La disciplina delle società di comodo

La disciplina delle società di comodo; un approfondimento con tutte le novità da applicare ed i problemi ancora aperti.

società di comodoLe società di comodo rischiano di divenire, nel prossimo futuro, quanto di meno confortevole possa rinvenirsi nel mondo aziendale.

Infatti il legislatore tributario con una manovra a tenaglia ha stretto d’assedio questi soggetti prevedendo, da una parte, l’innalzamento dell’aliquota impositiva in tutte le occasioni in cui il soggetto non sarà in grado di raggiungere un livello di ricavi adeguato, e dall’altra stabilendo l’impossibilità per gli stessi, in un contesto economico di crisi senza precedenti, di produrre perdite, fiscali ben s’intende.

Ma rispolverando poi antiche convinzioni il medesimo legislatore ha stabilito, pure, un inasprimento del trattamento tributario dei beni promiscuamente utilizzati sia per fini aziendali che personali da parte dei soci ovvero da parte degli imprenditori individuali.

Il canovaccio normativo delle previsioni sopra ricordate è rinvenibile nell’articolo 2 della manovra fiscale di ferragosto nei commi da 36 quinquies a 36 duodecies, in forza dei quali è stato decisamente inasprito, ed acuito, il regime impositivo delle società non operative a partire dal periodo di imposta 2012.

Contemporaneamente il medesimo articolo 2, ma ai commi da 36 terdecies a 36 duodevicies, ha introdotto una nuova tipologia di reddito diverso per i soggetti che utilizzino, senza corrispettivo alcuno, ovvero corrispondendo un corrispettivo inferiore al reale valore di mercato, beni di pertinenza aziendale.

I due provvedimenti intimamente connessi l’un l’altro paiono essere l’ennesimo tentativo, e forse nemmeno l’ultimo della serie, di dissuasione delle volontà delle persone fisiche di inserire, o meglio sarebbe dire schermare, nell’attivo patrimoniale, beni in realtà utilizzati a titolo personale.

L’evidente scopo ultimo del provvedimento è l’ampliamento delle informazioni disponibili, per l’anagrafe tributaria, in materia di ricostruzione in via sintetica del reddito delle persone fisiche attraverso i già potentissimi strumenti a sua disposizione del redditometro e dello spesometro.

La norma istitutiva della società di comodo

La previsione di società non operative fu introdotta dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 e successive modificazioni intervennero col comma 15 dell’art. 35 del d. l. n. 223 del 2006.

Tale disciplina, si ricorda, ha come finalità:

  • in primo luogo, quella di individuare le società per le quali la sproporzione, tra beni patrimoniali di cui la società dispone e valore della produzione da esse sviluppato, risulta tale da giustificare l’applicazione di una presunzione di “non operatività”, ossia di società la cui funzione, al di là dell’oggetto sociale formalmente indicato nello statuto, è in realtà quella di “gestire il proprio patrimonio”, chiaramente nell’interesse dei soci, piuttosto che quello di esercitare un’effettiva attività commerciale o industriale;
  • in secondo luogo, quella di individuare una soglia di reddito minimo che deve essere obbligatoriamente dichiarato dalle società per le quali risulta applicabile la predetta presunzione di “non operatività”.

Ciò premesso gli aspetti salienti della normativa si possono così riassumere:

  • previsione di percentuali di redditività da applicarsi agli assets aziendali ai fini di verificare la sussistenza di un volume dei ricavi minimale o per meglio dire di operatività;
  • previsione di percentuali che la norma stabilisce per calcolare il reddito minimo “obbligatorio” dei soggetti per i quali trova applicazione la presunzione di “non operatività” ;
  • impossibilità di richiesta e rimborso o di utilizzo in compensazione del credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale;
  • previsione di stringenti presupposti e condizioni utili ai fini della disapplicazione della norma.

Analizziamo ora più da vicino, seppur schematicamente, le novità intervenute con la manovra ferragostana.

