La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

la costituzione di fondi patrimoniali, trust, fittizie separazioni coniugali, simulazioni di vendite od operazioni straordinarie quali la cessione di un ramo d’azienda… questi sono alcuni dei comportamenti che possono nascondere un tentativo illecito di nascondere il proprio patrimonio al Fisco

Negli ultimi periodi, in maniera sempre più frequente, si ha avuto modo di rilevare, da parte di operatori commerciali, comportamenti apparentemente leciti finalizzati a celare ricchezze al fisco.

Infatti dietro tali condotte, come per esempio: la costituzione di fondi patrimoniali, trust, fittizie separazioni coniugali, simulazioni di vendita ovvero operazioni straordinarie quali la cessione di un ramo d’azienda, possono celarsi preordinati intenti evasivi ovvero condotte finalizzate alla sottrazione al pagamento di imposte.

 

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

sottrazione fraudolenta al pagamento delle impostePorre in essere tali operazioni, in special modo sia nel corso che a termine di un’attività ispettiva condotta dall’Agenzia delle Entrate ovvero dalla Guardia di Finanza, potrebbe far configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74/2000, qualora venisse dimostrato il fine specifico di sottrarsi al pagamento di imposte ovvero di rendere inefficace una procedura di riscossione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il D.L. n. 78 del 2010, poi convertito in legge n. 122 del 2010, nel Titolo II intitolato “Contrasto all’evasione fiscale e contributiva” ha riformulato in chiave più “severa” l’art. 11 del D.lgs. 74/2000, disciplinante il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

L’art. 11 del D.lgs. 74/2000, nella sua precedente formulazione prevedeva che:

”Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad € 51.645,69 aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altri beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

Il legislatore con l’art. 28, c. 4 del decreto legge n. 78/10, ha inasprito l’applicazione dell’art. 11, prevedendo:

  • L’abbassamento della soglia di punibilità da € 51.645,69 ad € 50.000 ;
  • l’inserimento di un ulteriore comma che prevede un aumento della pena, qualora, la somma che il contribuente intende sottrarre sia superiore a 200 mila euro, c.d. aggravante;
  • l’introduzione di un’ulteriore fattispecie incriminatrice.

Con l’introduzione del secondo comma dell’art. 11 è stata prevista, appunto, un’ulteriore fattispecie delittuosa, legata all’ipotesi di transazione fiscale, che punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni:

”chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e dei relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila”.

Col decreto legge n. 78 del 2010 viene, inoltre, introdotta nell’alveo dell’art. 11 un’ipotesi aggravante, che punisce con la pena della reclusione, da uno a sei anni, (rispetto all’ipotesi di cui al primo e secondo comma che prevedono la reclusione da sei mesi a quattro anni) coloro che pongono in essere le condotte previste dai commi 1 e 2 dell’art. 11 superando la soglia di punibilità di euro 200.000.

Il delitto in esame si colloca a chiusura del Capo II e, contrariamente allo spirito della riforma introdotta con il D.lgs. n. 74/2000, non considera rilevante il momento della dichiarazione, ma, bensì, quello del versamento e della riscossione dei tributi.

La fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, da un lato non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva.

La nuova fattispecie delittuosa costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare.

Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento.

La confisca, stante la pronuncia della Suprema Corte, è collegata alla disponibilità dei beni e, quindi, all’effettivo possesso e godimento degli stessi, a prescindere da chi sia il proprietario del bene. In merito, infatti, preme ricordare che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18527 del 2011, ha ritenuto corretto assoggettare a sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, i beni cointestati con terzi estranei, ma comunque nella disponibilità dell’indagato,

“senza che valgano in contrario eventuali presunzioni o vincoli regolanti i rapporti interni tra creditori e debitori solidali, essendo scopo della norma proprio quello di evitare che i beni che si trovino nella disponibilità dell’indagato possano essere definitivamente dispersi”.

Al riguardo, si ricorda che talvolta imprenditori e consulenti effettuano operazioni il cui intento è quello di celare la volontà di nascondere ricchezza al fisco.

In base alla citata pronuncia della Suprema Corte del 2011, eseguire tali operazioni in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione, prima che siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche potrebbe far scattare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Secondo il tenore letterale dell’articolo succitato, commette il reato colui che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e relativi interessi e sanzioni, aliena simulatamente i propri beni o compie atti fraudolenti idonei a rendere inefficaci le azioni di riscossione coattiva.

Gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 11 sono:

  • sotto il profilo psicologico, il dolo specifico, il cui fine è quello di sottrarsi al pagamento della pretesa erariale;
  • sotto il profilo materiale, invece, necessita il compimento di un’azione fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva.

In merito, c’è da ricordare che la norma non richiede che l’atto (eventualmente posto in essere dal debitore) vanifichi la pretesa tributaria. In base al testo dell’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, l’evento materiale si trasforma da danno in pericolo, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a raggiungere il fine illecito che il contribuente si prefigura. Ne deriva, quindi, che il momento di consumazione del delitto deve essere fissato al compimento di qualsiasi atto che possa mettere in pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria.

Secondo quanto stabilito dai giudici di legittimità, quindi, un contribuente (commercialista), qualora abbia messo in atto delle operazioni solo potenzialmente idonee a rendere infruttuosa la riscossione, potrebbe vedersi sequestrare i beni che rientrano nella disponibilità dello stesso.

In particolare, si ricordano le seguenti recente sentenze:

  • sentenza n. 23986 del 2011 emessa dalla sez. III della Corte di Cassazione penale, con la quale la Corte di Cassazione ha ritenuto che un’operazione straordinaria quale la cessione di ramo d’azienda può essere intesa quale stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali della riscossione coattiva del debito tributario.
  • sentenza n. 23986 del 2011 emessa dalla sez. III della Corte di Cassazione penale, conferma proprio il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in capo ad un contribuente che aveva costituito un fondo patrimoniale avente ad oggetto i propri beni immobili, con riserva di proprietà a suo favore, privo di giustificazione e, quindi, fraudolento in quanto posto in essere subito dopo una verifica fiscale allo scopo di sottrarsi al pagamento delle imposte.

Ora anche un atto compiuto prima o in coincidenza con i primi accertamenti potrebbe essere idoneo a far scattare il reato di specie (Cassazione, Sentenza n. 25147 del 17 giugno 2009, udienza del 22 aprile 2009; Corte di cassazione – III sezione penale – Pres. Grassi, Rel. Fiale).

Pertanto, la costituzione di un fondo patrimoniale è stato ritenuto condotta idonea ad ostacolare il soddisfacimento della pretesa fiscale (ex plurimis: Cass. Sez. III Penale, n. 19595 del 18 maggio 2011, Cass. Sez. III, 9.4.2008, n. 14720; Sez. V, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. III, 18.5.2006, n 17071).

 

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12 novembre 2011

Paolo Giovannetti