La corretta documentazione nel Processo Tributario

L’accertamento è nullo se l’amministrazione finanziaria produce in giudizio contro il contribuente soltanto uno stralcio del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza? A cura di Antonio Terlizzi.

La prova documentale nel processo tributario

E’ d’uopo premettere che quella documentale è la prova per eccellenza del processo tributario e che il concetto o accezione di documento è inteso in senso lato, fino a ricomprendere anche le perizie tecniche di parte le fotografie ed i nastri magnetici.

Il processo tributario è conformato dal legislatore, sia sotto l’aspetto probatorio che difensivo, come processo documentale (in tal senso Corte Costituzionale, sen. n. 141 del 23 aprile 1998).

 

Processo verbale di constatazione: prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale.

controllo fiscale guardia di finanzaIl processo verbale di constatazione costituisce una prova documentale essenziale ai fini dell’evasione fiscale, anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica.

Il giudice può ricorrere legittimamente al verbale redatto dalla Guardia di Finanza al fine della determinazione dell’imposta evasa come prova del reato di dichiarazione infedele, nonché utilizzare l’accertamento induttivo quando le scritture contabili non sono tenute o irregolarmente tenute (Cass. n. 28053/2011).

Il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale.

Tuttavia, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dal codice di rito altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile.(Cass. pen. Sez. III, 09-02-2011, n. 28053)

 

Onere dell’ufficio

E’ onere dell’ufficio portare a conoscenza dell’altra parte tutti gli atti rilevanti ai fini della decisione e tra questi rientra il verbale di constatazione redatto dai militari. Nel corso del giudizio incombe all’ufficio finanziario l’onere della prova circa la presentazione del verbale emesso dalla Guardia di Finanza.

E’ ius receptum (Cassazione civile Sentenza, Sez. V, 18/01/2006, n. 905) che spetta al fisco – nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova – dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano.

Nell’ambito del rapporto d’imposta spetta al fisco l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa erariale(Cassazione sez. V sentenza n. 07439 del 14/05/2003) mentre incombe sul contribuente la prova del fatto modificativo ed estintivo dell’obbligazione tributaria.

 

Produzione solo dello stralcio

L’accertamento è nullo per evidenteimpossibilità di esercitare il diritto di difesa,se l’amministrazione finanziaria produce in giudizio contro il contribuente soltanto uno stralcio del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza n. 5020 depositata il 28 marzo 2012).

La prova dei fatti posti a fondamento della pretesa impositiva non può essere costituita dalla sola produzione di uno stralcio del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, qualora tale atto contenga solo affermazioni e giudizi dei verbalizzanti non dimostrati e privi di obiettivi riscontri probatori documentali (CTP Bologna Sez. I, 05-01-2006, n. 216).

E’ del tutto illegittimo un accertamento che sia stato fondato soltanto sullo stralcio di un più ampioprocesso verbale di contestazione elevato dalla guardia di finanza a carico di soggetti diversi dal contribuente accertato, e del quale l’ufficio finanziario non abbia potuto riscontrare la veridicità, disponendo soltanto dei predetti stralci, recepiti acriticamente, e per di più in sintesi (CTP Reggio Emilia Sez. VII, 25-06-1997, n. 193).

Secondo un principio generale dell’ordinamento amministrativo, nessuna pubblica Amministrazione deve allegare all’atto amministrativo finale le copie degli atti preparatori, ma deve invece allegare le copie degli atti che entrano, quali elementi costitutivi, a fondare la motivazione e quindi la decisione contenuta nel dispositivo dell’atto considerato, come stabilito anche dall’art. 7, c. 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212; pertanto, se la motivazione fonda il contenuto precettivo dell’atto impositivo su un altro e diverso atto, quest’ultimo deve essere allegato a pena di nullità perché ne costituisce la motivazione, ed è quindi illegittimo l’accertamento tributario motivato per relationem al processo verbale di constatazione che si limiti a riportarne solo un breve stralciosenza invece allegarlo (CTP Torino Sez. XXIX, 08-06-2002, n. 43.)

 

Allegazione di altro atto

la documentazione processuale nel processo tributarioSoltanto a partire dalla legge n. 212/2000 è stato affermato il principio (articolo 7) che, ove nella motivazione sia fatto riferimento ad altro atto, questo deve essere allegato all’avviso.