Le nuove società non operative

Come detto il Legislatore con la manovra di ferragosto ha attuato una doppia stretta sulle società non operative aumentando da un lato l’aliquota I.Re.S. del 10,5%, e introducendo, dall’altro una nuova presunzione per le società che per tre anni consecutivi dichiarino una perdita fiscale, attraendo così nella disciplina degli enti non operativi una moltitudine di contribuenti che nulla hanno a che fare con le finalità della norma.

La nuova aliquota dell’imposta sul reddito delle società risultante, quindi, gravante sui soggetti indicati nell’articolo 30, comma primo, della legge 23 dicembre 1994, numero 724, diviene, applicando la maggiorazione di 10,5 punti percentuali, pari al 38 per cento.

Vi è da segnalare che la suddetta disposizione normativa modificativa dell’aliquota di imposta non è stata inserita nella specifica disciplina delle società non operative, ne all’interno del TUIR ove vengono evidenziate le aliquote di imposta, con la conseguenza, a livello interpretativo, dell’induzione, nell’analista della norma, di una presunzione di vigenza della maggiorazione dell’aliquota solo temporanea, ovvero di una semplice destrutturazione della normativa tributaria.

Ma i punti controversi della nuova disciplina si estendono anche alla creazione di un disallineamento tra le società di capitali e le società di persone. Infatti, dopo le intervenute modifiche normative, il carico fiscale gravante sulle società di comodo configurate sotto la forma di società di persone non risulta incrementato. E questa circostanza potrebbe ingenerate, negli operatori economici, la previsione di utilizzazione di strutture societarie che potrebbero annullare la maggiorazione introdotta dal legislatore.

Pertanto a rigor di norma l’addizionale impositiva si applica nei casi seguenti:

  • ai redditi imputati per trasparenza da una società di persone non operativa ad una società di capitali che la partecipa; ma nel caso dell’esistenza di una pluralità di soci, persone fisiche e giuridiche, la maggiorazione impositiva graverà solo parzialmente sul reddito prodotto del soggetto
  • Ai redditi prodotti da ciascun soggetto non operativo optante per il regime della tassazione consolidata prevista dall’articolo 117 del TUIR; impedendo, così facendo, che la base imponibile soggetta alla maggiorazione IRES venga erosa dalla compensazione dello stesso con perdite fiscali prodotte da altri soggetti aderenti al regime di tassazione consolidato.
  • Ai redditi imputati per trasparenza ai sensi dell’articolo 5 del TUIR da una società non operativa ad una società aderente al regime di tassazione
  • Ai redditi imputati a una società di comodo aderente, in qualità di partecipata, al regime di trasparenza ai sensi degli articoli 115 e 116 del TUIR.
  • Ai redditi imputati a una società di comodo aderente, in qualità di partecipante, al regime di trasparenza ai sensi degli articoli 115 del TUIR.

L’enucleazione dei problemi applicativi in argomento però si estende pure alla determinazione del carico fiscale gravante sulla società non Infatti l’aliquota maggiorata del 38% percuoterà un imponibile pari al reddito minimo, determinato con le aliquote di redditività previste dalla normative per i soggetti che, non avendo superato il test di operatività, e che nel contempo non manifestino cause di esclusione, ovvero che non abbiano visto accettata l’istanza di interpello da parte dell’amministrazione finanziaria, determinano un reddito inferiore a quello minimale. E ciò in forza di un richiamo esplicito della novella normativa all’articolo 75 del TUIR.

Nella realtà dei casi potrebbe, però, pure manifestarsi l’eventualità che una società non operativa, a causa del mancato supero test di operatività, dichiari un imponibile fiscale superiore al reddito minimo. In questo caso il contribuente avrebbe potuto essere tentato dall’applicazione delle maggiorazioni di imposta solo ed esclusivamente sul reddito minimo da dichiararsi per il sol fatto di essere un soggetto non operativo.

