Le problematiche relative alla tassazione di associazione in partecipazione e nuovo regime di tassazione delle rendite finanziarie

come impatterà l’applicazione dell’aliquota unica del 20% per la tassazione delle rendite finanziarie sui contratti di associazione in partecipazione?

Aspetti generali

Nel contratto di associazione in partecipazione, come pure nel contratto di cointeressenza, con i dovuti adattamenti – in forza del rinvio contenuto dell’art. 2554 c. 1 c.c.:

  • i terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’associante (art. 2551), ovvero verso il cointeressante;

  • la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, ovvero al cointeressante; il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato (cointeressato) sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare; l’associato (cointeressato) ha in ogni caso diritto al rendiconto dell’affare compiuto, o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno (art. 2552).

A tale proposito, occorre tener presente quanto segue:

  • il contratto di associazione in partecipazione attribuisce all’associato una partecipazione agli utili dell’associante verso il corrispettivo di un determinato apporto: se tale apporto è di capitale o misto, si determina l’«equiparazione» agli utili, diversamente – se si tratta di apporto di lavoro -, le «remunerazioni» sono totalmente deducibili e totalmente imponibili in capo ai due contraenti;

  • il contratto di cointeressenza si «sdoppia» nelle seguenti due tipologie:

    • cointeressenza «impropria», nella quale si ha la partecipazione agli utili dell’impresa senza partecipazione alle perdite, ma con il corrispettivo costituito da un determinato apporto, che può essere di capitale, ovvero di opera e/o servizi: tale situazione è comunque caratterizzata «dalla possibilità di concorrere agli eventuali utili di un affare, quale corrispettivo del versamento di una somma al titolare dell’affare medesimo, in sostituzione degli interessi sulla somma stessa» (Cass., Sez. I civ., 18.7.1969, n. 2671);

    • cointeressenza «propria», nella quale si ha la partecipazione sia agli utili che alle perdite dell’impresa, ma senza prevedere alcun apporto da parte del cointeressato.

In tale contesto normativo, l’equiparazione agli utili non risulta applicabile:

  • relativamente ai contratti di associazione in partecipazione, se l’apporto è di capitale o misto;

  • relativamente ai contratti di cointeressenza: se l’apporto è di capitale, misto o assente.

 

L’indeducibilità delle remunerazioni dei contratti

Per effetto dell’art. 109, c. 9, lett. b, del TUIR, non sono deducibili le remunerazioni dovute sulla base di contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza impropria, se è previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi: la norma è finalizzata ad evitare che una partecipazione al capitale dell’impresa possa venir «mascherata» attraverso l’adozione di una delle richiamate forme contrattuali, così da consentire all’associante (o al cointeressante) di portare in deduzione dei componenti reddituali negativi che altrimenti sarebbero risultati del tutto indeducibili, dovendosi qualificare come utili corrisposti (in tal senso, vedasi la relazione di accompagnamento al D.Lgs. 12.12.2003, n. 344).

Secondo l’attuale formulazione dell’art. 47, c. 2, per. 1, del TUIR, è stabilito che «le remunerazioni dei contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo nella stessa percentuale di cui al comma 1, qualora il valore dell’apporto sia superiore al 5 per cento o al 25 per cento del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della data di stipula del contratto nel caso in cui si tratti di società i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni (…)».

In ragione della mancanza, nella cointeressenza propria, di un apporto, le disposizioni richiamate non si rendono però applicabili, così come non si rende applicabile la regola dell’assimilazione agli utili.

Se il cointeressato è un soggetto IRES, gli «utili» da questo percepiti (che sono tali per finzione giuridica) concorrono alla formazione del suo reddito d’impresa nella misura del 5% dell’ammontare (art. 89, TUIR), mentre in capo al cointeressante risulta integralmente deducibile la «remunerazione».

Tale conclusione è coerente con l’art. 95, sesto comma, del TUIR, il quale dispone che «fermo restando quanto disposto dall’art. 109, comma 9, lett. b) le partecipazioni agli utili spettanti (—) agli associati in partecipazione sono computate in diminuzione del reddito dell’esercizio di competenza, indipendentemente dalla imputazione al conto economico».