Il successivo decreto legislativo n. 32/2001 ha applicato il principio citato , stabilendo (articolo 1) che l’avviso di accertamento, se motivato con riferimento ad altro atto non conosciuto né previamente ricevuto dal contribuente, deve riprodurre il contenuto essenziale dell’atto richiamato, ovvero recare in allegato l’atto stesso.

Trattasi di disposizioni innovative, che di per sé non hanno efficacia retroattiva.

Solo con il regime introdotto dalla norma sopra richiamata (e poi, per le imposte sui redditi, dall’art. 1 del D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32) l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale (Sentenza n. 20535 del 1° ottobre 2010 Corte di Cassazione).

L’art. 1 D.lgs. 26/1/01. n. 32, prescrive l’onere di allegazione degli atti richiamati solo ove gli stessi non siano conosciuti né ricevuti dal contribuente e salvo che l’avviso non ne riproduca il contenuto essenziale.

A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), se in un atto dell’Amministrazione tributaria si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere necessariamente allegato all’atto che lo richiama (art. 7, c. 1) e non è sufficiente che l’atto sia conoscibile da parte del contribuente (Sent. n. 6201 del 22 marzo 2005 della Corte Cass., Sez. tributaria). Sono esclusi dall’obbligo dell’allegazione i documenti non rilevanti, perché non funzionali alla motivazione dell’atto impositivo (Cass. civ. Sez. V, 03-03-2010, n. 5052).

Ai fini dell’invalidità non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, ma occorre invece la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. civ. Sez. V, 07-09-2010, n. 19145).

 

Documenti necessariamente in possesso dell’Amministrazione.

L’istanza con la quale l’Ufficio solleciti da parte del giudice tributario l’esercizio di poteri istruttori di ufficio, ex art. 7 d.lgs. n. 546/92, è inammissibile, sia perché si tratta di documenti (PVC) già in possesso dell’amministrazione finanziaria ed è, quindi, in contrasto con l’art. 6 legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), sia perché manca il presupposto, che consente di derogare al canone ordinario di distribuzione dell’onere della prova e legittima l’esercizio del potere di ufficio, costituito dall’impossibilità di una delle parti di acquisire i documenti in possesso dell’altra, sia, infine, quando la predetta istanza sia formulata nel giudizio di appello (Cass. n. 26932/2010).

Il giudice non può sopperire all’onere probatorio che grava sul soggetto onerato, potendo solo integrare gli elementi forniti dalle parti, per cui l’art. 7 deve essere interpretato in maniera restrittiva ed applicato alla luce dell’art. 111 Cost., così come modificato dalla legge costituzionale n. 2/1999 (Cass. n. 24464/2006). In tema di contenzioso tributario, l’art. 7 d.lgs. n. 546/1992, che prevede la possibile acquisizione d’ufficio di mezzi di prova, è norma eccezionale, la quale preclude al giudice di sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori in un processo a connotato tendenzialmente dispositivo.

 

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Acquisizione d’ufficio delle prove

La Corte di Cassazione, se. Trib., con sentenza del 14 ottobre 2009, n. 21755 in tema di acquisizione d’ufficio delle prove da parte del giudice tributario ha ribadito che:

“A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori a lui attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

Tali poteri, infatti, sono meramente integrativi dell’onere probatorio principale , in quanto utilizzati solo qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire da parte di chi vi è tenuto, le prove richieste” (Cass. 1701/2001; conformi 4776/2002, 4713/2003, 1134/2006).

Il giudice tributario non può, quindi,attraverso l’acquisizione di documenti disposta ai sensi dell’art. 7 c. 3 del D.Lgs. n. 546/1992, sopperire all’onere probatorio che grava sul soggetto onerato, potendo solo integrare gli elementi forniti dalle parti.

Le Commissioni tributarie non possono sostituirsi nell’assolvimento dei doveri processuali delle parti, siano esse pubbliche o private.