Il legislatore, al fine di evitare ogni e qualsiasi tentazione in tal senso, ha invece previsto che la maggiorazione dell’aliquota incida sul reddito globale dichiarato, anche qualora quest’ultimo risulti superiore a quello minimo. Invero questa lettura della normativa in analisi non scaturisce direttamente dalla formulazione del testo di legge, ma deve essere espunta dalla relazione tecnica di accompagnamento al maxiemendamento introduttivo della previsione della maggiorazione.

In buona sostanza quando un soggetto non supera il test di operatività si abbattono sullo stesso tutte le nefaste conseguenze previste dalla normativa. La concettualità di reddito minimo è da considerarsi, invece, una mera questione tecnica utilizzata al fine di coniugare, al valore degli assets patrimoniali, l’imponibile tributario.

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La riportabilità delle perdite e reddito minimo

A questo punto della trattazione è però necessario introdurre nel ragionamento un ulteriore elemento di analisi coincidente con la riportabilità, in campo tributario, delle perdite pregresse.

Senza dubbio adombrare sulla utilizzabilità delle medesime esclusivamente per l’abbattimento della quota di reddito eccedente quello minimo, ed in virtù delle ulteriori modifiche normative intervenute in argomento nella misura massima dell’ottanta per cento degli imponibili, si dovrebbe ritenere che la maggiorazione di imposta non gravi sulla quota parte di reddito ridotto, seppur nei limiti suddetti, dalle perdite fiscali pregresse. Valendo, in chiave interpretativa, per tale assunto, il richiamo effettuato dalla normativa in analisi all’articolo 75 del TUIR precedentemente citato, che evoca il concetto di base imponibile.

Al contrario una corrente di pensiero più rigorista, e maggiormente garantista, in favore dell’amministrazione finanziaria, potrebbe propendere per l’inutilizzabilità tout court delle perdite fiscali pregresse al verificarsi di condizioni di non operatività. Tesi che ci sentiamo di non condividere per la sua palese carenza di supporto normativo e dottrinale.

Decorrenza delle nuove norme

Le nuove disposizioni normative in tema di maggiorazione dell’aliquota IRES decorreranno dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della manovra ferragostana, e coincidente per i soggetti con il periodo di imposta identico all’annualità solare, al 2012.

Vi sarà da porre, però, particolare attenzione alla data di decorrenza della modifica normativa, nel momento di determinazione, all’interno del modello UnicoSC2012, dell’ammontare degli acconti dovuti da questa particolare categoria di contribuenti. Infatti, poiché la norma sarà già a regime per quel tempo, la stessa non potrà essere ignorata dal contribuente che, si troverà obbligato, a rideterminare gli acconti stessi come se quella norma fosse già stata vigente anche nel periodo di imposta precedente, con un evidente aggravio delle condizioni finanziarie.

La nuova condizione di non operatività: le perdite sistemiche

La seconda modificazione intervenuta nell’ambito della disciplina fiscale delle società di comodo è la previsione di una nuova fattispecie di non operatività in base alla quale, pur non ricorrendo i presupposti di cui all’articolo 30 della legge numero 724 del 1994, attrae nel regime le società che si trovino nelle seguenti situazioni:

  • presentino dichiarazioni dei redditi in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi, e facendo scattare la non operatività a decorrere dal successivo quarto periodo di imposta;
  • nell’arco temporale di tre periodi di imposta consecutivi, siano per due periodi di imposta in perdita fiscale e in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore all’ammontare minimo determinabile ai sensi dell’articolo 30 della legge numero 724 del 1994; anche in questa eventualità la non operatività decorrerà dal periodo di imposta successivo al triennio.

Vi è da sottolineare come in entrambe le situazioni, seppur innovative e non previste nella regolamentazione originaria, restino ferme, le cause di non applicazione della disciplina punitiva in materia di società non operative, con riferimento sia a quelle indicate dalla norma originaria sia a quelle previste in momenti successivi dall’agenzia delle entrate.

