Nel processo tributario l’autocertificazione è priva di valore

la prassi dell’autocertificazione ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, e ciò tanto più vale nel contenzioso tributario (Corte di Cassazione)

Processo tributario: l’autocertificazione è priva di valore (Suprema Corte di Cassazione n. 1663/2013)

Presidente: Virgilio B.

Corte di Cassazione Civile n. 1663/2013 del 24/1/2013

 

Ritenuto in fatto

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di rettifica emesso nei confronti della Ditta P. s.r.l. (medio tempore fallita) per IVA relativa all’anno 1997.

2. 11 Fallimento della società contribuente ha depositato procura speciale

con richiesta di comunicazione del1’udienza di discussione.

 

Considerato in diritto

1. Deve preliminarmente essere esaminata la richiesta – formulata nella discussione orale dal difensore del contribuente ed illustrata nelle osservazioni scritte presentate ex art. 379, ultimo comma, c.p.c. – di “inammissibilità del ricorso per avvenuta estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis, del d.l. n. 40 del 2010”. Ad avviso del Fallimento, la norma citata deve essere interpretata nel senso della sua applicabilità a tutti i giudizi comunque pendenti da oltre dieci anni (e nei quali l’amministrazione è stata soccombente nei gradi di merito) e non solo alle controversie che abbiano maturato tale requisito temporale al 26 maggio 2010 (data di entrata in vigore della legge n. 73 del 2010, di conversione del predetto decreto). Solleva, in subordine, questione di legittimità costituzionale della norma in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.

La richiesta è manifestamente infondata.

La disciplina in esame prevede specifici requisiti per poter fruire del beneficio della definizione delle controversie tributarie pendenti, tra i quali quello della avvenuta iscrizione a ruolo del ricorso di primo grado oltre dieci anni prima della data di entrata in vigore della citata legge n. 73 del 2010, e tale condizione nella specie e pacificamente insussistente, senza che possa sorgere alcun dubbio di legittimità costituzionale, trattandosi di materia per la quale il legislatore gode di piena discrezionalità.

Peraltro, trattandosi di ricorso pendente dinanzi a questa Corte, non si comprende come possa essere dichiarata l’estinzione del giudizio in assenza degli adempimenti prescritti dall’art. 3, comma 2 bis, lett. b), del menzionato d.l. n. 40 del 2010 (aggiunto dalla legge di conversione).

Infine, si rivela inconferente il richiamo all’ordinanza di questa Corte n. 13927 del 2012, attinente al problema — del tutto diverso — della definibilità di controversia per la quale, alla suddetta data del 26 maggio 2010, era pendente il termine per impugnare dinanzi a questa Corte una decisione della Commissione tributaria centrale.

2. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 145 c.p.c., riproponendo la questione (già sollevata nei gradi di merito, ma sulla quale i giudici non si sono pronunciati) della inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente, in quanto tardivo (consegna avvenuta il 26 febbraio 2002) rispetto alla data di notificazione dell’avviso di accertamento, effettuata presso la sede legale della società in data 22 dicembre 2001 a mani di persona “incaricata a ricevere l’atto”, come risulta dalla relata di notifica: si chiede, al riguardo, se possa costituire idonea prova contraria la “autocertificazione” prodotta in giudizio dal legale rappresentante della società in ordine alla mancanza di collegamento tra la persona suddetta e la società.

Innanzitutto deve ritenersi, contrariamente a quanto eccepito dal Fallimento, che il motivo è ammissibile, perché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, l’inammissibilità del ricorso introduttivo è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (tra le altre, Cass. nn. 26391 del 2010, 7410 del 2011), salvo il limite del giudicato interno, che pero sia espresso e non meramente implicito (come nella specie), trattandosi di ipotesi di nullità processuale conseguente a carenza assoluta di potestas iudicandi (non connessa al riparto della giurisdizione), la cui rilevabilità officiosa in ogni stato e grado – salvo il caso della specifica statuizione non impugnata – è conforme anche al principio della durata ragionevole del processo, che della nozione di “giusto processo” costituisce elemento costitutivo (Cass., sez. un., n, 26019 del 2008; cfr. anche Cass, nn. 9952 del 2003, 908 del 2006).

Il motivo è anche fondato, in virtù del principio secondo il quale l’autocertificazione ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, e ciò tanto più nel contenzioso tributario, in cui trova ostacolo insuperabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 546 del 1992, giacché la sua ammissione finirebbe per introdurre in tale processo – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cass. nn. 703 del 2007, l6348 del 2008, 6755 del 2010).

3. Il secondo motivo, attinente al merito, resta assorbito.

4. In conclusione, va accolto il primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

5. Mentre si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito, il Fallimento deve essere condannato alle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il contribuente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in €. 6000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma il 29 ottobre 2012.