L’Agenzia delle entrate ha recentemente affrontato il tema della residenza fiscale delle persone fisiche, del lavoro subordinato (e non solo) in smart working e dei frontalieri.
In questa sede ci soffermeremo sulla questione dell’attività lavorativa in smart working.
L’Agenzia Entrate torna sul tema dello smart working e ricorda che la normativa interna disciplina il tema della residenza fiscale. La citata norma contempla tre criteri che devono essere intesi come alternativi, nel senso che, anche il verificarsi di uno solo di essi determina la residenza fiscale in Italia del contribuente:
- l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente;
- il domicilio, come definito dalla normativa civilistica;
- la residenza, come definita dalla normativa civilistica.
La Circolare fornisce anche alcuni interessanti approfondimenti sulla disciplina convenzionale della residenza e sul rapporto tra normativa convenzionale e domestica.
Come si valuta la residenza in caso di smart working?
Nel corso degli ultimi anni, soprattutto a seguito della pandemia, si è diffusa sempre più spesso la modalità di lavoro in smart working.
Due sono gli aspetti evidenziati nella circolare sul punto:
- innanzitutto, il par. 1.2 rileva che nonostante lo sviluppo della forma lavorativa dello smart working le norme in tema di residenza fiscale rimangono immutate per cui, il fatto che il dipendente lavori in smart working non comporta alcuna deroga all’analisi della normativa interna (art. 2 del Tuir) e convenzionale.
In sostanza, a costo di essere banale, l’Agenzia ricorda che non vi sono modifiche normative al regime della residenza fiscale che dovrà, quindi, essere declinata con le regole classiche (domestiche e convenzionali) pur in presenza del lavoro in smart working;
- il par. 3 della C.M. n. 25/E/2023 evidenzia come l’Agenzia percepisca, ora più di allora, il delicato tema dei trasferimenti di residenze fittizie all’estero.
In caso di smart working, risulta meno evidente il luogo in cui il contribuente presta la propria attività lavorativa.
Non sono mancati i casi di persone che, dopo aver trasferito la residenza all’estero, magari in modo genuino, sono rientrati in Italia per lavorare in smart working durante il periodo pandemico e hanno conservato questa modalità lavorativa anche successivamente alla cessazione della pandemia senza, tuttavia, preoccuparsi di iscriversi nuovamente all’anagrafe della popolazione residente.
Una manovra evasiva che potrebbe verificarsi con maggior frequenza che in passato potrebbe essere quella di trasferire la residenza all’estero prima di farsi assumere da un datore di lavoro straniero per lavorare in smart working in Italia.
L’Agenzia potrebbe erroneamente essere convinta che il contribuente che si iscrive all’Aire e che viene assunto all’estero lavori effettivamente all’estero (magari timbrando il cartellino ogni mattina). Ed invece, lo stesso lavora qui in Italia in smart working.
L’attività investigativa del Fisco
A fronte di questa situazione, l’Agenzia sarà quindi tenuta, più che in passato, ad un’attività investigativa.
La C.M. n. 25/E/2023 richiama il paragrafo 1.5.2 della Circolare n