Il reclamo tributario e gli strumenti deflativi del contenzioso tributario

La procedura di reclamo e mediazione fiscale si inserisce in un più ampio quadro di gestione del contenzioso prima del processo tributario.

strumento deflattivi del contenzioso del lavoroLa possibilità di scendere a patti col Fisco è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 218/1997 recante disposizioni in materia di accertamento con adesione.

L’introduzione di ulteriori strumenti deflativi del contenzioso tributario, ad opera della manovra triennale del 2007 e del decreto anticrisi di fine 2008, ha accelerato la riscossione dei proventi della lotta all’evasione e stabilizzato il numero delle liti tra contribuenti e fisco.

La litigiosità tra contribuenti e amministrazione finanziaria viene molto limitata grazie all’offerta di ottime riduzioni sulle sanzioni, tanto più generose, quanto prima si risolve la controversia, se del caso, anche attraverso un ridimensionamento delle pretese erariali.

 

Istituti deflattivi del contenzioso

Al fine di rendere meno distaccata la fase dell’accertamento da quella della riscossione, sono stati previsti degli istituti che, attraverso la rinuncia alla fase giudiziale, permettono al contribuente e al Fisco di entrare in un “dialogo” tanto agognato, con effettivi benefici, in termini di riduzioni delle sanzioni, di possibilità di pagamento rateale delle somme e in alcuni casi anche di piccole esimenti da possibili accertamenti futuri – relativamente ai contribuenti, ed in termini di riduzione del contenzioso e costi della giustizia – relativamente al Fisco, ormai oberato di giudizi in attesa di essere decisi.

Con la circolare 20/E del 20 maggio 2010, l’Amministrazione finanziaria coglie l’occasione per promuovere questo tipo di strumenti, con l’intento di minimizzare la conflittualità tra Stato e contribuente, evitare i costi relativi all’instaurazione di contenziosi inutili e perseguire la strada delle Commissioni tributarie solo qualora tale scelta sia ragionevolmente opportuna.

Pare così, che negli ultimi 15 anni, gli strumenti deflativi del contenzioso abbiano raggiunto brillanti obiettivi, sia in termini processuali che in termini numerici.

La tanto voluta e cercata partecipazione del contribuente al procedimento di verifica del Fisco abita in questi strumenti consensuali, che mitigano l’accesso al contenzioso ma, allo stesso tempo, non ne precludono l’avvio ed in alcuni casi, ne fanno cessare gli effetti in virtù di pronte risoluzioni.

 

L’accertamento con adesione

accertamento con adesioneIn tema di strumenti deflativi, il più utilizzato, risulta sicuramente l’accertamento con adesione.

Infatti, ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. n. 218/del 19.06.1997, l’accertamento delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto può essere definito con l’adesione del contribuente. L’istituto, che costituisce un prius rispetto all’accertamento vero e proprio, evita l’emissione dell’atto impositivo impugnabile innanzi alla commissione tributaria provinciale.

La norma in esame non prevede soltanto “la rettifica della dichiarazione”, ma ammette la definizione anche in assenza di dichiarazione; inoltre se viene notificato un atto di accertamento, purché non preceduto dall’invito ad aderire e purché non impugnato, è possibile proporre istanza di adesione che, nel caso di insuccesso, non preclude l’incipit della causa in commissione tributaria.

In sintesi, tale strumento permette, la rideterminazione delle maggiori imposte accertate, attraverso il riesame dell’atto di accertamento, a seguito del contraddittorio tra fisco e contribuente.

La caratteristica dell’istituto de quo, risiede nella premialità che discende dal suo utilizzo, in alternativa all’immediato ricorso; in particolare, in termini di sanzioni, ridotte ad un terzo, oltre che nella sospensione dei termini per l’impugnazione, di 90 giorni.

In un’ottica di risoluzione fiscale, come quella che ci apprestiamo a vivere, l’accertamento con adesione ha prodotto una serie di soluzioni a casi importanti, tale da essere preferito alla quasi totalità degli istituti a garanzia del contribuente (come l’autotutela, l’acquiescenza).

