddetti atti;
- acquisire informazioni sulle movimentazioni di somme di danaro da e per l’estero, sul luogo e data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in titoli azionari e obbligazionari italiani.
In sintesi….
Nella successiva tabella si riassumono i requisiti previsti dall’articolo 2 del
D.P.R. 917/1986.
Tabella n. 1 – requisiti previsti dall’articolo 2 del D.P.R. 917/1986
Criteri | Descrizione | Requisito
temporale |
Iscrizione all’anagrafe della popolazione residente | L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è condizione sufficiente per determinare la residenza fiscale in Italia.
Di contro, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente non è condizione sufficiente per perdere lo status di ‘residente’ sotto il profilo fiscale |
183 giorni in un anno (184 giorni negli anni bisestili) |
Residenza | La residenza è legata:
|
|
Domicilio | Rappresenta la volontà di stabilire e conservare nel territorio statale la sede principale dei propri affari ed interessi, non solo patrimoniali ma anche morali, sociali e familiari secondo criteri quantitativi (per gli interessi economici) e qualitativi (per gli interessi di natura non economica). |
La presunzione di residenza
L’art. 2, c. 2 bis, D.P.R. 917/1986 stabilisce che si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta
Dunque, se il trasferimento viene operato verso un Paese a fiscalità privilegiata, l’onere di provare l’effettività del trasferimento incombe sul contribuente.
Ai fini dell’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata è necessario far riferimento alle modifiche introdotte dall’art. 1, co. 83, lett. a), L. 244/2007, che ha sostituito il riferimento alla Black list con quello a una nuova White list.
In sostanza, continueranno a essere considerati residenti, salvo prova contraria, le persone fisiche cancellate dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con un apposito decreto.
Poiché il citato D.M. non è ancora stato emanato si deve far riferimento al D.M. 4 maggio 1999 come modificato dal D.M. 27 luglio 2010.
Sul tema, l’Amministrazione Finanziaria con la C.M. 140/E/1999 elenca una serie di possibili elementi di prova che giustifichino l’effettivo trasferimento di residenza nel paradiso fiscale:
- la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
- l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
- lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
- la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;
- fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero;
- la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia;
- l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese d’immigrazione;
- l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, ecc.;
- la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.
Disposizioni Convenzionali
Dopo aver analizzato la normativa interna in tema di residenza fiscale delle persone fisiche, passeremo in rassegna i criteri dettati dalle norme Convenzionali.
Come noto, le Convenzioni essendo accordi tra più Stati prevalgono sulla norma interna.
Pertanto, qualora esistenti, saranno le norme convenzionali che stabiliranno la residenza fiscale della persona fisica nello Stato italiano ovvero nello Stato estero nell’ipotesi in cui entrambi gli stati considerino residente tale soggetto.
Generalmente, le Convenzioni stipulate dall’Italia con i Paesi esteri seguono il modello OCSE 2010.
Le normative interne
Il modello OCSE 2010, all’articolo 4, paragrafo 1, definisce il concetto di “residenza”.
In particolare, la disposizione richiamata afferma che
“l’espressione ‘residente di uno Stato contraente’ designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione e di ogni altro criterio di natura analoga.
L’analisi delle disposizioni interne non permetta di definire in modo univoco la residenza fiscale del soggetto, si dovrà fare riferimento alle successive disposizioni della Convenzione..
In tal senso, l’articolo 4 paragrafo 2 del modello OCSE 2010 prevede che:
“quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è residente nei due Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel modo seguente:
- detta persona e’ considerata residente nello Stato nel quale dispone di un’abitazione permanente; quando essa dispone di un’abitazione permanente nei due Stati, è considerata residente dello Stato con il quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);
- se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati, essa è considerata residente nello Stato in cui soggiorna abitualmente;
- se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati oppure non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità;
- se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo”.
La disposizione sopra richiamata definisce il c.d. tie break rules ovvero una serie di criteri per determinare, in ipotesi di dual residence, quale dei due Stati contraenti dovrà prevalere nel considerare residente il contribuente persona fisica. Come si evince chiaramente dal disposto convenzionale, i criteri in questione non sono già alternativi tra loro, ma seguono un ordine gerarchico ai fini della loro applicazione.
Al riguardo, è opportuno soffermarsi sull’interpretazione fornita dall’Ocse in merito ai concetti di:
- “abitazione permanente”;
- “centro degli interessi vitali”;
- “soggiorno abituale”;
- e “nazionalità”.
Abitazione permanente
Esaminiamo, quindi, cosa s’intende per “abitazione permanente”.
Il commentario al modello OCSE 2010 fornisce dei criteri per la definizione di tale abitazione.
In particolare, si prevede che un soggetto abbia un’abitazione permanente in un paese:
- con riferimento sia a una casa di proprietà ovvero posseduta in locazione;
- se dispone di un’adeguata organizzazione che gli consenta una lunga permanenza.