Solo quando la situazione probatoria è tale che non possa pronunciarsi una sentenza ragionevolmente motivata, senza acquisire d’ufficio alcune prove, è corretto l’utilizzo da parte del giudice tributario di utilizzare i poteri d’acquisizione della prova ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 546/92; in altri termini, i poteri meramente integrativi dell’onere probatorio principale gravanti sulle parti, vanno utilizzati qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire da parte di chi vi è tenuto le prove richieste Sulla base del predetto orientamento, che porta alle estreme conseguenze il principio della terzietà del giudice tributario, in armonia con l’orientamento legislativo che ha portato all’abrogazione dell’art. 7 c. 3 del D.Lgs. n. 546/1992 (L. n. 248/2005) è stato evidenziato che :

a) deve essere cassata con pronuncia di merito di accoglimento del ricorso del contribuente la sentenza che abbia rigettato il ricorso, motivando sulla base di stima Ute acquisita d’ufficio (Sent. n. 1134 del 20 gennaio 2006 della Corte Cass., Sez. tributaria);

b) l’onere della prova della pretesa impositiva incombente sul fisco non può ritenersi assolto attraverso il mero richiamo ad un atto (stima Ute) mai acquisito al contraddittorio ; il giudice non può condividere le conclusioni contenute in un atto mai sottoposto , nelle forme processualmente stabilite al suo esame (Cassazione sez. v sentenza n. 2203 del 1/02/2006);

c) i poteri istruttori della Commissione Tributaria non hanno la funzione di sopperire a deficienze probatorie delle parti e, pertanto ,è onere della parte dimostrare contro l’assunto del fisco che l’incendio di un immobile è avvenuto prima della compravendita dell’immobile stesso; è corretto il mancato uso dei poteri istruttori da parte del giudice a fronte della mera allegazione da parte del contribuente di un evento sopravvenuto (incendio) che aveva diminuito il valore di un immobile (Cassazione sez. V sentenza n.7129 del 19 maggio 2003);

d) va negata l’esistenza di un obbligo del giudice tributario di sopperire alle deficienze probatorie del contribuente mediante l’acquisizione di documenti non prodotti (sentenza 15 giugno 2001, n. 8134).

Alle Commissioni tributarie è attribuito un potere di indagine che possono esercitare qualora dagli atti non risultino sufficienti elementi di giudizio e sempre che non ritengano di avere acquisito sufficienti elementi di giudizio, il tutto nei limiti dei fatti dedotti dalle parti.

Giova rilevare che la mini riforma sul contenzioso approvata con D.L. n. 203/2005. è intervenuta anche sull’art. 7, D.Lgs. 546/1992 sopprimendo il comma 3, che prevedeva la facoltà da parte delle Commissioni tributarie “di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia”.

Si trattava di una norma che si è prestata, a volte, ad un uso improprio, poiché l’ordine di acquisizione di particolari documenti ha, di fatto, sopperito alle carenze difensive di una delle parti, sollecitando la prova richiesta per la definizione della controversia (richiedendo magari il processo verbale di constatazione non prodotto in giudizio, ma richiamato per relationem dall’avviso di accertamento).

Questa abrogazione non altera comunque i poteri istruttori che sono accordati alle Commissioni tributarie dagli altri commi del citato articolo 7, in particolare “tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta”.

Le Commissioni tributarie, anche dopo la modifica dell’articolo 7 del D.lgs. n. 546 del 1992, disposta dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248, hanno la possibilità di esercitare poteri d’indagine, nell’ambito delle questioni dedotte dalle parti, e di integrare i dati acquisiti in giudizio, anche discostandosi dalle valutazioni dell’ufficio (Cassazione sentenza del 13 settembre 2006, n. 19593).

L’articolo 7 del D.Lgs. 546792 conferisce alla Commissione Tributaria gli stessi poteri di cui gode l’ente locale o ufficio in sede d’accertamento (accessi a luoghi determinati per constatare direttamente una determinata circostanza; richieste motivate di dati informazioni e chiarimenti, al fine di verificare il modo di essere dei fatti rilevanti in causa); peraltro, tali poteri, esercitabili nei confronti di chi non è parte nel processo tributario, possono essere esercitati anche nei confronti dell’ufficio o ente ossia nei confronti di tutte le parti in causa.

L’abrogazione dell’articolo 7, comma 3, del D.lgs. 546/92, comporta l’aumento della forbice tra verità materiale e l’esito virtuale poiché impedisce alle Commissioni tributarie di acquisire, documenti che gli enti impositori rimasti inerti nel corso del giudizio per non averli spontaneamente prodotti o, addirittura, per non essersi neppure costituiti, avevano l’onere di versare in atti.

 

13 giugno 2012

Antonio Terlizzi