Ricordiamo che tale istituto può essere attivato sia dal fisco che dal contribuente e che può produrre effetti positivi – che sbarrano la strada alla fase giudiziale, o effetti negativi – che si antepongono all’avvio del giudizio.

A seguito di un attento confronto tra la mediazione e l’istituto dell’accertamento con adesione, emergono una serie di dicotomie, oltre che alcune similitudini.

Innanzitutto, si tratta di due istituti differenti e autonomi; nessuna delle due esclude l’altra, anzi mentre l’adesione si verifica in una fase antecedente al contenzioso e può arrestarsi con un accordo stragiudiziale, il reclamo, seppur beneficiando, come nell’adesione, dell’eventuale definizione transattiva stragiudiziale, può, effettivamente, essere considerato l’anticamera della fase processuale.

Tanto vero che, in assenza di reclamo, il ricorso risulta inammissibile.

Come noto, l’istituto dell’adesione prevede il riesame da parte dell’ufficio della pretesa erariale; accade di frequente, che la pretesa sia rideterminata in modo parziale e che per la restante somma non concordata, il contribuente decida di proporre ricorso. Dal primo aprile 2012, in tutti i casi in cui dovesse prospettarsi una fattispecie analoga, al ricorrere dei presupposti (atto emesso dall’agenzia delle entrate e soglia fino ad un massimo di € 20.000,00), sarà obbligatorio proporre un reclamo preventivo alla fase giudiziale.

La netta differenza intercorrente tra i due istituti, seppur ambedue con natura premiale, consiste innanzitutto nell’identificazione del contraente “più forte”; in entrambi i casi, si tratta dell’Ufficio, anche se, come specificato dalla norma (art. 17 bis), nel caso di reclamo, ci sarà un ufficio diverso da quello che ha emesso l’atto, a valutare la fattispecie.

Ci si sarebbe aspettati di doversi rivolgere ad un “mediatore”, ma nonostante le precisazioni circa l’”autonomia” dell’ufficio che si occuperà dei reclami, si intravede, ancora una volta, una sorta di “abuso del diritto”, formulato per vie legali.

Già con l’istituto dell’adesione, nonostante i benefici concessi agli utilizzatori dello stesso, il contribuente si trova a dover “spiegare” le risultanze delle pretese, sapendo che non si trova a doverlo fare con una parte terza ed imparziale – come peraltro vorrebbe la Costituzione – ; con la mediazione non abbiamo ancora la certezza che il riesame della posizione contributiva venga fatto da un organo terzo e imparziale, anzi, la certezza è che sicuramente non lo sarà.

Tuttavia, ricordiamo che – come previsto dall’art. 4 del D. Lgs. n. 218/1997 –

“La definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, relativo all’accertamento delle imposte sui redditi, e dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l’imposta sul valore aggiunto:

a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali e’ possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a centocinquanta milioni di lire;

b) se la definizione riguarda accertamenti parziali;

c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria;

d) se l’azione accertatrice e’ esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi e’ intervenuta la definizione.”

In questi casi, il contribuente che volesse proporre ricorso sarà obbligato a fare una proposta di reclamo preventiva al ricorso, con la sola differenza che mentre nell’accertamento con adesione il contribuente, come notoriamente accade, non presenta all’ufficio la documentazione completa a riprova dell’infondatezza della domanda erariale, in quanto, si precluderebbe, in una fase successiva, gli aspetti della difesa prospettabili in un ricorso di cui dovrà decidere un giudice – in teoria terzo e imparziale – .

Invero, il contenuto del reclamo dovrà essere identico a quello del ricorso, a pena d’inammissibilità, facendo così, in qualche modo svelare tutta la tesi difensiva del contribuente.

Infatti, è importante rilevare che l’adesione non rappresenta un grado di difesa del contribuente, cosa che invece è alla base del reclamo, sia per la circostanza temporale (ricordiamo che la predisposizione del reclamo presuppone la notifica avvenuta di un atto di accertamento), sia per un aspetto contenutistico (l’adesione non ha requisiti obbligatori a pena d’inammissibilità).