In sostanza, l’individuo deve essere organizzato in modo tale che sia evidente che la permanenza non è destinata a essere di breve durata.
Il commentario afferma che “The permanence of the home is essential”; ciò significa che l’individuo deve avere a sua disposizione tutti i giorni, consecutivamente, la dimora e non per fini di un soggiorno di breve durata.
Centro degli interessi vitali
Qualora il soggetto possieda un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, il secondo periodo del paragrafo 2, articolo 4 del Modello OCSE 2010 prevede che “è considerato residente dello Stato con il quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali)”.
Le disposizioni in commento collegano il centro degli interessi vitali all’esistenza congiunta di relazioni personali ed economiche.
Non di rado, tuttavia, si assiste a casi in cui il soggetto ha stabilito la sede delle proprie relazioni familiari in un luogo e quella degli interessi economici e patrimoniali in un altro.
In questi casi, giurisprudenza e prassi dell’Amministrazione Finanziaria attribuiscono una certa prevalenza alle relazioni di tipo familiare.
Soggiorno abituale
Nel caso in cui non si riuscisse a stabilire l’esistenza di un centro degli interessi vitali in nessuno dei due Paesi, si dovrà far riferimento alla dimora abituale o, in mancanza, alla nazionalità del soggetto.
Nella definizione di dimora abituale del Commentario OCSE 2010 non si fa riferimento a un tempo preciso.
Si fa riferimento, invece, a un periodo sufficiente di tempo per poter determinare se la residenza in ciascuno dei due Stati è abituale.
Nazionalità
Infine, nel caso in cui non si riuscisse a individuare la dimora abituale, si dovrà far riferimento alla nazionalità.
Procedura amichevole
Nel caso in cui l’applicazione gerarchica dei criteri descritti non permetta di identificare in modo univoco la residenza fiscale del soggetto, si dovrà ricorrere alla procedura amichevole.
L’art. 25 del Modello OCSE 2010 disciplina la c.d. procedura amichevole alla quale si può ricorre, su iniziativa del contribuente o su iniziativa delle autorità competenti degli Stati Contraenti, ogni qualvolta vi sia incertezza nell’applicazione delle disposizioni Convenzionali o l’applicazione delle norme convenzionali non elimini la doppia imposizione a carico del contribuente.
Con la C.M. 5.6.2012 n.21/E, l’Amministrazione Finanziaria è intervenuta sul tema della composizione delle controversie fiscali internazionali, analizzando dettagliatamente le procedure amichevoli, così come disciplinate nell’articolo 25 del Modello OCSE 2010 e nella Convenzione Arbitrale.
In questa sede si segnala che l’art. 25, par. 1, del Modello OCSE 2010 dispone che se una “persona” reputa che si sia realizzata, o si possa realizzare, nei suoi confronti un’imposizione non conforme alla Convenzione, essa può presentare il caso all’autorità competente del proprio Stato di residenza o, nell’ipotesi di cui all’art. 24 (Non discriminazione), paragrafo 1, dello stesso Modello OCSE, all’autorità competente dello Stato di cui possiede la nazionalità.
Si segnala, che un profilo di criticità è rinvenibile qualora la “persona” voglia ricorrere alla procedura amichevole, ma non si riesca a definire in modo puntuale la sua residenza fiscale.
L’articolo 25 del Modello OCSE in alternativa alla residenza fiscale fa riferimento alla nazionalità del soggetto.
In alternativa all’istanza di parte, la procedura amichevole può essere attivata dalle autorità competenti degli Stati Contraenti.
Le Convenzioni stipulate dall’Italia
Nella seguente tabella proponiamo alcune Convenzioni stipulate dall’Italia, verificando, per ciascuna, la conformità o meno al modello OCSE 2010.
Tabella n. 2 – Le principali Convenzioni stipulate dall’Italia
Stato Contraente | In vigore dal | Conforme al Modello Ocse 2010 |
Australia |
05/11/1985 |
No |
S’invertono i criteri gerarchici: vi è prima il soggiorno abituale e poi il centro degli interessi vitali.