 

La cessione dei contratti

Specifici effetti fiscali sono prodotti, a norma dell’art. 67 del TUIR, in conseguenza della produzione di plusvalenze imponibili tra i redditi diversi. In particolare, per effetto della riforma IRES:

  • nella lettera c) del primo comma dell’articolo è stato aggiunto un ultimo periodo, riguardante le plusvalenze derivanti dalla cessione di contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza, se il valore dell’apporto supera la soglia percentuale del 5% (partecipazioni negoziate) o 25% (partecipazioni non negoziate);

  • nella lettera c–bis) del medesimo primo comma è stato aggiunto un ultimo periodo, riguardante le medesime tipologie di plusvalenze, se il valore dell’apporto risulta inferiore alle predette soglie.

Con il supporto della relazione illustrativa al D.Lgs. 344/2003, è possibile affermare che si è trattato di un’«omogeneizzazione» tra il trattamento delle plusvalenze qualificate e non da cessione di contratti e quello previsto per le plusvalenze da cessione di partecipazioni sociali.

Secondo quanto osservato dall’Assonime nella propria circolare del 14.7.2004, n. 32 (par. 3.1), l’«inversione di rotta» rispetto alla sistemazione precedente (caratterizzata dal parallelismo tra la deducibilità fiscale dei compensi corrisposti dalla società e la loro imponibilità in capo all’associato) è derivata dalla considerazione che, attraverso strumenti partecipativi e contratti, poteva essere aggirata la regola dell’indeducibilità dei flussi finanziari derivanti dalla partecipazione al capitale delle società, atteso anche che tale schema negoziale « … poteva consentire il trasferimento degli utili realizzati dalle subsidiaries italiane all’estero sotto forma di remunerazione degli apporti delle associate non residenti determinando, di converso, un abbattimento dell’imponibile dell’associante residente».

L’Assonime ha altresì evidenziato che la disciplina in vigore accomuna i contratti aventi ad oggetto capitale di rischio, cioè apporti suscettibili di non essere restituiti in presenza di perdite (associazione in partecipazione), e quelli più spiccatamente finanziari, aventi ad oggetto una partecipazione agli utili e non alle perdite, nei quali, dunque, l’apporto è oggetto di un obbligo di restituzione (cointeressenza impropria). Tale omogeneità di trattamento è in linea con le vigenti disposizioni riguardanti gli strumenti finanziari destinati alla circolazione, equiparati alle azioni se la relativa remunerazione è commisurata agli utili.

È inoltre segnalato che l’applicazione di questo regime ai contratti aventi, come soggetti associanti, imprese individuali o società di persone, presenta qualche «criticità» applicativa, dato che l’imprenditore individuale o i singoli soci delle società personali subiscono l’imposizione integrale ai fini IRPEF del reddito d’impresa o di partecipazioni, mentre l’associato in partecipazione dovrebbe essere tassato limitatamente al 12,50% (se «non qualificato»), ovvero al 49,72% (se «qualificato») della remunerazione percepita. A tale proposito, l’Assonime riteneva che il regime impositivo dei contratti in parola dovrebbe seguire quello dell’impresa associante, secondo la sua natura.

I contratti di AIP con prestazioni di opera e servizi

Nella risoluzione n. 123/E del 4.6.2007, l’Agenzia ha puntualizzato che, se l’apporto dell’associato (nel caso di specie, si trattava di una società) è costituito da opere e servizi, le remunerazioni corrisposte all’associato divengono deducibili dal reddito prodotto dalla società associante in base al criterio di competenza e indipendentemente dall’imputazione a conto economico. Il corrispettivo della remunerazione è invece integralmente assoggettato a tassazione in capo alla società associata.

Per i contratti di associazione in partecipazione con apporto di capitale o «misti», l’art. 109, c. 9, lett. b, del Tuir, stabilisce invece l’indeducibilità, in capo all’associante, di ogni tipo di remunerazione dovuta all’associato, e la correlativa tassazione con modalità «parallele» a quella degli utili spettanti in relazione alla partecipazione in società.

