Smart working e privacy: perché l’azienda rischia una multa se usa la geolocalizzazione

Un caso emblematico riporta l’attenzione sul delicato equilibrio tra controllo dei lavoratori e tutela della privacy. Un’azienda è stata sanzionata per aver geolocalizzato i dipendenti in smart working in modo invasivo. Ma oltre alla multa, ciò che conta è il principio affermato sull’equilibrio tra esigenze organizzative e tutela della riservatezza. Un caso emblematico, con risvolti di portata generale: ecco cosa devono sapere imprese e datori per evitare errori costosi e sanzioni anche a cinque cifre.

Smart working e geolocalizzazione: sanzioni per chi viola la privacy dei dipendenti

smart working geolocalizzazioneAziende e datori di lavoro debbono prestare attenzione non soltanto ai possibili controlli di Ispettorato e Inail, ma anche ai poteri affidati al Garante Privacy, una figura che – nel corso del tempo – ha acquisito un rilievo sempre maggiore in riferimento alla protezione della sfera di riservatezza del personale dipendente, intervenendo con sanzioni e ordini correttivi quando le aziende non rispettano la legge vigente.

Recentemente un’azienda è stata sanzionata con una multa di 50mila euro, perché colpevole di aver attuato una indiscriminata e pervasiva attività di geolocalizzazione dei propri lavoratori in smart working.

Ma, al di là della portata della sanzione in sé, ciò che spicca maggiormente nella vicenda è l’orientamento espresso dall’Authority in materia di protezione dei dati personali. Vediamo allora insieme gli aspetti chiave della vicenda e chiariamo perché la decisione del Garante ha, in verità, una portata generale per una pluralità di casi simili.

 

La vicenda concreta e le modalità di controllo dei lavoratori da remoto

Nel caso che qui interessa, gli uffici di Piazza Venezia a Roma sono intervenuti a seguito di un reclamo di una dipendente e di una segnalazione da parte dell’Ispettorato della Funzione Pubblica, contro un’azienda regionale che aveva rilevato la posizione geografica di circa cento dipendenti durante l’attività lavorativa da remoto.

In particolare, il reclamo della donna era scaturito da un addebito disciplinare sul presupposto di una:

  • asserita inosservanza nei tempi e modalità delle procedure previste dalle regole aziendali, riguardanti lo svolgimento del lavoro in modalità agile;
  • rilevata differenza tra il luogo dichiarato nell’accordo individuale di smart working e la geolocalizzazione accertata dall’Ufficio Ispettivo nell’espletamento delle verifiche.

Dall’istruttoria è emerso che il datore effettuava un controllo sistematico e mirato dei lavoratori, i quali venivano scelti a campione e contattati telefonicamente dall’Ufficio controlli con la richiesta di attivare la geolocalizzazione del pc o dello smartphone, compiendo una timbratura – sia in entrata che in uscita – tramite specifica app, e di dichiarare successivamente su mail il luogo in cui – in quel preciso momento – si trovavano fisicamente.

 

Uso della geolocalizzazione e violazione delle norme vigenti

Come indica l’ordinanza-ingiunzione del 13 marzo scorso, sono varie le violazioni riscontrate dal Garante nei confronti di una prassi che, oltre a invadere l’altrui sfera di riservatezza, si caratterizzava anche per la possibilità di procedimenti disciplinari interni, in ipotesi di violazioni delle regole aziendali.

Nel provvedimento si indica che l’attività di controllo e il trattamento dei dati personali si sono svolti senza un’opportuna base giuridica e di una speciale informativa, ma soprattutto travalicando i limiti normativi posti dal GDPR e dal Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs.196/2003). In particolare, per l’Authority, la geolocalizzazione con app smartphone o notebook in uso ai lavoratori da remoto è un trattamento che contrasta con i principi di liceità, correttezza e trasparenza alla base del regolamento UE 2016/679 e del Codice della Privacy (e in particolare i suoi articoli 114 e 115).