Non c’è riferimento alla nazionalità. |
||
Austria | 06/04/1985 | Sì |
Belgio | 29/07/1989 | Sì |
Bielorussia | 30/11/2009 | Sì |
Brasile | 24/04/1981 | Sì |
Bulgaria |
10/06/1991 |
No |
L’art. 1, par. 1, della Convenzione differisce dal modello
Ocse 2010. |
||
Canada |
25/11/2011 |
Sì |
Cina | 13/12/1990 | Sì |
Costa d’Avorio | 15/05/1987 | Sì |
Croazia | 15/12/2010 | Sì |
Danimarca | 27/01/2003 | Sì |
Egitto | 28/04/1982 | Sì |
Emirati Arabi
Uniti |
05/11/1997 | Sì |
Federazione
Russa |
30/11/1998 | Sì |
Filippine | 15/06/1990 | Sì |
Finlandia | 23/10/1983 | Sì |
Nel protocollo è prevista una particolare deroga | ||
Francia | 01/05/1992 | Sì |
Germania |
26/12/1992 |
Sì |
Il punto n. 3 del protocollo aggiuntivo sancisce il
frazionamento del periodo d’imposta |
||
Giappone |
17/03/1973 |
No |
Il problema di dual residence si risolve direttamente con
la procedura amichevole |
||
Grecia | 20/09/1991 | Sì |
India | 23/11/1995 | Sì |
Israele | 06/08/1998 | Sì |
Lussemburgo | 04/02/1983 | Sì |
Mauritius | 28/04/1995 | Sì |
Messico |
12/03/1995 |
Sì |
Paesi Bassi | 03/10/1993 | Sì |
Polonia | 26/09/1989 | Sì |
Portogallo | 15/01/1983 | Sì |
Regno Unito | 31/12/1990 | Sì |
Repubblica Ceca | 26/06/1984 | Sì |
Repubblica
Slovacca |
26/06/1984 | Sì |
Romania | 06/02/1979 | Sì |
Spagna | 24/11/1980 | Sì |
Stati Uniti | 16/12/2009 | Sì |
Svezia | 05/07/1983 | Sì |
Svizzera | 27/03/1979 | Sì |
L’art. 4 par 4 della Convenzione tra Italia e Svizzera stabilisce che la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio.
L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data. |
Alcuni casi giurisprudenziali
Esamineremo ora alcuni casi giurisprudenziali di seguito riportati in forma tabellare.
Cassazione, Sezione V, Sentenza n. 5382 del 04 Aprile 2012
Nel richiamato intervento giurisprudenziale un soggetto residente nel principato di Monaco veniva considerato, dall’Agenzia delle Entrate, residente in Italia nell’anno 1997.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, infatti, il soggetto aveva mantenuto in Italia il centro di affari e interessi.
I fatti alla base dell’accertamento sono:
- il soggetto aveva ricoperto, dal 1991 al 2001, cariche sociali in ben 13 società aventi sede legale in Siena e provincia, sottoscrivendo personalmente, tra il 1995 e il 1998, numerosi atti societari; inoltre, le cariche societarie non erano puramente formali, ma egli partecipava attivamente all’attività imprenditoriale come dimostrato dalla relazione di bilancio del 1997, dalla quale risulta che il medesimo si attivò concretamente per risanare la situazione economica di una delle società della quale era presidente del Consiglio di Amministrazione;
- nell’anno oggetto di verifica, era stato intestatario o cointestatario di numerosi conti correnti bancari e, in particolare negli anni 1996-1997, aveva erogato finanziamenti a favore di una delle suddette società mentre da un’altra aveva ricevuto un compenso in qualità di Consigliere;
- egli era rappresentante per l’Italia di una società residente in Gran Bretagna ma con domicilio fiscale in Italia.
Il contribuente sosteneva di contro che sia lui che la moglie erano regolarmente iscritti all’AIRE.
La Corte ha affermato che non è rilevante l’iscrizione del cittadino all’AIRE per escludere la residenza fiscale in Italia; infatti, se il centro degli affari e interessi è in Italia il soggetto è considerato fiscalmente residente nel nostro Paese.
Cassazione Sentenza n. 12259 del 19 maggio 2010
Nella sentenza in oggetto la Suprema Corte ribadisce il principio secondo cui il contribuente che abbia trasferito all’estero la sua residenza in un anno precedente a quello del periodo d’imposta contestato conserva il domicilio fiscale in Italia quando, prescindendo dalla sua presenza fisica nel territorio italiano, mantenga in Italia il centro degli affari e interessi.
Infatti, è soggetto passivo IRPEF il cittadino italiano che, pur residente all’estero, stabilisce in Italia il suo domicilio, ossia la sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali.
Inoltre, la titolarità da parte del contribuente di conti correnti bancari e la disponibilità di una villa sono dati di fatto, gravi, precisi e concordanti che inducono a ritenere il domicilio fiscale in Italia.
12 giugno 2013
Antionio Gigliotti
NOTE
1 Tra i numerosi interventi dell’Amministrazione Finanziaria si segnalano: C.M. 304/E/1997, C.M. 140/E/2009, R.M. 351/E/2008 e la R.M. 471/E/2008.
2 Altri interventi giurisprudenziali sul tema: Cassazione sent. n. 1215 del 1998 e n. 1783 del 1999.
3 L. Tosi-R. Baggio, Lineamenti di diritto tributario internazionale, CEDAM, 2011.
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