In buona sostanza, esclusi i casi in cui l’ufficio è tenuto ad una preventiva convocazione del contribuente – come nei procedimenti relativi agli studi di settore, la normativa antielusiva e i nuovi accertamenti sintetici – il reclamo si dovrebbe inserire tra l’esito negativo di un accertamento con adesione e la costituzione in giudizio dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale.

Tanto vero che la norma non prevede in alcuna maniera – nelle stesse circostanze in cui il reclamo si renda obbligatorio – non possa, allo stesso tempo, applicarsi l’istituto dell’adesione: ben potrà ritenersi un’ulteriore fase stragiudiziale antecedente al contenzioso.

Infatti, durante gli ulteriori 90 giorni concessi dalla proposizione del reclamo, è fatta salva la possibilità al contribuente di formulare una vera e propria proposta di mediazione (comprensiva della rideterminazione dell’ammontare della pretesa),o, in caso di discordanza, in base ad una proposta formulata dall’ufficio.

Quello che si cerca di evitare a tutti i costi è l’instaurazione del contenzioso, attraverso una specie di

“annullamento” dell’atto impositivo, in quanto la norma prescrive che “decorsi 90 giorni senza che sia notificato l’accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso”,

con la conseguenza che i termini per la costituzione in giudizio decorrono da questa data; diversamente in caso di diniego o di accoglimento parziale i termini decorrono dal ricevimento del diniego o dell’accoglimento parziale.

Infine, non si capisce come, secondo la norma in esame, possa definirsi la procedura di reclamo che “si perfeziona nei modi previsti per la conciliazione giudiziale, le cui disposizioni, in quanto compatibili, sono espressamente richiamate”.

Ricordiamo che la conciliazione giudiziale, prevista dall’art. 48 del D. Lgs. 546/92 è uno strumento tipico della fase giudiziale, non a caso posizionato molto oltre la fase introduttiva del contenzioso; in più, il richiamo alla conciliazione prevede la definizione delle sanzioni nella misura del 40%, pertanto più elevate rispetto alla misura di un terzo stabilita dalla definizione stragiudiziale di adesione, oppure con l’omessa impugnazione.

Leggi anche: Regole e termini dell’accertamento con adesione

 

L’autotutela

autotutela nel contenzioso tributarioTra gli strumenti consensuali dell’accertamento, troviamo anche l’istituto dell’autotutela, disciplinato dalle previsioni di cui all’art. 68 del D.P.R. n. 287 del 1992 e all’art. 2-quater del D. Lgs. n. 564 del 30 settembre 1994 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656 del 30 novembre 1994) e regolamentato dal Decreto del Ministero delle Finanze n. 37 dell’ 11 febbraio 1997.

L’autotutela costituisce il potere/dovere dell’amministrazione finanziaria di correggere o annullare, su propria iniziativa o su richiesta del contribuente, tutti i propri atti che risultano illegittimi o infondati.

Tale potere spetta all’ufficio che ha emanato l’atto o che è competente per gli accertamenti d’ufficio, oppure – in via sostitutiva e in caso di grave inerzia – alla Direzione Regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende.

L’autotutela tributaria determina la capacità contributiva manifestata dal presupposto ovvero la giustizia dell’imposizione.

Ciò a cui mira il contribuente, quando ricorre all’autotutela, è l’accertamento di legittimità sull’infondatezza della pretesa impositiva o dell’indebita corresponsione di una somma effettuata a titolo d’imposta al fine della sua restituzione. Attraverso un controllo di legittimità, il contribuente ha come unico scopo quello di non subire un’ingiusta imposizione.

