Processo tributario, fumus boni iuris e periculum in mora

Analisi dei requisiti in base ai quali ammettere o meno delle misure cautelari nel processo tributario.

sentenza tributariaLa sentenza C.T.R. di Roma, sez. n. 1, sent. n. 715/01/11 dep. il 11/10/2011 è molto interessante perchè è una sentenza in cui i giudici tributari devono pronunciarsi sull’opportunità di provvedimenti cautelari nei confronti del contribuente.

 

Il caso nasce da un PVC in cui viene contestato alla società contribuente un debito erariale complessivo di € 224.932283,67; a fronte di tale somma l’Agenzia richiede provvedimenti cautelativi (nella specie un sequestro conservativo) sui beni (mobili ed immobili) della società soggetta a controllo.

 

La parte più interessante della sentenza è quella in cui i giudici della C.T.R. di Roma illustrano come valutare l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora, elementi fondamentali per valutare se concedere o meno al contribuente l’annullamento o la riduzione delle misure cautelari richieste dall’Agenzia delle entrate.

 

La sospensione dell’atto impugnato

Ricordiamo che la norma che regola la sospensione degli atti tributari è l’art. 47 del Dlgs. 546/1992.

Ecco il testo del primo comma:

“Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso…”.

In base al testo legislativo il contribuente può chiedere la sospensione degli atti esecutivi tributari, in attesa del giudizio, quando esistono 2 presupposti1:

  • il cd. “fumus boni iuris”, cioè la verosimile fondatezza della domanda;

  • il cd. “periculum in mora” (riguardante il contribuente), cioè il danno grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione tributaria;

  • il cd. “periculum in mora” (riguardante l’Amministrazione), cioè il rischio che fra la verifica e l’esecutività della pretesa fiscale il contribuente disperda od occulti il proprio patrimonio.

 

Seguiremo come la C.T.R. Di Roma valuta la sussistenza di tali presupposti nel caso in esame.

 

Il fumus boni iuris

I giudici della Commissione Regionale criticano nella sentenza l’operato dei giudici di primo grado.

“Con riferimento al fumus boni iuris i giudici di primo grado si sono limitati ad osservare che la pretesa dell’Agenzia delle entrate fosse fondata senza entrare nel merito delle questioni sollevate.

E’ pur vero infatti che il procedimento in questione non prevede una decisione nel merito ma non si ritiene di dover accogliere la tesi avanzata dall’Ufficio secondo cui l’analisi del requisito del fumus dovrebbe svolgersi sommariamente solo sulla base dell’apparente fondamento del buon diritto.

E’ il caso di rilevare come una no sufficiente analisi preliminare nel merito rischierebbe di avallare la concessione di misure cautelari, in grado, come in questo caso, di incidere in maniera rilevante sulla attività svolta dalla ricorrente.

Quando, come nella vicenda in esame, la concessione di una misura cautelare potrebbe, ancor prima di qualsiasi giudizio sulla esistenza del credito, produrre effetti dirompenti sull’attività imprenditoriale del contribuente, diventa difficile difficile ritenere che la valutazione sulla sussistenza di un fumus possa avvenire senza un vero e proprio giudizio.

Quest’ultimo, infatti, per quanto sommario o prognostico, non potrebbe non entrare nel merito della sostenibilità della pretesa dell’Ufficio in un eventuale e successivo giudizio di merito”.

 

Abbiamo riportato integralmente le parole della C.T.R. di Roma in quanto illustrano in maniera egregia (nella nostra opinione) come andrebbe costruito un giudizio su un pretesa cautelare del Fisco.

 

I giudici d’appello spiegano che in questo genere di cause il compito del giudice è di valutare (senza decidere sul merito della questione) se la difesa proposta dal contribuente presenti elementi tali da mettere in discussione le premesse e le ricostruzioni su cui l’ufficio basa le proprie pretese.

Il giudizio sulle misure cautelari non implica che il giudizio sul merito della causa (se vi sarà tale giudizio) dovrà seguire quanto deciso in merito alle misure cautelari, ma non può ridursi ad una valutazione formale della correttezza della pretesa fiscale e delle sue motivazioni giuridiche.