Questa affermazione ad una prima lettura della novella normativa era apparsa piuttosto dubbiosa, ma in un recente incontro avuto dall’agenzia delle entrate con la stampa specializzata, è stata confermata la suddetta interpretazione, e, quindi, anche per le società che dovessero trovarsi in tali situazioni di perdita sistemica varranno le condizioni esimenti previste nei provvedimenti legislativi, e di prassi, emanati nel corso degli anni dall’amministrazione finanziaria.

La riflessione principale che può farsi analizzando questo nuovo elemento di stretta sulle società non operative è la palese inversione di rotta operata dal legislatore.

Infatti mentre nella disciplina precedente il soggetto giuridico incappava nel regime in conseguenza del mancato raggiungimento di un volume di ricavi minimale, a nulla rilevando l’entità del reddito imponibile, oggi con l’aggiunta di questa nuova previsione, viene spostata l’osservazione, e l’obiettivo aziendale minimale da raggiungere, al risultato economico di esercizio.

Con la novella normativa viene spostato il baricentro della soglia di attenzione all’aspetto reddituale aziendale, che in ipotesi di risultati non soddisfacenti, può comportare l’attribuzione al soggetto societario della patente di società non operativa.

Si deve ritenere che la volontà del legislatore sia stata quella di contrastare alcuni comportamenti “attenti”, da parte degli amministratori delle stesse, miranti a bilanciare il livello dei ricavi, conosciuti aprioristicamente sulla base dell’applicazione di determinati coefficienti percentuali agli assets aziendali, con un’entità di costi capaci di sterilizzare l’entità reddituale così determinata.

È assolutamente evidente che, dopo le modifiche legislative intervenute, con la manovra di ferragosto queste alchimie elusive non saranno più esperibili.

Non solo, ma va sottolineato pure come, dopo aver assegnato importanza alla casistica delle perdite fiscali triennali, si è proceduto pure alla creazione di una barriera capace di impedire eventuali comportamenti finalizzati a dichiarare redditi ridicoli, pari magari ad un euro soltanto, per interrompere la sequenza triennale delle perdite di natura fiscale.

E quindi per superare questa barriera si è ritenuto necessario, e sufficiente, la dichiarazione di un reddito minimo, ma parametrizzato al reddito basico previsto dalla normativa, ossia una entità reddituale imponibile che trae origine dal valore dei beni rilevanti.

Operativamente, pertanto, il soggetto dovrà riferire le proprie analisi avendo innanzi una bussola che indichi la direzione da seguire, tenendo in debita considerazione la propria posizione all’interno del triennio pregresso al periodo di imposta di riferimento, non potendo più fare affidamento, per l’esclusione dal regime di non operatività, sul superamento del test di operatività. Acuendo il tutto con la considerazione che la presenza di eventuali perdite pregresse, o di redditi insufficienti rispetto alla bisogna, potrebbero attrarre nel regime.

Ovviamente, anche per questa nuova ipotesi la decorrenza delle stesse è fissata dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge numero 138 del 2011, ossia dal periodo di imposta 2012.

La novità tuttavia è capace di produrre effetti anticipatamente alla sua entrata in vigore. Infatti nella determinazione degli acconti di imposta dovuti per il primo periodo di imposta di prima applicazione si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni.

Ma il vero punto nodale di questa nuova disposizione è quello di determinare se, approssimandosi al periodo di imposta 2012, l’osservazione sul trend triennale dei risultati della società debba essere effettuato basandosi su periodi antecedenti allo stesso, ovvero dallo stesso.

Sarà necessario, pertanto, comprendere se, relativamente al periodo di imposta 2012, una azienda possa essere attratta nel meccanismo delle società di comodo, se ha prodotto perdite fiscali per il triennio 2009 – 2011.

Analizzata la normativa, e la relazione di accompagnamento, alla stessa appare ragionevole concludere in senso positivo, rispetto all’utilizzabilità del triennio 2009 – 2011, per l’attrazione nel regime del soggetto.

E questo sulla base di un duplice ordine di motivi. La prima attiene alla mancanza di un intervento sulla posizione del soggetto nelle annualità pregresse. Le stesse, infatti, rilevano unicamente come parametro di riferimento, ma non sono interessate da alcuna mutazione di regole nelle imposizioni. Impedendo, così disponendo, la sollevazione di ipotesi di censurabilità sulla retroattività della norma.