Nel caso esaminato nella risoluzione del 2007, gli obblighi assunti dalla società associata avevano natura «ibrida», consistendo:

  • in parte, in prestazioni di opere e servizi, così articolate:

  1. messa a disposizione di almeno un dipendente della società associata, che presta la propria consulenza professionale in materia di strumenti finanziari;

  2. messa a disposizione del marchio dell’associata, affinché la società associante possa utilizzarlo nell’ambito dell’iniziativa economica posta in essere;

  • in parte, in una prestazione in denaro, cui l’associata si obbligava nei confronti dell’associante.

Secondo l’impostazione interpretativa dell’Agenzia, l’assunzione di tali obblighi da parte dell’associato risultava cruciale, poiché essa faceva sorgere un contratto di associazione in partecipazione con apporto misto (servizi + capitale), con la conseguente indeducibilità della remunerazione in capo alla società associante.

Un’ulteriore fattispecie in materia di prestazioni di opera e servizi quali contenuti del contratto di associazione in partecipazione si rinviene nella risoluzione n. 192/E del 12.5.2008.

Si trattava, nel caso di specie, del rapporto contrattuale instauratosi tra la società associante – «Alfa» – e l’associata, in forza del quale:

  • l’associata apportava all’associante delle «prestazioni d’opera e di servizi necessari al buon andamento del punto vendita»;

  • l’associante riconosceva all’associata una parte (il 95%) degli utili generati dal punto vendita;

  • l’associata riconosceva all’associante una somma di 70.000 euro «a titolo di corrispettivo e rimborso forfetario degli investimenti già effettuati e per quelli programmati a breve termine dall’associante e/o da società facenti parte del gruppo, al fine di consolidare ed accrescere le esperienze e i successi commerciali già acquisiti … ». Tale somma era versata a titolo di corrispettivo a fondo perduto e non poteva essere oggetto di restituzione.

Nel caso sottoposto all’esame dell’Agenzia, l’obbligo assunto dall’associato (con apporto di opere e servizi) consisteva nello svolgimento delle prestazioni necessarie per la gestione operativa del punto vendita. Il versamento di 70.000 euro quale corrispettivo e rimborso degli investimenti effettuati dall’associante non veniva in tale contesto a mutare la natura del sinallagma.

Riconoscendo nella fattispecie un’ipotesi contrattuale complessa, era quindi affermato che l’associato, oltre ad acquisire il diritto alla partecipazione agli utili derivanti dalla gestione del punto vendita, beneficiava della possibilità di avvalersi del sistema distributivo dell’associante, che veniva remunerato con il predetto corrispettivo.

Questo non aveva secondo l’Agenzia natura di apporto di capitale, rappresentando invece «un onere non rimborsabile che l’associato deve assolvere per poter beneficiare delle competenze professionali e del successo commerciale della società associante»; per tale ragione, esso veniva a costituire per la società-associata una spesa di natura pluriennale deducibile a norma dell’art. 108, terzo comma, del TUIR, nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Lo stesso importo doveva inoltre essere assoggettato ad IVA.

 

I contratti con apporto misto

Un apporto di capitale è invece stato ravvisato dalla successiva risoluzione n. 145/E del 10.4.2008, con riferimento alla somma di euro 35.000 che il soggetto associato (persona fisica) si impegnava a corrispondere a titolo di garanzia per il magazzino e gli arredi ad esso affidati (nel caso di specie, la società-associante stipulava dei contratti per la gestione di vari negozi di «parafarmacia»).

Nell’ambito del rapporto contrattuale instaurato, l’associato si impegnava con l’associante alla collaborazione nella gestione del punto vendita da questo affidatogli.

Secondo quanto affermato dall’Agenzia, « … l’assunzione di tali obblighi da parte dell’associato» conferiva al contratto natura di contratto di associazione in partecipazione con apporto di servizi e capitale (apporto misto), « … a prescindere delle qualificazioni testuali indicate dalle parti», non incedenti sulla qualificazione fiscale della fattispecie.

«Il versamento di tale somma concretizza, infatti, un apporto di capitale assunto dall’associato al fine della condivisione del rischio d’impresa dell’associante e quindi un elemento caratterizzante la qualificazione della remunerazione spettante all’associato».