Ma, a ben vedere, a tutela della riservatezza di chi lavora da remoto c’è anzitutto – e prima ancora – la legge 300/1970, ossia lo Statuto dei lavoratori che – al suo art. 4 – dal titolo “Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo” stabilisce che gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza – anche tramite app per cellulare – dell’attività dei lavoratori possono essere installati soltanto con accordo collettivo, e usati esclusivamente per queste finalità:

  • esigenze organizzative e produttive;
  • sicurezza del lavoro;
  • tutela del patrimonio aziendale.

Ebbene, a nulla sono valse le difese dell’azienda regionale. Infatti, secondo il Garante Privacy la geolocalizzazione dei dipendenti durante il turno di lavoro, per controllare che il luogo di compimento delle mansioni da remoto coincida effettivamente con una delle sedi previste nell’accordo individuale di smart working, non è includibile in una delle ipotesi appena elencate e – conseguentemente – si palesa un controllo vietato e sanzionabile.

In particolare, l’Authority ha rimarcato che, pur utili alla verifica dell’osservanza degli obblighi di diligenza, gli strumenti tecnologici a distanza..

…“riducendo lo spazio di libertà e dignità della persona in modo meccanico e anelastico, comportano un monitoraggio diretto dell’attività del lavoratore non consentito dall’ordinamento vigente e dal quadro costituzionale”.

 

Principi di protezione dei dati personali e rilievo dell’accordo sindacale

Non solo. Anche un anteriore accordo con i sindacati, su questa attività di controllo per geolocalizzazione, sarebbe comunque irrilevante, perché manca una delle finalità necessarie per i controlli a distanza di cui all’art. 4 della legge 300/1970.

In sostanza il datore di lavoro, che è titolare del trattamento delle informazioni di ogni suo dipendente, deve sempre rispettare tutti i principi di tutela della riservatezza e conseguentemente – si legge nell’ordinanza-ingiunzione – l’eventuale accordo con le rappresentanze sindacali:

“in merito all’impiego di un determinato sistema che comporta trattamento di dati personali dei lavoratori costituisce condizione necessaria, ma non sempre sufficiente, per assicurare la complessiva liceità del trattamento e il rispetto dei principi di protezione dei dati personali”.

In particolare, il trattamento dati svolto dall’azienda regionale nel caso in oggetto, non è consentito dalle regole generali perché contrasta “tanto con la disciplina in materia di protezione dei dati personali quanto con quella speciale in materia di lavoro agile”. Ecco perché il fatto che ci fosse un accordo con le rappresentanze sindacali non ha comunque evitato le conseguenze sanzionatorie per l’azienda.

Non solo. Per il Garante non può ritenersi rilevante la circostanza invocata dall’azienda, per cui l’app di geolocalizzazione richiedeva il consenso al dipendente per accedere alla posizione. E questo perché, come affermato in molte occasioni dall’Authority (ad es. nel provvedimento 16/2021) il consenso dei dipendenti non rappresenta, in questo contesto:

“un valido presupposto di liceità per il trattamento dei dati personali, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro”.

 

Che cosa cambia

Il Garante Privacy, con il provvedimento n. 135 di poche settimane fa, ha così stabilito che la geolocalizzazione dei lavoratori in smart working è vietata, in quanto effettuata con strumenti tecnologici a distanza che – di fatto – monitorano invasivamente e condizionano l’attività del lavoratore.

In base alle norme interne e europee, ogni azienda – pubblica o privata – non può utilizzare un’applicazione installata sui dispositivi forniti in dotazione, in modo da conoscere la posizione di ogni dipendente da remoto durante l’orario di lavoro. Inoltre, è utile ricordare a tutti i datori che il rispetto della normativa privacy è parte integrante della compliance aziendale, proprio come le regole in materia di lavoro e sicurezza.

Violare le regole citate significherà esporsi ai possibili accertamenti del Garante Privacy, il quale – tra i suoi poteri – ha anche quello di imporre pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e limitazioni o divieti alle attività di trattamento.

 

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Claudio Garau

Mercoledì 21 maggio 2025