In seconda battuta basando la riflessione sulle esigenze di gettito erariale. Infatti, ove si intendesse far slittare al 2012 l’analisi della posizione triennale, i primi maggiori incassi non si realizzerebbero prima del 2015, contrastando palesemente con le previsioni di gettito inserite nella relazione tecnica allegata al decreto.

Per opportunità di trattazione si ricorda, da ultimo, che le perdite di esercizi precedenti potranno essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente quello minimo.

Infine, con una disposizione identica a quella contenuta nell’alveo delle società non operative di “vecchio stampo” viene regolata la decorrenza delle norme in commento, prevedendo che nella determinazione degli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione, e a questo punto dal 2012, si assumerà, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando la nuova disciplina.

Si ricorda, da ultimo, che già l’articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2010 aveva introdotto alcune disposizioni volte a indirizzare l’attività di controllo dell’agenzia delle entrate e della guardia di finanza verso il contrasto del fenomeno delle imprese in perdita fiscale cosiddetta “sistemica”.

A tal fine la norma obbliga i predetti soggetti a programmare i controlli fiscali in modo da assicurare una vigilanza sistematica – basata su specifiche analisi di rischio – su imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per più di un periodo di imposta. Tale perdita non dovrà però essere determinata da compensi erogati ad amministratori e soci; inoltre l’impresa non dovrà aver deliberato, e interamente liberato, nello stesso periodo uno, o più, aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse.

La vigente normativa prevede, inoltre, che nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore né a tutoraggio siano realizzati piani annuali coordinati di intervento, elaborati sulla base di analisi di rischio a livello locale, che riguardino almeno un quinto della platea di riferimento.

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LA MAPPA DELLE VARIAZIONI DELLE SOCIETA’ NON OPERATIVE

Articolo 2 L. n. 148 del 14 settembre 2011

Comma Provvedimento
36 da quinquies a octies Previsione incremento aliquota IRES del

10,5%

36 novies Entrata in vigore dal 2012
36 decies Previsione    nuova    disciplina    perdite

fiscali sistemiche

36 undecies Previsione    nuova    disciplina    perdite

fiscali 2 su 3 periodi di imposta

36 duodecies Entrata in vigore dal 2012

I beni dei soci

La manovra estiva 2011 ha introdotto, anche, alcune specifiche previsioni al fine di contrastare la concessione in godimento di beni a soci e familiari di imprese gestite sia in forma individuale che collettiva, a fronte di un corrispettivo “non congruo”.

L’intento dell’amministrazione finanziaria, seppur ormai datato, come anticipato nella parte introduttiva del presente contributo, in materia di intestazione di comodo di beni sociali rilevanti in capo al soggetto giuridico, è ormai evidente. Contenimento ai massimi livelli delle possibilità che le aziende detengano beni che in realtà siano utilizzati dai soci, ovvero titolari, della medesima. L’obiettivo è palesato nella volontà del fisco di evitare che questa intestazione schermo eviti l’imputazione di maggiori redditi in capo alle persone fisiche, ma godendo nel contempo della deducibilità dei costi nell’alveo del reddito di impresa.

Il legislatore è intervenuto con una novella normativa che produce una feroce, e violenta, stretta impositiva su questi beni, ampliando, nel contempo, le capacità conoscitive della stessa amministrazione finanziaria in ambito redditometrico.

L’intervento de quo deve essere inteso a livello sistemico con le modifiche intervenute in materia di società non operative. Le modifiche introdotte esplicano i loro effetti su almeno tre livelli.

Il primo livello di intervento mira a creare una nuova ipotesi di reddito diverso interessante il soggetto utilizzatore del bene senza corresponsione di un adeguato corrispettivo.