In tale prospettiva, l’impegno da parte dell’associante a restituire all’associato una somma di pari importo incrementata annualmente dell’aumento medio del prezzo dei farmaci ad uso umano sembrava costituire « … un ulteriore rendimento e non la mera integrazione della perdita di valore reale della somma corrisposta».

Le remunerazioni periodiche spettanti all’associato al termine dei diversi esercizi andavano quindi considerate come percezione di utile annuale, imponibili in capo allo stesso ai sensi dell’art. 44, c. 2, lett. f, del TUIR e indeducibili in capo alla società istante, a norma dell’art. 109, c. 9, lett. b, del Testo Unico.

Al momento della risoluzione del contratto, la corresponsione dei 35.000 euro avrebbe costituito per l’associato restituzione di capitale, mentre tutto ciò che fosse stato erogato dall’associante oltre i 35.000 euro contrattualmente previsti avrebbe costituito un’ulteriore remunerazione del contratto ai sensi dell’art. 45 del TUIR.

 

I problemi della cointeressenza

È vero che l’art. 95 sopra richiamato fa menzione dei soli contratti di associazione in partecipazione, e non anche di quelli, ad essi analoghi, di cointeressenza; tuttavia, anche prima di prendere in considerazione quanto sul tema è stato detto dalla prassi interpretativa ufficiale, sembra logico assumere che, se la condizione per l’assimilazione agli utili societari distribuiti e percepiti è operata dal legislatore con riferimento a quelle situazioni nelle quali si scorga una natura di «equity», ovvero di partecipazione al capitale, allora dovrebbe potersi garantire la deducibilità (e la speculare imponibilità) integrale, secondo i principi generali, dei rapporti privi di apporto, la cui causa è riscontrabile nello «scambio» tra l’utilità conseguita dal cointeressante (che fa partecipare un terzo al rischio d’impresa) e quella conseguita dal cointeressato (che partecipa agli utili verso il «corrispettivo» costituito dalla sua partecipazione alle perdite).

Su tale linea interpretativa, la circolare dell’Agenzia delle Entrate 16.6.2004, n. 26/E (par. 3.4) ha argomentato che il trattamento di assimilazione ai dividendi opera, per le remunerazioni dei contratti in esame, “allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi”: in definitiva, se l’apporto non è presente, l’assimilazione non si applica.

Le considerazioni sopra esposte valgono anche nel caso di specie, caratterizzato per la cointeressata dalla partecipazione integrale agli utili della cointeressante, e da una partecipazione solo parziale alle perdite (nei limiti dell’ammontare delle perdite su crediti registrate nell’esercizio): la norma civilistica non pone infatti ulteriori condizioni, e comunque l’apporto della cointeressata rimane assente.

A tale proposito, può essere utilmente richiamata la pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. I civ., 23.1.1996, n. 503, la cui massima chiarisce che «dalla coordinata lettura degli art. 2553 e 2554 c.c. si ricava che l’unica regola inderogabile della disciplina dell’associazione in partecipazione (applicabile anche al contratto di cointeressenza) è quella del divieto di partecipazione dell’associato alle perdite in misura superiore al suo apporto, mentre le parti hanno facoltà di determinare la partecipazione alle perdite in misura diversa da quella della partecipazione agli utili ovvero di escludere del tutto la partecipazione alle perdite (cosiddetta cointeressenza impropria)».

La circolare dell’Agenzia delle Entrate 13.2.2006, n. 6/E, al par. 1.2, ha confermato che il cointeressato imprenditore (individuale o societario) può portare in deduzione le partecipazioni alle perdite del cointeressante.

Deve però essere evidenziato che – in assenza di adeguate informazioni sulle effettive previsioni contrattuali – la condizione che per la cointeressata limita la partecipazione alle perdite della cointeressante all’ammontare delle perdite su crediti sofferte da quest’ultima potrebbe essere intesa come un tentativo di eludere le previsioni normative sopra richiamate, in base alle quali il contratto di cointeressenza con partecipazione ai soli utili (e non anche alle perdite) può essere sostanzialmente assimilato alla fattispecie della cointeressenza «impropria» con apporto di capitale.