Appare ovvio che i giudici, nel valutare o meno l’opportunità di concedere/negare le misure cautelari richieste dal Fisco, devono valutare la bontà della strategia difensiva del contribuente contro le pretese del Fisco. Non è sufficiente che il contribuente proponga ricorso contro le pretese del Fisco ed instauri un contenzioso tributario, ma è necessario che la difesa del contribuente si basi su una strategia processuale in grado di contestare e contrastare quanto affermato dal Fisco.

La valutazione del “fumus boni iuris”, inoltre, potrà essere in contrasto con quello che sarà l’esito della causa di merito sulla pretesa fiscale. Il brocardo latino “fumus” indica proprio una valutazione di primo acchito, non una valutazione nel merito della questione.

I giudici che valutano il fumus, valutano che la difesa del contribuente sia credibile in base alle norme di diritto vigenti, non devono valutaree giudicare la causa sottostante alla richiesta delle misure cautelari.

 

Il periculum in mora

I giudici d’appello insistono sull’importanza di tale valutazione/giudizio sul fumus boni iuris perchè gli effetti delle misure cautelari possono avere “effetti dirompenti” sull’esistenza del contribuente. Nel periodo di crisi economica e razionamento del credito che stiamo vivendo può essere difficile per un contribuente che svolge attività imprenditoriale affrontare gli effetti di un sequestro conservativo.

La valutazione del fumus si lega a quella del periculum in mora, cioè del danno grave ed irreparabile derivante al contribuente dall’applicazione di misure cautelari.

I giudici romani, inoltre, valutano anche la possibilità che il contribuente metta in atto atti in grado di depauperare il proprio patrimonio in vista di un eventuale esito negativo del giudizio tributario.

 

La prima valutazione fatta dai giudici romani è quella sulla sproporzione del valore della pretesa tributaria rispetto al patrimonio del contribuente.

Nel caso in esame il valore della pretesa fiscale complessiva (per € 224.932.283,67!) comporta che sia quasi ovvio che il patrimonio del contribuente non riesca a soddisfare tale pretesa. I giudici romani traggono da questo fatto un’opinione più generale:

“Sul punto ritiene questo collegio che, come costantemente affermato sia dai Giudici di Merito che dalla Suprema Corte, il richiamo alla mera sproporzione tra il patrimonio del contribuente e l’ammontare della pretesa creditoria in questione non possa di per sé costituire elemento sufficiente su cui basare la concessione di un provvedimento cautelare”.

 

L’opinione dei giudici appare condivisibile: nel caso di sproporzione fra patrimonio del contribuente e pretesa fiscale diventerebbe automatica la possibilità di ottenere misure cautelari da parte del Fisco. Pertanto,

“… si arriverebbe a sanzionare i contribuenti in base ad un mero elemento quantitativo (la consistenza patrimoniale) piuttosto che sulla concreta esistenza di un pericolo per la riscossione del credito”.

 

Altro argomento discusso nella sentenza è quello degli atti che possono mettere a rischio l’integrità patrimoniale del contribuente prima della decisione sul merito della sentenza e della possibilità per il Fisco di riscuotere in via definitiva i propri crediti. In questo caso è il Fisco a dover provare che gli atti di gestione del contribuente mettono a rischio l’integrità patrimoniale.

“E’, dunque, necessario che sussista ‘il fondato timore che di perdere la garanzia del proprio credito’, ossia il fondato timore che il contribuente disperda il patrimonio. Spetta all’ufficio dimostrare che il contribuente ha posto in essere o è in procinto di porre in essere atti di disposizione o, altrimenti, comportamenti tali da sottrarre beni dal proprio patrimonio mettendo a rischio il credito vantato dall’erario”.

 

Nell’analisi dei fatti i giudici, inoltre, spiegano che gli atti di gestioni compiuti prima dell’inizio della verifica fiscale non possono essere indice di un tentativo di dispersione o di occultamento del patrimonio.

 

31 dicembre 2011

Luca Bianchi

Cinzia Mengozzi

1 Per una più ampia valutazione dei presupposti della sospensione cautelare vedi: G. Antico – M. Conigliaro – M. Farina, Il Contenzioso Tributario, ed .Il Sole24 Ore Spa, cap. 47.