Antieconomicità della gestione: è nullo l’accertamento senza precisi riscontri probatori

La gestione irragionevole di un’impresa costituisce solo un mero indizio di comportamenti antieconomici che possono nascondere fatti di elusione fiscale.

L’accertamento “automatico” basato sulla mera antieconomicità della gestione subisce un primo colpo da parte della giurisprudenza di merito:

“l’ufficio impositore non può desumere dalla gestione aziendale antieconomica l’inattendibilità delle scritture contabili nel loro complesso e, per l’effetto, determinare i ricavi in via induttiva, ai sensi dell’art. 39 del DPR 600/73”.

 

sentenza tributariaE’ quanto stabilito dalla CTP di Siracusa con la sentenza n. 324/02/11 (leggibile in calce al presente articolo), con la quale ha accolto il ricorso di una società che si era vista recapitare una rettifica del reddito sulla base dei soli dati dichiarati, ritenuti modesti, e non in linea con l’obiettivo di “massimizzare i profitti”, insito in ogni attività imprenditoriale.

Un avviso di accertamento “automatico” basato sulla elaborazione di alcuni dati presenti nella dichiarazione del contribuente, senza alcun riscontro della situazione effettiva né delle condizioni dell’attività svolta.

I giudici tributari, però, hanno censurato tale comportamento dell’Agenzia delle Entrate ed annullato integralmente l’avviso di accertamento.

Nel caso affrontato dai giudici siracusani, l’ufficio impositore aveva rilevato dal modello Unico 2007 alcuni dati della dichiarazione dei redditi di una s.r.l. desumendone una “situazione economicamente irragionevole”; aggiungeva che la situazione di antieconomicità “cristallizzata nel corso degli anni successivi” valeva a togliere attendibilità alle scritture contabili nel loro complesso, con ciò legittimando l’ufficio all’accertamento induttivo.

Applicava quindi una percentuale di incidenza dei costi di diretta imputazione sui ricavi complessivi del 60% – percentuale rilevata da imprese che operano nel settore in condizioni di una normale gestione economica nonché da dati, notizie ed informazioni presenti presso l’A.T. o comunque in possesso dell’ufficio – ed accertava maggiori ricavi per € 173 mila euro (a fronte dei 370 mila dichiarati).

Presumeva infine la distribuzione degli utili ai soci, emettendo i relativi avvisi di accertamento in capo alle persone fisiche. L’azienda, operante nel settore della vendita di centraline telefoniche, eccepiva che tale assunto era infondato e privo di supporto probatorio, mancando quei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la legge impone per far assurgere le presunzioni al rango di prove.

Evidenziava la carenza di motivazione dell’accertamento ed il fatto che le presunzioni dell’ufficio impositore fossero prive di supporto probatorio oltre che attinenza con la realtà economica locale; rilevava infine che non era dato di sapere quali fossero le imprese operanti nel settore con i margini ipotizzati dall’ufficio.

I giudici siracusani hanno accolto la tesi del contribuente, precisando che una gestione aziendale “antieconomica” può costituire soltanto un indizio di evasione, che senza altri elementi, gravi e convergenti, non è idonea a provare l’esistenza di maggiori redditi.

E’ possibile affermare quindi che si tratta di un metodo di accertamento di tipo induttivo che viene giustificato con il riscontro di una situazione economicamente irragionevole, altrimenti detta anti-economica; se poi tale situazione si “cristallizza nel corso degli anni successivi”, tale circostanza viene considerata valida, di per sé, a togliere attendibilità alle scritture contabili nel loro complesso, con ciò legittimando l’ufficio – secondo la tesi erariale – all’accertamento induttivo.

Tale metodologia di rideterminazione induttiva del reddito – che ha incontrato il conforto della giurisprudenza di Cassazione – mostra tutti i suoi limiti allorquando omette di fornire una adeguata e convincente motivazione ovvero trascura di indicare il percorso logico-giuridico per giungere a tale conclusione. L’applicazione acritica e carente di motivazione di percentuali di ricarico più o meno elevate presta il fianco a numerose censure.

Negli avvisi di accertamenti, l’ufficio impositore assume un ricarico mediamente praticato con una percentuale rilevata da imprese che operano nel settore in condizioni di una “normale gestione economica” nonché da dati, notizie ed informazioni presenti presso l’A.T. o comunque in possesso dell’ufficio.

Con questa scarna locuzione – ben lungi dal potersi qualificare quale motivazione, ancorché di stile o apparente – l’ufficio pretende di addebitare alla parte contribuente maggiori ricavi, a volte anche consistenti.

Di solito, peraltro, non è dato di sapere quali siano queste imprese che operano nel settore con i margini segnalati ovvero quali siano i dati e le informazioni acquisite per giustificare il ricorso all’accertamento induttivo puro; ugualmente inesplorate rimangono poi le condizioni di una normale gestione economica, spesso richiamate negli avvisi di accertamento.