 

L’unificazione delle aliquote di tassazione sui redditi finanziari

La disciplina dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, cioè di tutti quei redditi che vengono generati da fonti e impieghi di tipo finanziario, ha subito le innovazioni apportate dal D.L. n. 138/2011, il quale sostanzialmente ha sostituito le previgenti aliquote del 12,50% e del 27%, applicate a ritenute e imposte sostitutive, con la nuova aliquota del 20%.

La materia è oggetto di commento e interpretazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 11/E del 28.3.2012.

Quanto al regime transitorio, la pronuncia di prassi fornisce i chiarimenti di seguito illustrati, puntualizzando in via generale che la nuova aliquota del 20% trova applicazione per i redditi di capitale esigibili, nonché per i redditi diversi di natura finanziaria, realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Sarà tuttavia opportuno riflettere sul concetto di maturazione, che, per effetto degli interventi correttivi intervenuti successivamente al D.L. n. 138/2011, si è imposto quale criterio guida per stabilire la linea di demarcazione tra vecchia e nuova aliquota.

Le innovazioni normative in parola derivano dall’intervento del D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 14.9.2011, n. 148, e consistono nell’accorpamento e unificazione delle aliquote delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale (12,50% e 27%) nella nuova misura del 20%.

Il quadro normativo in materia si è perfezionato per l’effetto dell’emanazione di tre provvedimenti di attuazione (si tratta dei decreti del Ministro dell’economia e delle finanze approvati il 13.12.2011 e pubblicati il 16.12.2011).

Inoltre, occorre considerare le modifiche apportate al regime di decorrenza dell’unificazione delle aliquote dall’art. 29 del D.L. 29.12.2011, n. 216, convertito con modificazioni dalla L. 24.2.2012, n. 14 (c.d. «milleproroghe»), nonché delle ulteriori disposizioni introdotte dagli artt. 95 e 96 del D.L. 24.1.2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24.3.2012, n. 27.

 

Le tipologie di redditi cui si applica la nuova aliquota

L’intervento normativo del 2011 ha comportato l’unificazione al 20% delle aliquote impositive (imposte sostitutive e ritenute) precedentemente previste per i redditi di capitale (art. 44, TUIR) e per le plusvalenze relative a fonti di tipo finanziario [art. 67, primo comma, lettere da c-bis) a c-quinquies), TUIR].

In particolare per le plusvalenze, fa presente la circolare che si tratta solamente di quelle originate da rapporti di tipo «non qualificato», dal momento che le plusvalenze da cessioni di partecipazioni qualificate concorrono alla determinazione del reddito complessivo dei percettori nella misura del 49,72% del relativo ammontare (si rammenta a tale riguardo che Il D.M. 2.4.2008 ha ridefinito le percentuali di concorso al reddito degli utili percepiti e delle plusvalenze realizzate dai «non – soggetti IRES», originariamente fissate nella misura percentuale del 40%).

Inoltre, per i soggetti IRES percettori di redditi di tipo finanziario opera in generale l’inclusione tra gli utili di cui all’art. 89 del TUIR, con la conseguente soggezione a imposta solo limitatamente al 5% dell’ammontare; per quanto attiene alle plusvalenze, dovranno invece essere osservate le regole di cui all’art. 86 del Testo Unico.

Secondo quanto è affermato al paragrafo 7 della circolare n. 11/E del 2012, l’applicazione della nuova ritenuta «unificata» riguarda le seguenti tipologie di utili «non qualificati» soggetti a ritenuta (art. 27, D.P.R. n. 600/1973), percepiti da soggetti IRPEF:

  • utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti ad IRES;

  • utili derivanti da titoli e strumenti finanziari assimilati alle azioni dalla lettera a), secondo comma, dell’art. 44 del TUIR;

  • utili derivanti da associazione in partecipazione e dai contratti di cointeressenza nei casi in cui è previsto un apporto di capitale o un apporto misto di capitale ed opere e servizi.