La caratteristica risiede nella genesi normativa di rango costituzionale alla quale si ispira l’istituto, in espresso richiamo degli artt. 23 e 53 della Costituzione in cui si prevede che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” e “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Notiamo subito come, differentemente dall’adesione e comunemente al reclamo, l’esercizio dell’autotutela avviene in un momento successivo a quello dell’emissione dell’atto di accertamento, in quanto il presupposto per la sua applicabilità è un atto di accertamento e la sua legittimità può essere attivata d’ufficio e consta di tre situazioni che si identificano nell’annullamento, revoca o rinuncia all’imposizione.

Importante il termine entro cui può essere proposta l’autotutela da parte del contribuente, ovvero fino al sopraggiungere del giudicato della sentenza.

Questo significa, che, anche in pendenza di giudizio, può essere formulata un’istanza di autotutela, o nei casi di non impugnabilità.

Anche in questo caso, non ci troviamo di fronte ad uno strumento di difesa strictu sensu, in cui il contribuente ha la facoltà di esprimere i propri rilievi relativamente alle censure segnalate dall’amministrazione finanziaria; diversamente, in questa sede, viene valutato l’errore, l’incompetenza, la tutela di un interesse pubblico, la legittimità dell’atto.

Se vogliamo, è anche un po’ l’intento che si propone l’istituto del reclamo, attraverso il tentativo di addivenire ad un componimento che ponga le basi per un annullamento dell’atto portato a conoscenza del contribuente.

Analogamente all’istituto del reclamo, abbiamo una dispersione di competenze relativamente al principio contenuto nello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) e precisamente all’art. 7 comma 2, lett. b) in cui è previsto che

“l’Amministrazione finanziaria e i Concessionari della riscossione devono indicare tassativamente nei propri atti l’organo o l’Autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito degli atti stessi in autotutela”.

Dunque, non solo un riesame in sede di legittimità, ma anche una valutazione nel merito, per di più fatta da un organo o da un’Autorità che, oltre a rendersi responsabile dell’atto “annullabile”, si renda anche funzionale ad una valutazione nel merito della fattispecie.

Anche in questo caso, in parallelo con il reclamo, non ci è dato conoscere chi e secondo quale procedura (che dovrebbe essere soggetta alla trasparenza come disciplinata nella L. 241/90), ricopre la figura dell’Autorità nel caso dell’autotutela e del “mediatore”, nel caso del reclamo.

Tuttavia, uno spiraglio di luce appare descritto nel successivo art. 13 dello Statuto, in cui compare, in veste di organo esterno all’Amministrazione finanziaria, il Garante del Contribuente – che secondo autorevole dottrina avrebbe un “potere di iniziativa di ufficio eteronoma” – .

E così, in virtù della citata disposizione, sarebbe auspicabile, o perlomeno in qualche circostanza logico, pensare che una qualche figura “terza ed imparziale” è già presente sulla scena fiscale, ma che la prassi non ha mai coinvolto al punto tale da determinare una scelta univoca e decisa nei suoi confronti.

Durante l’approvazione del D.d.L. di stabilità finanziaria per il triennio 2012 – 2014, il Consiglio dei Ministri ha deciso di trasformare la figura del Garante del Contribuente da due o tre componenti di cui era formato, a organo monocratico; come dire che una figura terza ed imparziale non prenderà mai parte ai simposi tra fisco e contribuenti.

Infine, appare opportuno ricordare che, l’autotutela non sospende il termine per ricorrere, a differenza dell’adesione, in quanto, stante il carattere meramente amministrativo dell’istituto, l’unico rimedio esistente, in presenza di un anomalo silenzio dell’amministrazione, è la procedura contenziosa che, a partire dal 1° aprile 2012, sarà obbligatoriamente attivabile – al ricorrere dei requisiti innanzi specificati – esclusivamente previa presentazione del reclamo ex. art. 17 bis D. Lgs. 546/92.

 

 

Ti suggeriamo: Istituti deflattivi del contenzioso e regole di rateazione: accertamento con adesione, acquiescenza, conciliazione, mediazione e reclamo…

 

22 Maggio 2012

Maurizio Villani

Francesca Giorgia Romana Sannicandro