Il secondo livello prevede l’introduzione di un divieto generalizzato alla deduzione dei costi relativi al bene in godimento in sede di determinazione del reddito di impresa, conclamando l’immanente principio esistente nel TUIR in tema di sussistenza dell’inerenza dei costi al fine di autorizzarne la loro deducibilità.

Ed infine viene creato un meccanismo di comunicazione, e sorveglianza, nonché sanzionatorio mirante a scoraggiare, in futuro, l’intestazione interposta di questi beni.

Scendendo nel particolare dell’analisi dei vari livelli di intervento va evidenziato, innanzitutto, l’introduzione nel corpo normativo dell’articolo 67 del TUIR di una nuova fattispecie di reddito diverso, inserendola all’interno del primo comma alla lettera h-ter), secondo la quale concorrerà alla formazione del reddito complessivo della persona fisica la differenza tra il valore di mercato ed il corrispettivo annuo

per la concessione in godimento di beni aziendali ai soci, o ai familiari dell’imprenditore individuale.

Ma chi sono i soggetti che possono vedersi imputata questa nuova fattispecie reddituale?

Sicuramente i soci di qualsiasi tipo di società, con l’unica esclusione dei soci delle soci delle società semplici in quanto non esercitanti attività di impresa, in forza del fatto che la norma richiama i beni di impresa; nonché i familiari dell’imprenditore individuale, individuabili ai sensi dell’articolo 5, ultimo comma, del TUIR sulla base del disposto normativo dell’articolo 433 del codice civile, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, così come evocato pure dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate numero 166485 del 16 novembre 2011.

La concessione in godimento paventata dalla disposizione normativa, a nostro parere, non può che riferirsi ad un utilizzo del bene senza alcuna attinenza con l’attività di impresa poiché solo seguendo il suddetto filo logico si è in grado di giustificare la sussistenza di un reddito figurativo.

Dal tenore del provvedimento attuativo si evince pure che non sono stati introdotti limiti in merito alla durata delle concessione in godimento dei beni; gli assets aziendali ricompresi nella normativa sono state individuati nelle seguenti categorie:

  • autovetture
  • altri veicoli
  • unità da diporto
  • aeromobili
  • immobili
  • altri beni di valore non superiore a tremila euro al netto dell’imposta sul valore aggiunto applicata.

La norma introduttiva, ossia il comma 36-quaterdecies, esplicita che i costi relativi ai beni concessi ai soci, o ai familiari, per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento «non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile».

Si ricorda che il principio di inerenza consente la deducibilità dei costi per l’impresa solo nella misura in cui questi si riferiscano ad attività, o beni, da cui derivano ricavi tassati.

Pertanto si deve ritenere che, a legislazione vigente, i costi relativi ai beni  concessi gratuitamente in godimento ai soci, o ai familiari, sono già indeducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa, in quanto carenti del requisito dell’inerenza, ovvero del nesso funzionale che deve collegare i componenti negativi allo svolgimento della specifica attività dell’impresa.

Pertanto sulla base delle disposizioni in esame, nel caso in cui una società, o un’impresa individuale, mettano a disposizione di soci, o di familiari, dell’imprenditore dei beni di loro proprietà, viene espressamente richiesto che, a fronte di tale utilizzo, la società, o l’impresa, ricevano un corrispettivo e che tale corrispettivo sia allineato con il valore di mercato. In caso contrario, si configura un reddito in capo al socio, o al familiare, e un costo indeducibile in capo alla società o all’impresa.

Si può, quindi, affermare che chi usa un bene senza pagarne il corrispettivo consacra l’esistenza di un reddito assimilabile ad un fringe benefit, ed ovviamente a patto che il percettore non si trovi già nella situazione in cui tali benefici rilevino autonomamente ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente.

La fondatezza di tale affermazione si riscontra nella esegesi dell’articolo 67 del TUIR, nel cui incipit iniziale si rinviene l’imponibilità dei redditi ivi menzionati a patto che gli stessi non siano oggetto di tassazione sulla base delle disposizioni impositive che regolano altre categorie reddituali specifiche.