E quando le affermazioni dell’ufficio rimangono prive di riscontro, le presunzioni non risultano supportate dai requisiti di precisione, gravità e concordanza che la legge impone al fine di far assurgere le stesse al rango di prova.

Si potrebbero peraltro ipotizzare, così come avvenuto in passato per gli studi di settore, delle circostanze esimenti (ovvero cause giustificative) che consentano di definire la situazione economica del contribuente “normale”.

E’ da rilevare altresì che le condizioni di esercizio dell’impresa nonché fattori di natura contingente, possono fornire delle giustificazioni adeguate.

La Corte di Cassazione (Sent. n. 26388 del 22 settembre 2005 dep. il 5 dicembre 2005) ha ribadito che è onere dell’Amministrazione provare la concreta esistenza di circostanze idonee, gravi ed afferenti, per ritenere accertata sia l’inattendibilità delle scritture contabili sia la rideterminazione quantitativa del reddito.

E’ noto che l’accertamento analitico del reddito costituisce la regola e quello induttivo l’eccezione, che è possibile utilizzare – in via eccezionale – in presenza di rigorose condizioni di legge. E’ altresì risaputo che l’articolo 39 del D.P.R. 600/73 delinea il percorso della metodologia accertativa, indicando:

  • dapprima, la possibilità di disattendere una parte della contabilità ed accertando in via induttiva soltanto alcune poste ai sensi del comma 1 lettera d;

  • successivamente, in via residuale ed eccezionale, alla presenza di gravi circostanze la possibilità dell’accertamento induttivo puro.

 

In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riferimento all’accertamento analitico induttivo del reddito d’impresa – cioè alla tipologia “meno grave”- la Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha stabilito “che i valori percentuali medi del settore non rappresentano un “fatto noto” storicamente verificato, sul quale è possibile fondare una presunzione di reddito ex art. 2727 del codice civile, ma, piuttosto, il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, che fissa soltanto una regola di esperienza.

Pertanto tali valori, se non confortati da altre risultanze, sono inidonei ad integrare i presupposti di cui all’art. 39 non costituendo presunzioni “gravi e precise”, in quanto indicano, diversamente dai risultati valutativi emergenti da medie elaborate con riferimento all’andamento economico della specifica impresa interessata, solo in via ipotetica la redditività dell’impresa” (così Cass. n. 10960/2007).

E’ vero che nell’ambito dell’esercizio del potere di accertamento, l’Amministrazione finanziaria dispone di ampie facoltà, ben potendo ricorrere a differenti tipologie di metodi accertativi (analitico, sintetico, induttivo), ma tale esercizio è governato dal principio della riserva di legge giusta il quale l’adozione dell’uno o dell’altro metodo è soggetta a precise condizioni normative che costituiscono condizione di validità dell’avviso di accertamento stesso (cfr. CTR Bari, sezione I, sentenza n. 63 del 17 aprile 2008, dep. il 15 maggio 2008).

Peraltro, costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio giusta il quale nella determinazione induttiva del reddito imponibile – ex art. 39, D.P.R. n. 600/1973 – l’adozione delle percentuali di ricarico nella media del settore costituisce un valore di natura statistica e può assumere valenza di regola di esperienza.

Conseguentemente, dal punto di vista probatorio le stesse devono ritenersi alla stregua di indizio non potendo integrare un fatto noto né essere utilizzate per giustificare l’applicazione di presunzioni ed in assenza di altri elementi, le percentuali risultano perciò inidonee a fondare la rettifica (cfr. Cass. n. 18020/2009).

La giurisprudenza di merito, ha ribadito che in caso di contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della presunta difformità dei prezzi e/o delle tariffe applicati dal contribuente rispetto a quelli mediamente riscontrabili nel settore di appartenenza soltanto se la difformità raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità.

Diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che il percorso di indagine seguito dai verificatori senza nemmeno il supporto di comparazioni con similari esercizi ovvero con indici elaborati su criteri statistici, non integra un fatto noto e certo e non è idoneo, da solo, ad integrare una prova per presunzioni, come sostiene l’Amministrazione ricorrente, ma costituisce raccolta di presunzioni semplici non adeguatamente assistita dai requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; né le dichiarazioni del contribuente e la produzione di documentazione sottoscritta da terzi possono essere a priori del tutto disattese, salvo il caso di divergenze assolutamente abnormi o di risultati palesemente antieconomici o in contrasto con il senso comune (così CTR Sicilia, sezione n. 14, sentenza n. 50 del 18.3.2009).

