Il Fisco non può chiedere documenti necessariamente già in suo possesso con Sentenza Cass. n. 1612/08

Il Fisco non può chiedere al contribuente documenti e informazioni necessariamente già in sua disponibilità. Inoltre l’Amministrazione stessa ha l’onere di produrre in giudizio ogni documento – anche favorevole al contribuente – che sia in suo possesso.

richiesta di documenti dall'amministrazione finanziariaLa sentenza n. 1612 del 25 gennaio 2008 della Corte di Cassazione, sez. tributaria (che trovi per esteso alla fine di questo contributo), merita di essere segnalata all’attenzione dell’operatore tributario in quanto ha statuito il seguente principio:

Ove l’ufficio adduca l’esistenza di un contratto registrato di compravendita di un immobile, è tenuto, ex art. 6 della l. n.  212/2000,  a produrre l’atto scritto che è in suo possesso  (e  che  solo  giustifica  il trasferimento  di  proprietà).  Perciò, il deposito di una “copia di interrogazione dati del registro della anagrafe tributaria” non è idoneo a provare le ragioni dell’ufficio, neppure ove il fisco adduca la brevità del termine accordato dal giudice di merito.

In buona sostanza, al contribuente, in forza dell’art. 6, comma 4, della l. 212/2000 (Statuto del contribuente) non possono essere richiesti documenti o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione, la quale, anche ai sensi dell’art. 18, n. 2, della l. 241/90 è tenuta d’ufficio ad acquisire o produrre il documento in questione o copia di esso.

Trova applicazione anche nel processo tributario, in quanto è espressione del più generale principio di collaborazione tra P.A. e privati, il disposto di cui all’art. 18 della l. n. 241/1990, ribadito per la materia tributaria dall’art. 6, comma 4, della l. n.  212/2000,  secondo  cui  il contribuente non è tenuto ad esibire documenti ed informazioni  in  possesso dell’Amministrazione finanziaria (Sent. n. 76 del 14 giugno 2007 dep. il 6 luglio 2007 della comm. trib. reg. di Roma, sez. XXVII).

Ai sensi dell’art. 6, comma 4, della l. 27 luglio 2002, n. 212, che richiama l’art. 18 della l. 7 agosto 1990, n. 241,

“al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione”,

perciò l’Amministrazione stessa ha l’onere di produrre in giudizio ogni documento – anche favorevole al contribuente – che sia in suo possesso.

E’ da tempo consolidata l’affermazione secondo cui nel processo tributario l’onere della prova grava sulla Amministrazione, attore in senso sostanziale.

Ed il collegamento del principio dell’onere della prova con il principio secondo cui

“al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione”

(art. 6, comma 4, l. 212/2000 ed art. 18, comma 2 della l. 241/1990) determina l’obbligo (e l’onere) per l’Amministrazione di produrre in giudizio ogni documento, anche favorevole al contribuente, che sia in suo possesso (Cass. 10 febbraio 2001, n. 1930).

Nel caso di proposizione di azione di rimborso, il giudice di merito può ben ritenere raggiunta la prova del quantum dovuto in restituzione laddove la prospettazione del contribuente non sia contestata dall’amministrazione attraverso la produzione della documentazione a sua disposizione (Sent. n. 4239 del 25 settembre 2003 dep. il 2 marzo 2004 della Corte Cass. sez. tributaria).

Qualora il contribuente, durante il processo, dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso dell’Amministrazione, il giudice non deve provvedere d’ufficio alla loro acquisizione ex art. 18, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241 (Sent. n. 1765 del 16 maggio 2003 dep. il 30 gennaio 2004 della Corte Cass. sez. tributaria).

Nel caso in cui il contribuente deduca che la prova di una determinata circostanza a lui favorevole emerge dalla documentazione detenuta dall’amministrazione finanziaria, quest’ultima è tenuta a pronunciarsi in maniera espressa e non generica sull’effettivo possesso degli atti in questione, in forza del principio di collaborazione fra P.A. e privati, confortato dalla legge n. 212/2000 che ha dettato le disposizioni in tema di statuto del contribuente, da cui deriva una diversa ricostruzione dei loro rapporti anche in materia di distribuzione dell’onere della prova (Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 14-11-2001, n. 14141).

NOTE

1) Poiché in base all’art. 6, comma 4 della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) l’amministrazione non può chiedere al contribuente documenti ed informazioni di cui già sia in possesso, è illegittima (e deve essere disapplicata) la disposizione di un regolamento comunale che imponga al proprietario di un immobile locato a canone così detto “concordato”, e quindi soggetto ad Ici con aliquota ridotta, di produrre ogni anno autocertificazione circa la sussistenza dei relativi requisiti, dal momento che con la prima autocertificazione il contribuente attesta la sussistenza di un contratto pluriennale, il cui perdurare può essere accertato dal Comune assumendo informazioni presso l’Agenzia delle Entrate essendo il contratto è soggetto a registrazione (Sent. n. 301 del 1° ottobre 2007 dep. il 29 ottobre 2007 della comm. trib. prov. di Bologna, sez. XII).