Nel caso, invece, venisse erogato, dall’utilizzatore, un corrispettivo lo stesso concorrerà alla formazione del reddito solo il differenziale tra il valore normale, con le difficoltà di quantificazione di cui si dirà tra breve appresso, e la somma pagata; tale corrispettivo concorrerà pure alla formazione del reddito di impresa.

I costi, infatti, inerenti a tali categorie di beni concessi in godimento ai soci, o ai familiari dell’imprenditore, per un corrispettivo inferiore al valore di mercato non saranno in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile; viene cioè sancita normativamente l’impossibilità di deduzione di un costo di per se già indeducibile per assenza del requisito di inerenza.

Approfondendo l’analisi possiamo osservare che il diniego alla deduzione è di tipo assoluto ed integrale ove il corrispettivo incassato non sia pari almeno al valore di mercato, come non è dubitale che i corrispettivi pagati concorreranno integralmente alla formazione del reddito, e da ultimo l’indeducibilità in analisi non è correlato con altre disposizioni del TUIR che dispongono limitazioni alla  deducibilità dei costi, quali ad esempio l’articolo 164 del TUIR in ambito automobilistico.

La stringente normativa in analisi contiene, inoltre, una previsione in materia di controllo da parte dell’agenzia delle entrate sulle prescrizioni descritte. In particolare, nel caso in cui si verifichi la fattispecie rilevante, l’impresa concedente, ovvero il socio o il familiare dell’imprenditore, dovranno comunicare all’agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento, al fine di garantire l’attività di controllo.

In caso di mancata comunicazione, ovvero in caso di dati incompleti o non veritieri, è stabilita in solido una sanzione amministrativa pari al trenta per cento della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo del bene concesso in godimento.

Nel caso in cui i contribuenti abbiano omesso di effettuare la comunicazione all’agenzia delle entrate, avendo comunque adempiuto alla novellata normativa è dovuta, in solido, la sanzione amministrativa da 258 euro a 2.065 euro.

Ma vi è di più ! Il comma 36-duodevicies dispone che l’agenzia delle entrate procederà a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento, tenendo conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, di «qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società», e disponendo l’applicazione delle norme introdotte a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, ovvero, in caso di periodo coincidente con l’anno solare, dal 2012.

Deve ritenersi, purtroppo, che il suddetto richiamo normativo sia stato ritenuto sufficiente dall’agenzia per amplificare a dismisura l’ambito applicativo della comunicazione. Vi è però da rimarcare che in tutte le occasioni in cui il socio non abbia in godimento alcun bene, ma abbia effettuato semplicemente un apporto, dallo stesso non debba essere effettuata alcuna comunicazione.

La comunicazione dei dati

I dati relativi ai beni in godimento dovranno essere trasmessi entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta in cui il bene è stato a disposizione del socio, o del familiare, o ne è terminato il godimento, attraverso i canali telematici Entratel o Fiscoline e utilizzando i software di controllo messi a disposizione gratuitamente dall’agenzia delle entrate.

Per il periodo precedente a quello di prima applicazione della norma, l’invio andrà fatto entro il prossimo 31 marzo.

Gli acconti di imposta

Per determinare gli acconti dovuti per il periodo di imposta di prima applicazione, si assumerà, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte dalla normativa in commento anche al periodo di imposta precedente.

LA MAPPA DELLE VARIAZIONI DEI BENI SOCIALI
Articolo 2 L. n. 148 del 14 settembre 2011
Comma Provvedimento
36 terdecies Introduzione  nuova  fattispecie  reddito diverso ex art. 67, c. 1, lett. h-ter) del TUIR
36 da quaterdecies a quinquiesdecies Introduzione         nuova         fattispecie imponibilità nel reddito di impresa
36 sexiesdecies Previsione       nuova       comunicazione telematica
36 septiesdecies Previsione    allargamento    attività    di indagine da parte dell’anagrafe tributaria
36 duodevicies Entrata in vigore dal 2012

 

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9 gennaio 2011

Mauro Nicola

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