 

La decorrenza generale

Secondo quanto è posto in luce nella circolare dell’Agenzia delle Entrate, l’aliquota del 20% risulta in generale applicabile agli interessi, ai premi e ad ogni altro provento di cui all’art. 44 del TUIR divenuti esigibili e ai redditi diversi di natura finanziaria realizzati a decorrere dal 1° gennaio 2012.

La regola generale dispone pertanto che sia preso in considerazione, ai fini della decorrenza delle disposizioni in esame, il momento dell’esigibilità del provento, ovvero il momento in cui viene in essere il diritto ad esigere il pagamento dei proventi.

Se tale momento risulta sorto dal 1° gennaio 2012 in poi, risulta applicabile la nuova aliquota; se invece risulta sorto in precedenza, risultano applicabili le vecchie aliquote del 12,50% e del 27%.

 

I contratti con apporto di capitale

A proposito dei contratti di associazione in partecipazione con apporto di capitale, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti precisazioni con la risoluzione 16 maggio 2005, n. 62/E.

È stato osservato in tale pronuncia che, attraverso il contratto di associazione in partecipazione, un soggetto, l’associante, attribuisce ad un altro soggetto, l’associato, il diritto a partecipare agli utili della sua impresa o di uno o più affari, contro il corrispettivo di un determinato apporto, il quale può avere diverse forme (denaro, beni, prestazioni di opera o servizio).

In presenza di apporti di capitale o misti, il TUIR (art. 109, c. 9, lett. b) stabilisce l’indeducibilità, in capo all’associante, di ogni tipo di remunerazione dovuta all’associato.

Se l’interpellante è soggetto IRES, i compensi soggiaciono a tale imposta nella misura del 5% del relativo ammontare, come stabilito dall’articolo 89, comma 2, del TUIR.

 

Considerazioni di sintesi

Sulla base di quanto è stato sopra illustrato, guardando alle regole generali di decorrenza per l’entrata in vigore della nuova aliquota del 20%, possono essere formulate le seguenti indicazioni:

  1. remunerazioni derivanti da contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRPEF in presenza di requisiti di «qualificazione»: tassazione limitata al 49,72% dell’ammontare;

  2. remunerazioni derivanti da contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRPEF in assenza di requisiti di «qualificazione»: A) se il diritto alla percezione è sorto prima del 1° gennaio 2012 → ritenuta del 12,50%; B) se il diritto alla percezione è sorto a partire dal 1° gennaio 2012 ritenuta del 20% (si veda, quanto ai possibili regimi di tassazione adottati per opzione, il successivo punto 5);

  3. remunerazioni derivanti da contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRES: tassazione limitata al 5% dell’ammontare;

  4. plusvalenze relative a contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRPEF in presenza di requisiti di «qualificazione»: tassazione integrale (la tassazione delle plusvalenze per tali soggetti sarebbe limitata al 49,72% dell’ammontare solamente se ove si trattasse di plusvalenze in possesso dei requisiti «pex», come stabilito dal secondo comma dell’art. 58 del TUIR, integrato dal D.M. 2.4.2008, il che non può verificarsi per i contratti di AIP e cointeressenza);

  5. plusvalenze relative a contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRPEF in assenza di requisiti di «qualificazione»: A) se il diritto alla percezione è sorto prima del 1° gennaio 2012 → ritenuta del 12,50%; B) se il diritto alla percezione è sorto a partire dal 1° gennaio 2012 → ritenuta del 20% (a tale riguardo, occorre tuttavia verificare se la tassazione avvenga in regime dichiarativo – art. 5, D.Lgs. n. 461/1997 -, ovvero siano state esercitate le opzioni per il regime del risparmio amministrato, ovvero per quello del risparmio gestito, di cui agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 461/1997. Tale verifica peraltro deve riguardare sia le plusvalenze, sia i redditi da «remunerazione», di cui al sup. punto 2);

  6. plusvalenze relative a contratti di AIP e cointeressenza in capo a soggetti IRES: tassazione limitata al 5% dell’ammontare;

  7. deducibilità delle remunerazioni erogate per i soggetti associanti: è riconosciuta se il contratto non prevede apporti di capitale o misti, e viene negata nel caso opposto.

 

20 giugno 2012

Fabio Carrirolo