2) Le fotocopie depositate in giudizio hanno piena efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2719 del codice civile, a meno che la loro conformità non sia espressamente disconosciuta, ingenerando così l’ipotesi che la copia esibita sia contraffatta. Non ha valore di disconoscimento la richiesta dell’Ufficio affinché sia prodotto l’originale, laddove si tratti di documenti posseduti dall’Amministrazione, in quanto l’art. 6, comma 4, della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei contribuenti) vieta espressamente all’Amministrazione di richiedere al contribuente documenti ed informazioni già in possesso della stessa. (Sent. n. 118 del 20 maggio 2005 dep. il 29 luglio 2005 della comm. trib. reg. di Roma, sez. IX).

3) L’onere della prova dell’osservanza dei termini previsti, a pena di decadenza, … per l’iscrizione a ruolo e la notifica della cartella di pagamento, incombe – ove il contribuente ne contesti l’avvenuto rispetto – sull’Amministrazione finanziaria e non sul contribuente, atteso che si tratta di fatto costitutivo dell’obbligazione tributaria e che esso ha ad oggetto documenti in possesso dell’Amministrazione il cui comportamento dev’essere coerente con i principi di buona fede e trasparenza contenuti nel c.d. statuto del contribuente” (Cass. n. 7093/2003 ; Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 16-07-2004, n. 13198).

Carmela Lucariello

7 Febbraio 2008

“IL PRESENTE INTERVENTO E’ ESPRESSIONE PERSONALE DELL’AUTORE.

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ALLEGATO

Sent. n. 1612 dell’8 novembre 2007 (dep. il 25 gennaio 2008) della Corte Cass. sez. tributaria –

Svolgimento del processo – M.L.F. ha impugnato l’avviso di  liquidazione luglio 1998, con cui l’Ufficio del registro di  Roma  ha  revocato  nei  sui confronti le agevolazioni fiscali di cui alla L.5 aprile 1985, n.  118  per l’acquisto di “prima casa” in Roma, Via P. 22, e  ciò  sulla  base  di  atto reg.to il 15.4.1987 al n. 17256.

Avendo la contribuente eccepito di non essere a conoscenza di vendita  o acquisto, da parte sua, di altro immobile, i primi  giudici  hanno  ordinato all’Ufficio di produrre copia dell’atto pregresso entro 60 gg., e non avendo l’Ufficio ottemperato, hanno accolto il ricorso. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con  sentenza  21  giugno 2001, ha accolto l’appello dell’Ufficio che,  dopo  aver  lamentato  di  non avere potuto produrre copia dell’atto in questione  a  causa  degli  stretti tempi concessi, ha comprovato il proprio operato mediante la  produzione  di “copia di interrogazione  dati  del  registro  della  anagrafe  tributaria”, documento  apprezzato  dai  giudici  d’appello  come  sufficiente  ai   fini probatori.

M.L.F. ha chiesto la cassazione di tale sentenza sulla base di un  unico motivo. L’Amministrazione finanziaria si è tardivamente costituita. Motivi della decisione – Adducendo violazione  degli  artt.  2697,  2725 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere i giudici d’appello  attribuito  valore  di  prova  ad  un  foglio intitolato  “collegamento  anagrafe  tributaria”,  mentre   la   prova   del trasferimento di beni immobili necessita della produzione dell’atto scritto, mediante copie legalmente  rilasciate  da  pubblici  ufficiali,  sussistendo l’onere per il contribuente di provare fatti contrari soltanto  in  presenza di prove sufficienti a sostegno della legittimità della pretesa fiscale.

Il ricorso è fondato. Premesso che per il trasferimento di beni  immobiliari  è  richiesta,  a pena di nullità, la forma scritta, per cui la prova del trasferimento stesso non  può  che  avvenire  mediante  produzione  in  giudizio  del   documento contrattuale  (Cass.  2101/97),  non  surrogabile  attraverso  altri   mezzi probatori quali le presunzioni (Cass. 1811/90), a meno che  non  vi  sia  un principio di prova per iscritto proveniente dalla stessa parte, o quando  vi sia stata impossibilità morale o materiale o  perdita  del  documento  (art. 2724 cod. civ.), ipotesi nella  specie  non  sussistenti,  il  contratto  in questione,  a   detta   dell’Ufficio   sottoposto   a   registrazione,   era necessariamente nella disponibilità dell’Ufficio procedente, che si è invece limitato a produrre una mera informativa del Servizio  anagrafe  tributaria, il quale, per la possibilità di errori dì trascrizione  insiti  nei  sistemi telematici (anche se volesse configurare quella  “copia  di  interrogazione” come indizio o presunzione di un  trasferimento  immobiliare)  non  può  mai assurgere al rango  di  prova  stante  la  rigidità  del  regime  probatorio relativo alla materia dei beni immobili.

Né alla contribuente, in forza dell’art. 6, comma 4, della  L.  212/2000 (Statuto  del  contribuente)   potevano   essere   richiesti   documenti   o informazioni già necessariamente in possesso dell’Amministrazione, la quale, anche ai sensi dell’art. 18, n. 2, della L. 241/90 era tenuto  d’ufficio  ad acquisire o produrre il documento in questione o copia  di  esso,  onere  al quale non ha palesemente adempiuto.Il ricorso va quindi accolto, con cassazione della  sentenza  impugnata. Null’altro essendovi da accertare, la causa può essere  decisa  nel  merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo,  con euro 2.000,00= per onorari. P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso, cassa la  sentenza  impugnata  e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente.