Lo smart working offre flessibilità, ma solleva nuove responsabilità. Cosa accade se un dipendente si infortuna lavorando da casa, in un coworking o all’estero? Tra mobilità, sicurezza e coperture assicurative, il lavoro agile apre scenari complessi da conoscere e gestire.
Smart working oltre l’emergenza: rischi, garanzie e nuove regole
Negli ultimi anni, il lavoro agile – comunemente noto come smart working – ha assunto un ruolo centrale nell’organizzazione delle attività produttive di numerosi settori. La pandemia da COVID-19 ha certamente rappresentato un’accelerazione senza precedenti per l’adozione di questo modello, ma l’evoluzione normativa e tecnologica dimostra che il fenomeno è ben lontano dall’essere transitorio. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano[1], lo smart working risulta ormai strutturale in ambiti come l’ICT, i servizi finanziari, il comparto assicurativo e quello dell’energia. Anche la Pubblica Amministrazione, sebbene con maggiore gradualità, ha iniziato ad adottare forme ibride di lavoro che prevedono attività da remoto.
Il lavoro in smart
Nel contesto privato, molte imprese hanno scelto di regolamentare lo smart working mediante policy interne che, pur rispettando le disposizioni della Legge 22 maggio 2017, n. 81, cercano di bilanciare flessibilità organizzativa e continuità operativa. Proprio la Legge del 2017 definisce lo smart working come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata dall’assenza di vincoli di orario o di luogo, con l’utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività.
In tale assetto, è necessario che il datore di lavoro rispetti determinati adempimenti amministrativi. In primo luogo, la modalità agile deve essere regolata mediante un accordo individuale, redatto per iscritto, in cui sono disciplinati gli aspetti fondamentali dell’attività lavorativa: la durata, i tempi di riposo, le modalità di disconnessione, nonché le forme di esercizio del potere direttivo e di controllo, etc. Nell’ambito dell’accordo individuale, il datore di lavoro potrebbe anche legittimamente orientare – entro limiti ragionevoli – le scelte del lavoratore in merito ai luoghi da cui svolgere la prestazione, introducendo specifiche limitazioni o escludendo alcune opzioni. In tale prospettiva, i coworking potrebbero essere indicati come ambienti preferenziali, rappresentando una valida alternativa alla prestazione resa esclusivamente presso l’abitazione privata. Si tratta infatti di spazi, sia in