In conclusione, è possibile affermare che se da un lato la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che anche in presenza di una contabilità regolare, l’ufficio è legittimato a rettificare i redditi nel caso di gestioni aziendali anomale, dall’altro la giurisprudenza di merito, nel declinare tale principio, comincia a delinearne le modalità di utilizzo precisando che la chiusura dell’esercizio in perdita non può, di per sé, costituire prova di evasione, ma rimane un mero indizio che richiede ulteriori supporti probatori e motivazionali per giustificare l’accertamento di maggiori redditi in capo ai contribuenti. Argomentazioni di buon senso, in linea con l’irrinunciabile rispetto del principio di capacità contributiva.

 

17 gennaio 2011

Massimo Conigliaro

 


 

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI SIRACUSA

SECONDA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

TAMBURINI GIUSEPPE – Presidente

VALENTI MICHELE – Relatore

BRANCATI ERNESTO – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

n. 324 del 27 luglio 2011 (ud. 6 luglio 2011)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 22/7/2010 e depositato il 30/7/2010 il Sig. (…) nella qualità di legale rappresentante della (…) S.r.l. si oppone all’avviso di accertamento notificato il 25/5/2010 con il quale l’AGENZIA DELLE ENTRATE, Ufficio di SIRACUSA, ha rettificato la dichiarazione presentata dalla società per l’anno 2006, ritenendo che evidenzi una situazione economica irragionevole, provvedendo al recupero delle imposte IRES, IRAP, IVA e irrogando sanzioni per complessivi Euro 187.718,05.

Eccepisce la società ricorrente la nullità dell’atto impugnato per carenza dei presupposti di cui all’art. 39 DPR 600/1973, nonché carenza di motivazione e mancato riscontro della situazione oggettiva del contribuente.

Chiede di dichiarare nullo Fatto impugnato o di annullarlo con vittoria di spese.

Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle Entrate con controdeduzioni del 19/10/2010, depositate il 26/10/2010, difendendo il proprio operato, contestando l’eccezione di violazione dell’art. 39 del DPR 600/1973 ritenendo l’accertamento giustificato dalla gestione antieconomica, rappresentata dai risultati di esercizio del periodo 2004/2008 in perdita o con un utile irrisorio, sostenendo che é assolutamente inverosimile che la società risulti in perdita costante o realizzi un utile di esercizio irrisorio, citando numerosa giurisprudenza della Cassazione a supporto del suo operato.

Afferma che le presunzioni poste a base dell’accertamento sono senza dubbio “gravi, precise e concordanti”, così come chiesto dalla normativa in vigore, e che si possa procedere alla rettifica della dichiarazione secondo il metodo presuntivo, senza riscontro analitico della documentazione, restando a carico del contribuente la prova contraria per vincere detta presunzione, per cui ritiene che sia infondata anche l’eccezione relativa al mancato riscontro della situazione oggettiva.

Chiede che sia rigettato il ricorso e si oppone alla richiesta di sospensione cautelare, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. Con istanza del 18/1/2011 parte ricorrente chiede la sospensione cautelare ai sensi dell’art. 47, terzo comma, del D.Lgs. 546/1992, della cartella di pagamento di Euro 55,541,29 pervenuta nelle more del giudizio; la sospensione viene accordata con Decreto Presidenziale del 6/2/2011, con rinvio alla seduta del 6/7/2011 perla trattazione del merito.

All’udienza pubblica del 6 luglio 2011, presenti le parti, il ricorso viene discusso e posto in riserva.

Successivamente la Commissione scioglie la riserva e decide il ricorso come in dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ritiene fondate le argomentazioni di parte ricorrente, per cui il ricorso deve essere accolto.

Infatti, l’Ufficio, prendendo a base delle sue argomentazioni una situazione economica ritenuta “irragionevole”, senza compiere una approfondita verifica della gestione aziendale, ha ritenuto di potere affermare che dall’esame della dichiarazione si poteva desumere “una gestione aziendale antieconomica”, che valeva “a togliere attendibilità alle scritture contabili nel loro complesso”, legittimandolo a determinare i ricavi e il reddito in via induttiva, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. 600/1973, ignorando che poteva ricorrere a tale metodo di rettifica solo in presenza dei presupposti, vincolanti e tassativi, specificamente indicati nell’articolo in parola, di cui non vi è traccia nell’avviso impugnato e nelle successive controdeduzioni, che ribadiscono il diritto dell’Ufficio a procedere alla rettifica senza riscontro analitico della documentazione.

In altre parole, l’Ufficio ha fatto ricorso ad una rettifica priva di riscontri probatori, perché tali non possono essere i modesti risultati di esercizio dell’impresa, che avrebbero potuto costituire, semmai, l’indizio di una probabile evasione fiscale, che avrebbe autorizzato l’Ente impostore ad effettuare una verifica della contabilità e della gestione aziendale alla ricerca di prove.

Restano assorbite le altre questioni sollevate dalle parti.

Ritenendo che sussistano le eccezionali ragioni prescritte dall’articolo 92 del C.P.C., vista la controvertibilità delle argomentazioni delle parti, il Collegio decide la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Siracusa, il 6 luglio 2011.